di
PIETRO FRIGATO
L'assegnazione
del premio Nobel per l'economia ad Amartya Kumar Sen nel 1998 è
stata una svolta da parte dell'Accademia svedese delle scienze. L'inizio
della fine dell'imperialismo accademico della nuova destra economica?
Potrebbe davvero
darsi che, con il conferimento del premio Nobel per l'economia a Sen, le
"grida nel deserto" degli economisti critici, come le ha definite appena
nel 1996 Norbert Reuter, potranno (ri)acquistare lo status di comunicazioni
degne di attenzione in molte università del mondo, nei media e nella
discussione pubblica. Di fatto, le ricette liberiste sembrano segnare il
passo: confrontate con la realtà, esse dimostrano la pochezza dei
loro strumenti di politica economica e non sembrano in grado di ridurre
la spirale crescente dei costi sociali (disoccupazione, degrado ecologico,
crisi finanziaria e fiscale degli stati, diseguaglianze distributive eccetera)
dentro e fuori i paesi a capitalismo avanzato; a livello teorico, accanto
a tentativi pasticciati di tenere in piedi l'edificio neoclassico dominante
(neoistituzionalismo), si vede un rifiorire dell'attenzione e del lavoro
sui contributi di Marx, di Keynes e di autori "underground" come Veblen,
Commons e Mitchell.
Nato nel 1933 a Santiniketan,
nel Bengala occidentale (India), Sen ha studiato a Calcutta e poi al Trinity
College di Cambridge. Già presidente dell'American Economie Association,
l'economista e filosofo indiano ha concentrato la propria attenzione sul
problema fondamentale della giustizia sociale, approfondendo una serie
di ambiti problematici che vanno dall'analisi comparata delle cause delle
carestie e della povertà alla costruzione di indicatori in grado
di monitorare lo "sviluppo umano". Il grande merito di Sen è quello
di aver saputo affiancare ad un'analisi raffinata (al confine con la filosofia
sociale, la teoria delle scelte pubbliche, l'economia) il tentativo di
fornire gli strumenti necessari per un riorientamento delle politiche pubbliche
in direzione di un "interventismo positivo". Con l'elaborazione del complicato
"approccio dei funzionamenti e delle capacità" Sen ha tentato di
dotarci di strumenti utili per capire se alla disponibilità di beni
delle persone in un dato contesto, seguano condizioni effettive di accesso
autonomo da parte di gruppi e individui. Tutto questo, perché «il
mercato stima le merci, e il nostro successo nel mondo materiale viene
spesso giudicato dalla nostra opulenza; ma, nonostante questo, le merci
non sono nulla più che mezzi rivolti ad altri fini. In definitiva
il problema da porsi si incentra sul genere di vita che conduciamo e su
ciò che possiamo essere. Ho definito - spiega - i nostri "funzionamenti"
(functionings) le diverse condizioni di vita che siamo in grado o meno
di realizzare; correlativamente ho definito le nostre "capacità"
(capabilitìes) la nostra abilità di realizzarle. Il punto
principale è che il tenore di vita è davvero un problema
di funzionamenti e non direttamente una questione di opulenza, merci o
utilità».
Apparentemente
molto astratto ma importante per capire una cosa: nei periodi di carestia,
la gente non muore per scarsità di cibo, bensì per problemi
distributivi, poiché la disponibilità totale di cibo non
può dirci nulla sulla effettiva capacità di accesso allo
stesso bene primario da parte di differenti gruppi sociali. "Stare bene"
(come direbbe Sen), uguaglianza e libertà non sono che parti di
un unico problema.
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Amartya
Sen, nato nel Bengala nel 1933, si è laureato a Cambridge, dove
lavora al Trinity College. Nella motivazione del premio Nobel si osserva
che Amartya Sen ha dato «diversi contributi essenziali alla ricerca
sui problemi fondamentali dell'economia dello stato sociale. I suoi contribuiti
vanno dalla teoria assiomatica della scelta sociale, alla definizione degli
indici per valutare stato sociale e povertà, a studi empirici sulla
carestia». Amartya Sen, aggiunge l'Accademia svedese, ha contribuito
alla comprensione «dei meccanismi economici delle carestie».
Un altro percorso suggerito:
la teoria sociale di Karl
Polanyi |