Mia
madre dice: - Ma scrivi di noi, scrivi di tuo padre, del quartiere dove
sei nato. Scrivi sempre dell'Africa, di Londra, di libri che nessuno
legge, di autori che neanche conosci di persona, perché non scrivi
un poco della tua gente, mi chiedo.
Che? Ti fa schifo? -.
Non è che mi faccia
schifo, è che non ci ho mai pensato, ho sempre e solo sognato la
gioia inesplicabile della partenza, sognavo di prendere il largo come Paul
Nizan, come Rimbaud, come Chatwin, Alfieri...e di essere negro, pure, con
la pelle lucida color della liquerizia, il senso del ritmo e un uccello
enorme.
Ma insomma, hic Rhodus,
hic salta. Un nuovo-nato non sceglie nulla, né il sesso, né
i parenti prossimi, o quelli remoti, né, tantomeno, le coordinate
geografiche del luogo nel quale verrà partorito. Passata una certa
età si ragiona sul meno peggio, si dice: poteva andare male sul
serio, potevo nascere in Salvador, una città di provincia, una città
di confine, prima austriaca, poi italiana, per gli incerti della storia,
che si sveglia presto al mattino, si muove a passo di corsa...beh, è
già qualcosa, è un inizio, una prigione mediamente confortevole,
con acqua, luce, servizi igienico-sanitari, corridoi sempre immacolati...
Ho detto: - Va bene, ci
proverò. Proverò a ricordare l'infanzia di un giovane cucciolo
italiano nel capoluogo della terra di confine, Alto Adige, o anche Südtirol,
a seconda dei punti di vista - .
- Bravo. E dì qualcosa
anche di tua madre. Non ti scordare -.
La casa era un condominio
di cinque piani che, unito ad altri uguali, circoscriveva il perimetro
di un intero isolato. In mezzo i cortili, con i viali d'accesso dove parcheggiare
le automobili, gli stenditoi sui quali appendere la biancheria all'epoca
in cui non s'aveva paura né vergogna di lasciarla asciugare all'aperto,
aiuole d'erba spelacchiata, panchine, alberi. L'asfalto arriverà
molti anni dopo, i cortili per ora sono terra battuta e buche, il vento
d'estate solleva meravigliose nuvole di polvere e d'un tratto non è
più Bolzano ma il Sahara, il deserto di Gobi, le piogge primaverili
invece si riversano nelle buche creando stagni dove i più piccoli
possono immergere i piedi con voluttà. Griglie metalliche disposte
sul terreno a distanza regolare suggeriscono che, quando queste case sono
state costruite, già la guerra era un'ipotesi da prendere in debita
considerazione. Nel sottosuolo dei cortili avevano ricavato rifugi in cemento
armato, per dare riparo alla popolazione in caso di bombardamenti. Gli
accessi a questi antri misteriosi, le cui uniche tracce rimaste erano le
prese d'aria, le griglie metalliche, appunto, li sbarrarono molto prima
che io nascessi. Ho potuto vederli solo quando hanno scoperchiato i cortili
per costruire i nuovi garages sotterranei; la grande galleria corazzata,
come la spina dorsale di un enorme serpente Kundalini, come i resti di
un animale preistorico rimasto lì sotto a disseccare dai tempi del
diluvio, l'hanno dovuta rompere pezzo per pezzo con una pacchera munita
in cima di una punta d'acciaio del diametro di un tronco.
- Non divagare. Questo lo
puoi dire dopo - .
- Con che continuo, allora?
- .
- Ti ricordi di quando sei
sceso in cortile per la prima volta? Temevo che non ti saresti mai deciso.
Eri così timido... - .
Un cortile italiano nel
cuore di una terra austriaca, austriaca fino alla piccola pace che seguì
la Grande Guerra...un' Italia in miniatura, che i turisti non visitano...priva
di Erkers, tetti di scandole, balconi con gerani, moderna di una modernità
divulgativa, senza pretese... La percentuale di bambini tedeschi, sul totale,
era quasi pari a quella dei sudamericani; di venti, tanti eravamo, ce n'erano
un paio, due fratelli, che essendo nati da famiglia mista, si potevano
considerare "tedeschi per metà"... Un altro, invece, aveva madre
italiana e padre argentino, ma era venuto nella terra di confine all'età
di due anni, corona di capelli ricci, carnagione ambrata, un leader naturale...
