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interviste
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Malessere da benessere
Michele Serra, il Nord, Berlusconi, l'insoddisfazione
e la paura...
di JACOPO JACOBONI Il ragazzo mucca aveva ruminato un po' e voleva tornare a muggire. Cioè ridere, «mi considero un amateur, un dilettante che si diverte con le parole». Il ragazzo mucca si era guardato dentro, adesso aveva bisogno di osservare fuori: un paese febbricitante e un nord est «ammalato di malessere da benessere». Il ragazzo mucca scorgeva attorno a sé tanti miti («dal millenarismo new age alla cura Di Bella passando per la nuova economia»), e una politica ancillare: «La vedo male: non tanto perché quasi certamente la sinistra perderà, ma perché la politica ormai è serva di economia e media. Non appassiona i giovani anche perché non ha coraggio: quello che ci vorrebbe per affermare un'identità orgogliosa di sé ma disponibile con gli altri». Il ragazzo mucca ha un nome, Michele Serra, e un nuovo libro, Canzoni politiche (Feltrinelli, 12mila lire): politiche nel senso che «osservano i comportamenti della società, di cui i potenti sono solo specchio». Adesso, parecchio opaco. Queste ballate in rima guardano dentro lo specchio e tutti ne escono riflessi, nel bene e nel male: dall'ode a Benigni al gran finale a proposito della malattia del cittadino Berlusconi («Vedo, cittadino Berlusconi/ che sei riuscito a trasformare in virtù/ la tua smania, in salute la tua malattia/ Ecco un uomo che ogni mattina dovrebbe svegliarsi e dire:/ che culo, grazie, che culo, grazie»). Incontri Serra a Mantova, per lui «terra di mangiate e soprattutto solenni bevute». E scopri che con gli amici ha aperta una disputa sui vini della zona e, in generale, su tanti rossi del nordest. Lui non può scioglierla perché, dice, mangia e beve «ma non da raffinato». Ma la pratica di antiche osterie padane aiuta anche - in vino veritas? - la ricerca di piccole verità su questa fetta d'Italia. Serra le chiama «verità di vita» perché sono patrimonio di uno che si definisce «accanito frequentatore di bar e supermercati». Per esempio, del nord: «E' una terra in cui ci sarebbero tutti gli ingredienti per vivere bene e invece manca qualcosa, senti un'insoddisfazione di fondo». C'entrerà un po' di egoismo, per esempio coi nuovi migranti? Forse, ma non è detto: «L'egoismo implica anche che ci si voglia bene. E non so se la gente del nord si voglia bene. Domina, quella sì, l'insoddisfazione. E la paura». Come è potuto
accadere?
Cosa resta? Come ai temi di Cuore, «l'unica soluzione è mettere a fuoco questo ossimoro, il malessere da benessere». Quindi, metterlo alla berlina. Assieme alla sua tv («coi soldi della bomba/ ti comprerò la Barbie/, con quelli del tritolo/ il pupazzo di Sgarbie»). Alle sue false speranze mediatiche («Il professor di Bella/ ha un nuovo protocollo/ che pur se non debella/ migliora il torcicollo»). Alle sue deviazioni tipo il turismo sessuale («Maggio. Sente il pedofilo/ il caldo tentatore/ e un bridivo esterofilo/ lo spinge a Singapore»). Alla fine, il ragazzo mucca può salutare i compagni di viaggio Benigni e Benni. Omaggiare «col dovuto rispetto» uno come Ben Gazzara («Ho sempre amato quel suo cinismo in fondo bonario: a Venezia gli chiedevano come avesse imparato a recitare e lui rispondeva: 'Vivendo'. Ironizzava sul mito di Robert De Niro e dell'Actor Studio: ecco, amo i tipi che hanno imparato dalla vita le cose che sanno»). Infine, commuoversi dedicando un paio di canzoni a un'altra Italia, fatta di gente come Andrea Pazienza e Fabrizio De André. Se a quel punto l'occhio si sarà fatto più umido e malinconico potrete sempre spegnere la luce, sedervi con lui in un sala buia, possibilmente di periferia e sognare coi feticci del cinema. Pazienza se anche lì ruminerete il dubbio, «Nick Nolte o Cher/ che cosa ne sanno di uno che ama Berlinguer?»
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(12 dicembre 2000) Le
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