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Piccola domanda: ma il maggioritario è democrazia?
 


  All'inizio degli anni '70 l'ambiente accademico americano si surriscaldò nella discussione di un breve saggio dal titolo provocatorio: «In difesa dell'anarchia». L'autore, Robert Paul Wolff, professore di filosofia politica all'Università del Massachusetts, ricorda nella nuova prefazione al volumetto (edito da Elèuthera, pp. 143, 18 mila lire) che nella sua cittadina vede circolare vecchi pickup e station wagon con i paraurti ammaccati e coperti di adesivi controculturali e radicali tra quali quello di cui si attribuisce segretamente il merito: «Question Authority», metti l'autorità in discussione. In quelle due parole c'è la sintesi di questo saggio a suo modo antagonista. «E nel 1965, quando scrissi queste pagine, era impossibile vedere un adesivo anche solo vagamente simile a questo», ricorda l'autore sottolineando che l'intera cultura popolare americana va rapidamente sviluppando una «chiara sfiducia nello Stato e nella sua pretesa di autorità legittima». 

Potremmo aggiungere che il fenomeno non è solo americano. Anche in Europa e in Italia si assiste a fenomeni di contestazione del potere, soprattutto di quello centrale: certo, talora inquietanti tensioni di tipo più o meno etnocentrico; ma talaltra forme diverse di contrapposizione ai processi di omologazione burocratica dei fenomeni sociali. Qui troviamo anche un certo rifiuto dell'integrazione europea, quando è vista come disegno di un nuovo e spietato potere centrale. In questo, come in altri casi, la protesta nasce tanto a sinistra quanto a destra, sia pure sulla scorta di valori originari contrapposti. Anche la più generale sfiducia nei riguardi dell'autorità costituita è «trasversale allo spettro politico», come scrive l'autore, ricordando che una volta era un patrimonio della sinistra e oggi potrebbe apparire territorio esclusivo dei deliri della estrema destra ma così non è.

Wolff, che si definisce «anarchico in politica e marxista in economia», ci offre una serie di riflessioni preziose in tempi - i nostri - in cui si avverte chiaramente la crisi della rappresentanza democratica che i più risolvono buttando alle ortiche anche quel poco che il sistema proporzionale garantisce. L'autore, invece, afferma che il maggioritario allontana da un'ipotetica democrazia partecipata e che lo stesso patto democratico (mi sottometto a tutte le leggi della maggioranza, anche quando non le condivido) mette a nudo l'incompatibilità dell'autonomia morale dell'individuo con l'autorità politica dello Stato come finora viene concepita. Dalla crudezza di questa analisi si può passare, secondo Wolff, all'azione politica: dal cercare giustificazioni sulla legittimità dell'autorità all'interrogarsi, con gli altri, su percorsi diversi di crescita sociale. Discutere l'autorità invece di darla per scontata, per esplorare così altre forme di partecipazione collettiva e di autonomia individuale.

Z. S.


o L'Italia è ancora preda di una ubriacatura "maggioritaria" che finora ha portato davvero poco lontano, anzi. Sono passati ormai dieci anni da quando si è cominciato a stracciarsi le vesti nel nome del sistema elettorale anglosassone per recuperare la partecipazione democratica e la responsabilità della delega. Il risultato è un mezzo bipolarismo rissoso, coalizioni tenute insieme con la colla che si faceva da bambini mescolando acqua e farina. La partecipa-
zione popolare a picco e il ritorno
di vari zombi della politica ladra e assassina del passato. E intanto nei paesi presi a modello si massacra la democrazia partecipativa: il mitico sistema maggioritario registra affluenze al voto da paura, in qualche caso siamo all'elite delle urne; i più sono democratica-
mente esclusi...
Utile, dunque, rileggere questo vecchio libretto di Wolff sulla partecipazione alla vita democratica
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