Tutti gli altri erano 'taliani, come le figurine Panini, come il campionato
di calcio... Intorno, se ci fossimo sforzati di vedere...ci saremmo pure
accorti che era già Tirol, Mitteleuropa o quant'altro... Ma lì,
nel cortile, poteva forse essere Rovigo, o magari Treviso, o Mantova, Udine,
Vicenza... Poteva essere ovunque e poco sarebbe cambiato, se non quel fondale
di montagne bianche. Devo dire anche i nomi? Pensi che sarebbe carino?
Sono quelli degli anni '60, gli apostoli, i quattro evangelisti e qualche
variante, sono Marco, Paolo, Antonio, Federico, Luca, Giampaolo, Andrea.
Niente Manuel, né David. Le maestre a scuola li avrebbero pronunciati
sempre sbagliati.
Poteva essere ovunque tranne
che per un particolare: non c'è dialetto, qui, per i ragazzi italiani,
i nostri padri e madri e nonni e nonne sono nati tutti altrove, sono venuti
quassù durante il fascismo portandosi appresso le loro parlate,
con prevalenza dal Veneto, dal Nord-Est. Noi nuova generazione, nata qui,
sotto l'ombra di queste crode, si parla un italiano che non è un
dialetto solo ma una macedonia di tanti, condito con schegge d'Anaunia,
di Oltrepò, di Meridione, così l'aspirante giovane scrittore,
quando cresce, quando comincia a leggere, non può prendere Pasolini
o Gadda come modelli, ah no, la poetica dialettale, quella proprio non
la capisce, dopo tre pagine s'è già rotto i marroni, legge
gli autori stranieri, il suo linguaggio è quello dei traduttori,
quell'italiano lì, gli piace quello, grammaticalmente corretto,
parla il miglior italiano d'Italia, lo sanno alla Rai e infatti i mezzibusti
di Bolzano sono sempre bene accetti, molto quotati...
C'era un gergo: bocia per
bambino, ciulare per rubare (i pornofumetti alla Compravendita...educazione
sessuale sulle gesta della languida Zora...), spulare per vincere appropriandosi
di qualcosa e lasciando l'altro senza niente più, telare o tappinare
per correre, nel senso di scappare...
Troppo poco per costruirci
un racconto, pochissimo per farne un romanzo sperimentale, anche se i nomi
delle vie si sarebbero prestati, non certo via Merulana, no...ma di sicuro
via Dalmazia, reminiscenza coloniale, o via Rovigo, omaggio a una delle
nostre tante altre patrie, della polenta e scopetòn...comunque il
bambino timido deve decidersi, è timido, ma non codardo, e ci vuol
fegato, per scendere giù da basso, per presentarsi, sotto quel sole
che si riverbera nella polvere, per superare le prove che la durezza
del mondo dei bambini riserva ai suoi nuovi adepti prima di accoglierli
e omologarli, per essere messo a parte dei nascondigli segreti e delle
parole d'ordine...per giurare fedeltà ai Commandos Bolzano, parola
d'ordine "W i Commandos", controparola "Abbasso i fascisti" (è stagione
di ideologie).
- Avanti, sforzati un po'
di più. Devi dare i particolari, i dettagli - .
- Racconta te, allora. Lo
sai, non sono bravo a parlare di me. Preferisco inventare di sana pianta.
Oppure calarmi nelle vite altrui - .
- Hai forse paura di guardarti
nello specchio? Di scoprire nel passato gli indizi del presente? Io me
ne ricorderei, di cose. Ad esempio che d'estate, il pomeriggio, non ti
facevo scendere prima di un quarto alle tre, e alle due tu eri già
pronto, quei pomeriggi torridi che la gente di fuori non crede, pensano
che qui fra i monti faccia sempre fresco... - .
- E invece Bolzano è
in una conca maledetta e d'estate si soffoca? - .
- Sì, e qualche volta
ti buttavo giù dal poggiolo i soldi per comprare le sigarette e
ti dicevo di tenere il resto ed era per il ghiacciolo... - .
- Uh uh, ora non t'allargare,
però - .
- E quando pioveva vi mettevate
nel giroscala a giocare a Monopoli o a inventarvi storie del terrore, e
tu eri il più bravo a raccontarle, già si capiva che ti piaceva
scrivere e lavorare di fantasia - .
