inchieste&reportage
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La giustizia non è
uguale per tutti
I vent'anni uccisi di Margherita, dalla
droga al carcere alla morte
La
tossicodipendenza, la criminalità ad essa legata, il carcere, quando
si acciuffa un drogato con le mani nel sacco, sono temi che si prestano
a fare discutere e riflettere. Per questo abbiamo deciso di divulgare la
storia di Margherita Frisina, apparsa su «Una città»
(il numero 65, febbraio 1998, le era dedicato), mensile di Forlì
attento ai problemi del disagio. E’ giusto che una ragazza giovane, perché
eroinomane, per uno scippo di 70.000 lire, un assegno rubato, debba scontare
anni di carcere o sia costretta forzatamente dalla legge a riabilitarsi?
L'alternativa alla violenza del carcere? L’alternativa allora? Legalizzare le droghe pesanti, in modo che gli scippi, i furti dei tossici non disturbino l’ordine sociale? Il carcere quando rubano o vendono per la dose? Esiste una soluzione che sia una via di mezzo tra le due, meno coercitiva? La questione è spinosa. Le risposte molte e diverse. Tossicodipendenti e reati connessi. L’alternativa ce l’hanno: programma terapeutico o carcere. Basta che scelgano. Matematico. Il punto è che non sempre tutti sono immediatamente convinti di andare in comunità, non si sentono pronti, o non vogliono semplicemente andarci. Non tutti quindi ce la fanno a restarci. Scatta il meccanismo della fuga. Ma in affidamento, se si scappa, si torna dentro. Secondo i parametri della giustizia, il tossicodipendente che non decide subito, in base ai tempi dettati dalla legge, brucia l’opportunità di tornare ad essere un individuo normale, perfettamente sano ed integrato nella nostra società. Non ha insomma la "fibra morale" per stare al mondo. Ma per rimanere in carcere sì. Il racconto di una mamma ferita Ecco la
storia di Margherita Frisina, una ragazza dai capelli corvini.
I primi guai con la legge Margherita diventò
dipendente dalla droga a diciassette anni. Erano gli anni ’89- ’90. I guai
con la legge iniziarono con uno scippo compiuto, con un ragazzo,
ad una vecchietta. Loro a bordo di un ciclomotore. L’anziana in bicicletta.
In tutto settantamila lire di lire in contanti. Giusto il ricavato di una
dose schifosa da spararsi in vena, bollente. Per poi ricominciare. Perché
i soldi non bastano mai. Non importa quanto denaro accumuli o quanta gente
freghi: l’eroina rende costipati. E Margherita divenne costipata. Ma c’era
sua madre accanto a lei. Impotente come tutti i familiari e le persone
che ti vogliono bene e soffrono. La giovane, con il sostegno della mamma,
a cui era molto legata, decise forzatamente di intraprendere un programma
di riabilitazione per tossicodipendenti: il giudice di sorveglianza l’aveva
affidata alla comunità. Ma lei non si sentiva ancora matura per
la comunità. Per Margherita era come una condanna a morte. Aveva
paura di uscire con il cervello piatto.
"Mamma, portami via di qui o ne uscirò nelle bara" La mamma sostiene
che Margherita sentiva delle voci in carcere, quelle voci che le suggerivano
di farsi sempre del male: "Cosa ci stai a fare al mondo? Non sei buona
a nulla. Non vedi che nessuno ti vuole più bene?". Durante una visita
la donna ricorda queste parole della figlia: "Mamma, portami via di qui,
perché sennò esco dentro una bara". Non capiva bene il senso
di quelle parole la signora, perché vedeva che imbottivano Margherita
di farmaci, per via delle voci che sentiva. La situazione nervosa
della giovane era ai limiti. La madre si diede da fare. Per tirarla
fuori della prigione, si rivolse alla Usl in cerca di una comunità,
perché Margherita, con una lettera, l’aveva informata di avere
maturato la decisione di entrarvi. Era l’aprile del 1997. Ma i tempi
si allungavano, troppo.
Un'altra condanna, i permessi sospesi: il crollo Margherita stava ormai per
terminare la carcerazione. A novembre avrebbe finito. Aspettava quel momento.Sperava,
scriveva: "Anche se ci saranno queste umide e fitte sbarre, la mia anima
è libera, anche se il sole che mi guarda rimane cupo e freddo".
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"Quel sole
Dalla
Copertina di Una Città, febbraio 1998
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