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La scuola è antiautoritaria? No, è un'azienda...
Ecco perché non può permettersi un sette in condotta alla sua "clientela"
 

di LUCIANO LOCCI

  Si è riaperto, vivace ed intenso nelle pagine dei quotidiani, il dibattito sulla scuola italiana. E dopo lo “spinello“, si discute su alcune questioni su cui è bene riflettere. Sulla base della Carta dei diritti dello studente, il docente non può prendere dei significativi provvedimenti di carattere disciplinare che abbiano in qualche modo un riflesso sulla valutazione e quindi sul destino scolastico stesso di un allievo scorretto e maleducato. 

  Grazie a Mario Pirani che sulle pagine del “la Repubblica“ scrive “tornate al sette in condotta“, si è levato un coro di bravi genitori e premurosi docenti che ricorda quanto sia improduttivo e sterile l'autoritarismo e ribadisce che sulla severità e sulle punizioni è impossibile costruire un rapporto educativo significativo. Il tutto è stato adeguatamente “condito“ con lo scontato romanticismo della nobiltà della “missione“ della professione docente, della fantastica esperienza del vivere in classe con gli adolescenti, del sapere e degli insegnamenti che, come fiumi carsici, riemergono talvolta inaspettati dalle parole e dagli atti degli studenti.
Insegnare è sicuramente una bella esperienza; per quanto mi riguarda, non ricordo di aver mai invocato la sospensione di alcun allievo; gli allievi mi vogliono fin troppo bene e potrei far piangere il lettore rievocando tanti aneddoti di grandi manifestazioni d'affetto. Non ho mai avuto alcun problema a gestire le mie classi; talvolta mi scopro, con imbarazzo, un adorato despota. Ma non è questo il punto. 

   La correttezza, la dignità, la lealtà, la buona educazione, il reciproco rispetto sono dei valori che la scuola deve difendere? Se la risposta è affermativa, allora l'allievo che si comporta con arroganza, che compie atti di vandalismo, violenti, profondamente scorretti, deve essere, per difendere questi principi, duramente ammonito; al tempo stesso, deve esserci la consapevolezza che l'atteggiamento dell'allievo nel corso delle ore di lezione, ovviamente, dipende – ma fino ad un certo punto – dal docente, dal suo rapporto con gli studenti, fondato sull'autorevolezza e sulla chiarezza dei ruoli, più che sull'autoritarismo o la repressione. 
E' presuntuoso, tuttavia, ritenere che l'insegnante sia una sorta di guru e che costituisca l'unica variabile significativa dell'educazione dei propri allievi. Mai come di questi tempi il ruolo e le possibilità che il docente ha di incidere nelle coscienze dei ragazzi sono limitate, marginali, così come è marginale la cultura e lo spirito critico rispetto alla foga consumistica e alle letture stereotipate della realtà. 
Ma perché la scuola, oggi, ha abdicato alla chiarezza dei ruoli, alla difesa della correttezza, della buona educazione, al biasimo dell'arroganza, della prepotenza, del vandalismo? 

  Il Sessantotto e il suo viscerale antiautoritarismo non c'entrano nulla; c'entra, invece, l'idea della scuola “azienda“, che deve preoccuparsi della “customer satisfation“, della gratificazione dei suoi clienti: i ragazzi e le famiglie.
La scuola non deve procurare fastidi alla clientela, la quale deve essere, semmai, contenta, felice, svagata, piacevolmente coinvolta nelle più svariate iniziative. Per perseguire questo risultato la scuola italiana deve, in primo luogo, abdicare all'unico suo lecito obiettivo: la formazione culturale dell'allievo, perchè una seria formazione culturale non può passare soltanto attraverso una concezione edonistica, svagata, disimpegnata del sapere: apprendere il latino e la matematica è utile ma costa molta fatica. Un corso di studi serio ed impegnativo è vissuto oggi con fastidio ed insofferenza dalle famiglie,: può significare, ad esempio, rinunciare ad un week end con il proprio ragazzo, condividere con lui le ansie dello studio.
Per evitare spiacevoli fastidi alla clientela, occorre garantire il successo formativo agli allievi – clienti: e il “successo formativo“ e con esso la “produttività scolastica“ – ossia il numero di promozioni – si raggiungono attraverso un progressivo abbassamento dei livelli. 
Questo processo, attraverso il quale la scuola italiana sta rinunciando a proporre una formazione culturale dignitosa e profonda, viene presentato come una grande e radicale operazione di ammodernamento e di innovazione. 