- Ma il gioco più
originale si chiamava, te l'ho mai detto, "Chi muore meglio", e si giocava
così. A turno ognuno chiamava un tipo di morte, fucile, bomba a
mano, o freccia avvelenata, e poi, mentre uno del gruppo faceva il gesto
di sparargli, di buttargli addosso una granata, o di scoccare una freccia,
lui doveva mimare come morire, era una variante di quel gioco in cui si
mima un'azione o il titolo di un film - .
- Un poco... - .
- Macabro, è vero.
Ma ora basta. Così penso sia sufficiente, e poi le storie dell'infanzia
sono uguali dappertutto - .
- Tu hai lo specifico della
terra di confine, da raccontare. E se non lo fai...sai com'è, gli
italiani del Tirol non hanno molte voci, che li raccontino... - .
C'erano Marco e Ivo, due
fratelli. Madre tedesca e padre italiano. Loro il tedesco lo parlavano.
Tra di loro e con la madre, appunto. Col padre...non credo, e neanche con
i nonni, i genitori di lui... tu lo sai com'eravamo, parlo della gente
comune, non dell'intellighenzia, parlo dei quartieri popolari, di chi ha
messo su una bottega...neanche Tagesschau, sapevan pronunciare, quella
parola che compariva tutte le sere sullo schermo dei televisori prima dello
sdoppiamento dei canali, solo uno dei tanti sdoppiamenti di questa terra,
dicevano Tagescàu, con la g di generale e la sc di sconforto...della
terra di confine non sapevano...erano venuti per il lavoro, non per l'aria
salubre...il perché di quei fuochi, all'inizio dell'estate, sulle
montagne, la festa del Sacro Cuore...i nomi delle cime dei monti...gl'insegnavano
nulla...
Marco e Ivo, Ivo e Marco.
Marco era il più giovane, tu mi dicevi: "Parlagli in tedesco". Nonostante
tutto, cominciava a farsi strada tra gli immigrati di prima generazione
il terrore che i loro figli non riuscissero mai ad imparare la lingua dei
loro vicini. Era ancora un terrore lontano, ma cominciavano a capire...
Non s'erano mai sentiti veramente dei padroni, pur essendo arrivati qui
in seguito a una guerra presumibilmente vinta, tuttavia presto avrebbero
potuto sentirsi niente più che degli ospiti...
Ivo un poco più vecchio,
un ragazzo dagli hobby misteriosi, come ad esempio riempire un barattolo
di formiche e frullarle con un cucchiaino per ricavare l'acido formico,
o studiare il mondo sub-atomico con una lente d'ingrandimento, o forgiare
con pezzi di legno mazze dalle forme strane e dai nomi ineccepibili, come
"La bugnara", la cui testa era piena di bozzi, o "La fermara", perché
in cima si biforcava, potendo essere utilizzata per bloccare i colpi delle
mazze degli avversari. O "La distruttrice", in assoluto la più bella,
una clava formidabile, con un'impugnatura intarsiata, frutto di pazienti
ore di lavoro. Io e Marco al suo confronto eravamo dei dilettanti...le
nostre armi erano di second'ordine...non brillavamo neanche come membri
della banda, se è per questo, i Commandos Bolzano, ma avevamo una
dote, eravamo degli esploratori. Siamo stati i primi ad andare tutto il
giorno a zonzo per la città, a inventariare cose insolite. Passavamo
interi pomeriggi, così, e Bolzano ha iniziato a mostrarci il suo
volto nascosto...
Comunque, è stato
Ivo a scoprire il sentiero. Fu un dopopranzo, doveva essere...l'inizio
di settembre, la scuola ancora non era cominciata. Ci disse che aveva scoperto
qualcosa di strano, dove la montagna del Virgolo sale quasi verticale,
vicino allo sbocco della galleria. Disse che ci avrebbe fatto vedere, ma
era meglio prima armarsi, lui ha optato per "La distruttrice", deplorando
l'inadeguatezza dei nostri mezzi...
