Quasi
tutti i mezzi di informazione, i governi e le istituzioni internazionali
hanno
calato un silenzio tombale
sulla tragedia che continua nelle carceri speciali di un
paese, la Turchia, membro
della Nato e del Consiglio d'Europa e candidato
all'ingresso nell'Unione
europea. Il trasferimento di massa dei detenuti politici nelle
nuove celle d'isolamento,
contro cui dal 20 ottobre era stato avviato uno sciopero
della fame in 41 carceri
turche, è stato attuato brutalmente il 19 dicembre scorso
con l'operazione militare,
beffardamente denominata “Ritorno alla vita”, dal tragico
bilancio di trentadue morti
e oltre settecento feriti fra i detenuti. La repressione non
ha fermato la protesta,
che anzi coinvolge oggi oltre 1500 dei 13.000 detenuti
politici (in gran parte
kurdi), di cui oltre trecento rifiutano gli alimenti da oltre ottanta
giorni e 35 risultano ormai
in coma pressoché irreversibile. La situazione si
aggrava di giorno in giorno
a fronte del rifiuto di ogni nuova trattativa da parte del
governo, che anzi chiude
le sedi degli organismi della società civile, li dichiara
illegali, ne arresta e ne
processa gli attivisti.
All'inizio di
gennaio, raccogliendo l'urgente appello dell'Associazione turca per i diritti
umani (Ihd), si è recata in Turchia una delegazione italiana guidata
dal giudice Alessandro Margara, già direttore dell'Amministrazione
penitenziaria presso il ministero della Giustizia.
Ad Istanbul
abbiamo incontrato le forze sociali e gli organismi impegnati per la
tutela dei diritti umani,
avvocati, ingeneri e architetti, giornalisti, ex detenuti e parenti
dei detenuti. Abbiamo appreso
dalle loro parole come sono state stroncate decine
di vite col piombo e col
fuoco, e come nelle nuove carceri speciali alla tortura
psicologica dell'isolamento
totale e permanente si aggiunga l'orrore della
quotidiana tortura fisica.
Abbiamo assistito direttamente ad interventi di polizia che
calpestavano le più
elementari libertà di stampa, di opinione e di riunione. Al ritorno
in Italia, il debito morale
nei confronti del coraggio e della dignità di una grande
battaglia civile fa di noi
dei testimoni. Da Trieste a Roma, da Firenze a Cagliari, e
nei prossimi giorni in altre
città, abbiamo diffuso le storie, le immagini, i filmati che
le vittime ci hanno affidato.
Abbiamo ritenuto
nostro dovere informare anche il governo. Il 16 gennaio il
sottosegretario agli Esteri
Umberto Ranieri, ricevendoci alla Farnesina insieme alla
senatrice De Zulueta ed
a Dino Frisullo, per le associazioni promotrici del progetto
“Oltre il Bosforo, oltre
le sbarre”, si è impegnato a trasmettere al governo la nostra
relazione, considerata “un
importante campanello d'allarme”, affinché l'Italia porti
nelle sedi internazionali
l'urgenza di un intervento che fermi il massacro di vite
umane. Abbiamo chiesto in
particolare che l'Italia proponga a Ginevra l'immediato
invio in Turchia (e nelle
sue carceri) di un “rapporteur” della Commissione Onu per i
diritti umani.
La delegazione a Istanbul:
Alessandro Margara (magistrato),
Vainer Burani (avvocato),
Stefano Galieni (giornalista),
Claudio Lombardi (ingegnere),
Antonello Pabis (sindacalista),
Filomena Santoro (operatrice Ics)
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Sull'esperienza,
dell'incontro con il governo, del
prossimo invio in Turchia
di una nuova delegazione di giuristi,
delle iniziative parlamentari
e dell'audizione richiesta presso la
Commissione contro la tortura
del Consiglio d'Europa, si è svolto un incontro a Roma nel quale
sono anche stati proiettati filmati inediti. Oltre alle on.li Ersilia
Salvato e Luisa
Morgantini, garanti del
progetto di solidarietà con i detenuti politici in Turchia,
sono intervenuti parlamentari,
giuristi, esponenti dell'associazionismo e della cultura.
La giornata si concluderà
con una cena di sottoscrizione in favore dell'Ihd presso il Villaggio globale
(Lungotevere Testaccio).
Facciamo appello alla stampa
ed a tutte le persone e le forze sociali che avvertono
il dovere di difendere ovunque
i diritti delle persone, affinché
moltiplichino le iniziative,
le sottoscrizioni, le delegazioni, i progetti di sostegno ai detenuti e
alle loro famiglie.
Il dossier
immigrazione
(8
gennaio 2001)
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