  Due sono le vittime principali della raffica di riforme che stanno travolgendo la scuola: allievi e docenti. Gli allievi sono tratti in inganno perchè non si garantisce loro una solida formazione culturale; di questo, loro, si accorgono solo in parte e lo evidenziano a modo loro; ad esempio disprezzando proprio quei docenti che hanno insegnato, mantenendo la classe su livelli bassi e raggiungibili da tutti, grazie a valutazioni alte, utili per tenere buoni ragazzi e famiglie. 
Le altre vittime di queste poco sagge riforme sono i docenti. Non tutti, ma solo coloro che cercano di opporsi al principio della prostituzione della cultura alla soddisfazione e al benessere della clientela; sono docenti che non hanno ami parlato il didattichese perché non hanno mai amato le pseudo innovazioni, la falsa modernità che la lobby dei pedagogisti ha imposto alla scuola italiana. Sono professori che hanno ancora qualcosa da dire e da insegnare ai propri allievi attraverso classiche, intramontabili lezioni frontali – quasi un'eresia secondo i dettami del moderno pedagogismo –, che quasi quotidianamente si difendono da fiumi di circolari di provvedimenti, di griglie e di carte. 

  Dura la resistenza nella moderna scuola riformata: una volta che il preside -manager si è calato nella parte, scordandosi del suo passato di docente, persegue sistematicamente l'obbiettivo del successo formativo. Per poter incrementare la produttività della scuola occorre uniformare il lavoro dei docenti. Ecco perchè, improvvisamente, il colloquio l'interrogazione tradizionale non basta più bisogna annullare qualsiasi discrezionalità, ridurre l'intervento personale del docente. Questo spiega l'avversione dei pedagogisti ministeriali verso la lezione frontale e verso l'interrogazione a favore di lezioni interattive multimediali e test oggettivi, strutturati ed uniformati al livello standard voluto dalla dirigenza. Si assiste ultimamente alla completa demolizione della libertà d'insegnamento del docente, alla penosa delegittimazione di ogni scarto della propria cultura personale a favore della populistica e interessata omologazione. 

  In alcune scuole superiori questo processo di maniacale controllo del lavoro dei docenti da parte del preside manager è già ampiamente in atto: il cosiddetto registro personale del docente ha ormai ben poco di personale; non è quasi più possibile segnare l'oggetto della lezione. Se si scrivesse, ad esempio, “le cause delle guerre persiane“, il preside - manager potrebbe obiettare, come piè accaduto, che non si evince da quest'indicazione, la dinamica della lezione. Quali gli obiettivi trasversali? Quali le competenze, le abilità? Con quali strumenti è stata svolta la lezione? Ha utilizato il moderno docente i moderni strumenti multimediali? Ha almeno acceso la lavagna luminosa per proiettare ai ragazzi uno straccio di lucido? Alle spalle del principio del “monitoraggio continuo“ vi è una malcelata volontà di controllo totale sul lavoro dell'insegnante. I presidi – manager, fautori del successo formativo ad oltranza, si oppongono a qualsiasi frustrazione del “cliente“: non è possibile più bocciare un allievo; alcuni presidi, quando scorgono un voto negativo sul registro, rimproverano il professore, poichè ha senz'altro lavorato male; nessuna responsabilità viene attribuita al ragazzo, completamente deresponsabilizzato, nessuna responsabilità da parte della famiglia, che non ha mai investito nell'amore della cultura e del sapere. 

  Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Certamente sulla questione scuola verrà giocata un'importante partita politica; tuttavia, anche in questo campo le differenze tra le proposte del centro sinistra e le destre non sono rilevanti. Il centrosinistra ha realizzato questa politica di riforme scolastiche guidate dall'omologazione, dalla rinuncia alla cultura, dalla ricerca esasperata dell'incremento della produttività scolastica e di un populistico successo formativo. Ma vi è una profonda continuità tra la scuola riformata di cui oggi si discute con la scuola delle tre “i“ – internet, inglese, impresa – propagandata dal Polo. 

   Significativo il fatto che neanche su questo punto il centro sinistra abbia proposto un'apprezzabile e convincente critica: purtroppo, ancora una volta centro destra e centrosinistra si confondono e convergono in un medesimo progetto perché espressione di una concezione analoga della società, dell'uomo e pertanto della scuola.


o Marcello Bernardi
e la pedagogia libertaria
Intervista
del 1997

Summerhill School
La scuola dei bambini felici

L'infelicità
di bambini 
poco liberi 
e di educatori socialmente corretti 
 
 

 

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