Siamo partiti attorno alle
due, domenica pomeriggio, un po' appesantiti dal pranzo...e in meno di
mezz'ora abbiamo raggiunto il luogo convenuto. Ciò che Ivo aveva
scoperto era una specie di sentiero, tracciato sul pendio del Virgolo,
dalla parte che vien giù strapiombando fino alla statale del Brennero,
tagliando in due un quartiere, l'imbocco era nascosto dalla vegetazione
selvatica che cresce ai bordi delle strade...dovevamo farci largo nell'intrico
dei rami, dei cespugli spinosi...Ivo in testa, poi io, e per ultimo Marco,
che ci guardava le spalle. Presto il sentiero cominciò a salire
di brutto, e con due, tre giravolte ci trovammo all'improvviso molti alti
sopra la strada, su una specie di terrazzino naturale. Da lì si
potevano controllare gli altri punti caldi della città...quelli
menzionati dallo Schwarzes Buch...del conte Von Perchtold...libro maledetto
di maledetto autore...la torre Druso, che si drizza nella sua ambigua cilindricità
all'imbocco della gola del Rio Pus...e la sinistra chiesa dell'Ordine Teutonico,
che si apre su un lato del Vicolo della Pioggia, enorme, coperta di rampicanti,
quasi invisibile dalle strade circostanti, a dispetto delle sue dimensioni...bisogna
finirci praticamente addosso per accorgersene...
- Facciamo una pausa - disse
Ivo.
Voleva sapere se ce la sentivamo
di andare avanti. Lui, la volta precedente, s'era fermato lì. Ma
il sentiero proseguiva, diventando ancora più ripido. Per quello
che ci era dato di giudicare, dalla nostra posizione, ben presto avremmo
dovuto tirarci su a braccia, sulle rocce, correndo il rischio di cadere.
Da quell'altezza c'era di che rimanere spiaccicati. E se anche ci fossimo
solo feriti gravemente, precipitando sulla statale un Tir ci avrebbe dato
il colpo di grazia...
- Ve la sentite? - .
Che domanda. Eravamo commandos.
- W i Commandos! - gridò.
- Heil Commandos - rispondemmo
io e Marco.
E siamo andati avanti.
- E poi? - .
Aspetta, ora ti dico...questa
non te l'avevo mai raccontata, vero? Voi genitori credete sempre di sapere
tutto... Beh, insomma. Abbiamo ripreso a salire. Nei punti più difficili
c'erano dei gradini, nella roccia...opera dell'uomo...di tanto in tanto,
fra arbusti rinsecchiti, allacciati alle rocce con radici contorte, rugose
come la fronte di un vecchio, spuntavano mozziconi di ceppi, tronchi di
tralicci rugginosi, il cui scopo non riuscivamo a figurarci... La città,
giù nella conca, si apriva...nuvole in fuga gettavano interi quartieri
nell'ombra...quella distesa di casette ad un piano, con un fazzoletto d'orto
dietro, laggiù, e il cesso in cortile...Shangai, fatto per accogliere
famiglie d'origini contadine...arrivate su dal Polesine...all'epoca della
costruzione della zona industriale...Acciaierie Falck...barrivano giorno
e notte, come elefanti in calore...e la via Resia, il Limes, la frontiera...blocchi
di condomini separati gli uni dagli altri da grandi rettangoli di campagna,
coltivati a vigneto, la campagna in città...e quello, il cinema-teatro
Corso, con l'imponente scalinata marmorea...si vedeva ogni più piccolo
particolare...
Presi dall'entusiasmo non
sentivamo quasi più la fatica, e salivamo, salivamo... Finché
non abbiamo incontrato il ponte.
- Era ora - .
Un ponticello modesto, in
cemento. Però scavalcava d'un balzo una gola, una profonda ferita
sul fianco della montagna. Di là del ponte, il sentiero s'infilava
fra due macigni, e poi non si vedeva nient'altro.
Spettava a Ivo decidere,
adesso. Lui era un capitano, noi due semplici esploratori. Si tolse gli
occhiali, li pulì sulla maglietta. Controllò uno schizzo,
fatto a penna, Ivo sapeva il calcolo non-euclideo. Infine si toccò
le palle, e ci ordinò di fare altrettanto.
- Avanti - ordinò,
con voce grave.
Eccolo sul ponte, lo passa,
scompare fra i due macigni, noi gli teniamo dietro, impugnando le nostre
mazze, ma Ivo è più leggero, ci semina, lo chiamo, non ci
risponde, ho già il fiatone, e Marco sbuffa davanti a me...
- Beh? Adesso finisci -
.
Scusa, fammi prendere il
respiro.
Dunque, per farla breve,
siamo corsi dietro a Ivo. L'imboccatura fra i due macigni conduceva dentro
una specie di canyon, che proseguiva per almeno tre, forse quattrocento
metri, buio, le pareti tappezzate di muschio...alle nostre spalle il rumore
della città presto si affievolì...fino a cessare del tutto...
Ma laggiù...cosa? Ci sembra...sì, una luce, dev'essere l'uscita...di
Ivo ancora nessuna traccia...
Ah, fuori dal canyon una
luce accecante! Fummo costretti a chiudere gli occhi, a strofinarli con
le mani... Quando li abbiamo riaperti, penso che il panorama ci abbia azzerato
all'istante la salivazione, nonché ogni ulteriore velleità
esplorativa. Eravamo su una sorta di terrapieno, uno sbarramento di sassi
che faceva da argine ad un gigantesco lago artificiale, tanto grande che
la riva opposta ci sembrava lontana parecchi chilometri. Era il riverbero
del sole sulle sue acque ad averci abbagliati. E lo so, lo so, poteva averci
abbagliati al punto tale da non riuscire più a giudicare né
di distanze né di dimensioni, pure t'assicuro, era un'enorme massa
d'acqua chiusa per tre lati da picchi scoscesi, coperti solo di licheni
verdi e gialli, picchi che non riuscivo a collegare con il monte del Virgolo,
tantomeno con quello del Colle (di cui il Virgolo costituisce una piccola
propaggine). Sul quarto lato una colossale diga di sassi, sulla cui sommità
correva uno stretto camminamento, quello nel quale c'eravamo ritrovati
uscendo dal canyon. A destra, insomma, un precipizio da capogiro; a sinistra
la silenziosa distesa d'acqua, grigia, immobile, inspiegabilmente ripugnante.
Non avevamo mai saputo dell'esistenza
di un lago artificiale, lì, e non ci ricordavamo ne avessero mai
parlato i nostri genitori. La cosa certa è che non avremmo voluto
rimanere a lungo, anzi... ma Ivo? Era il nostro capitano, ed inoltre un
fratello di Marco. Senza contare che costruiva bellissime mazze, anche
se non ce le prestava mai. Bisognava prima trovare lui.
Intanto si stava profilando
all'orizzonte, oltre la cresta dell'ultima montagna, un muro compatto di
nuvole temporalesche, spinte avanti da un vento che, uscito dal nulla,
increspava l'acqua del lago.
- Teliamo? - . Non so chi
lo disse per primo. Se Marco...o io. Beh, forse io. La regola dei Commandos
era che, all'occorrenza, s'andasse a chiedere rinforzi. Mica per vigliaccheria.
Per non sacrificarsi inutilmente... Il cielo era tutto coperto, ormai...gravava
basso su quell'anfiteatro di rocce, sfasciumi...senza un uccello,
una baita, un segno di vita. Il vento soffiava, sempre più rabbioso...
E d'un tratto, mentre ce ne stavamo lì, sulla sommità della
diga, tra il dire e il fare, prima che Marco potesse commentare la mia
proposta, l'acqua vicino a noi ha cominciato ad agitarsi, si formò
un gorgo...e...e dal fondo del gorgo, senza alcun preavviso...ah, preparati,
ci siamo...mi mancano le parole...dal fondo del gorgo, che tu ci creda
o no, uscì fuori un demone smisurato, almeno...almeno dieci uomini
assieme, in altezza e in larghezza, proprio un gran mostro rosso, un bestione,
un vero incubo, con le corna, la schiena corazzata e dieci pazzesche paia
di occhi fra la fronte e l'ombelico. Dalla sua bocca vampe, dalle sue fauci
fumo, come da una caldaia che bolle sul fuoco. E in una mano stringeva
Ivo, bianco come un cencio, più morto che vivo, mezzo annegato...
Di sicuro privo di sensi.
Lo depose sul camminamento,
accanto a noi, mentre la pioggia iniziava a cadere e il vento gli pettinava
il pelo che fitto gli copriva il petto. Spalancò fauci bavose, disse
così: "Siete qui per pescarmi con l'amo, per forarmi la mascella
con un uncino?".
A questo punto anche Marco
era crollato a terra, per cui toccava a me rispondere, anche se i miei
ginocchi sbattevano uno contro l'altro.
- No...nossignore. Anzi...ce
ne stavamo giusto andando. E in futuro, le assicuro...che...noi...non ci
veniamo più a...a disturbarla - .
- Il futuro, hai detto?
Ascolta bene, caro - .
Avvicinò la sua bocca
alla mia. Vidi doppia fila di denti luccicare. Sentii il suo fiato caldo
sulla faccia.
- Ecco che cosa vedo nella
tavola apparecchiata del tuo futuro. Presto porterai il tuo cervellino
impaziente in una scuola che, per sicurezza, lo chiuderà a chiave
in una cantina - .
- Cosa? - .
- E più presto di
quanto t'aspetti, comincerai ad appestare i tuoi polmoni con fumo di tabacco
e anche d'altro, il che un giorno ti condurrà a morte sicura - .
- No. Sta' zitto! Perché
mi dici questo? Non voglio sapere! - .
- Il tuo cuore si gonfierà
di ideali. Ma il mondo, che dagli ideali non può trarre profitto
con il commercio, ti girerà attorno e li spezzerà uno ad
uno - .
- Bugiardo. C'è più
di così... - .
- La città in cui
vivi? Sarà preda di urbanisti sadici che confonderanno il
suo traffico a tal punto che nessuno oserà più uscire di
casa... - .
- C'è più
di così, nel mio futuro! - .
- E i prezzi degli appartamenti
saliranno così tanto che la gente comincerà ad andarsene,
lasciandola nelle mani di speculatori senza scrupoli, e Shangai verrà
rasa al suolo e i cinema parrocchiali chiuderanno e il Boccaccio trasformato
in grande magazzino e il Corso demolito senza pietà - .
- Non può essere!
- .
- E un bel giorno sarai
obbligato a scegliere anche tu una parte con cui schierarti, bianco o nero,
italiano o tedesco, etero o gay, carne o pesce, ma non tutti e due assieme,
tutti e due è vietato, è la cosa peggiore che potresti fare,
nella terra di confine, e chi è figlio di famiglie miste, come i
tuoi amici, qui, dovrà scegliere lui pure, pena l'esclusione dagli
incarichi pubblici e, nei casi gravi, la messa al bando definitiva dalla
terra di confine. E non avere radici piantate da qualche parte, di questi
tempi, può essere assai pericoloso, mi capisci? - .
- Ci sarà anche del
buono. Io ho fiducia, che ci sarà - .
- Non ho ancora finito.
Per quanto tu creda d'esserne immune, ti toccherà pure la peggiore
delle sorti, quella a cui solo i ricchi talvolta si sottraggono, quella
del lavoro! T'alzerai presto al mattino, t'addormenterai la sera, e mai,
mai ti sarà dato di sapere perché ti stanno facendo questo
- .
- Noooooo - .
- Eh, sì, tutto questo
si avvererà come te ne ho sommariamente fatto cenno, a meno che...
Osserva questa diga. Non è molto solida. Pure, l'hanno costruita
e poi...l'hanno lasciata qui. Nei primi tempi l'ispezionavano una volta
al mese ma adesso...sono anni che non vedo nessuno... Immagina cosa succederebbe
se cedesse. Eh? Riesci ad immaginarla, la grande ondata, che precipita
sulla conca di Bolzano, senza preavviso, in un pomeriggio come questo?
- .
"N-no, io...".
"Ascolta. Conosco ogni punto
debole di questo ammasso di pietre. C'impiegherai meno di mezz'ora. Mezz'ora
e tutto verrà sommerso sotto metri di acqua e fango. Che magnifica
uscita di scena, sarebbe, la tua!".
"E dopo?".
"Dopo...beh, dopo...che
domanda. Dopo sarai libero. Suppongo".
La folgore squarciò
il cielo sopra le nostre teste. Il demone spalancò le braccia e
rise, e risero le rocce, che finora erano state zitte, e risero le acque
del lago. Allora mi gettai sul corpo di Ivo, che giaceva dove il demone
l'aveva deposto. Aveva perso gli occhiali, però aveva ancora la
sua mazza, appesa alla cintola. Presi "La distruttrice", non l'avevo mai
tenuta in mano, prima. La sollevai sopra la testa.
"Aspetta - gorgogliò
il demone - Almeno riflettici. E` una grande occasione".
"Sì - ho ammesso
- Però non sono ancora pronto. Sono troppo giovane. E` proprio della
mia età conservare un moderato ottimismo".
Dissi così, e quindi
gli scagliai contro la mazza, senza pensare, con quanta forza avevo in
corpo. Accadde così in fretta, mi è parso persino che un'ombra
di compassione passasse sulle sue dieci paia di occhi...Marco si stava
riprendendo proprio in quel momento...
Comunque sia, l'ho preso
in piena fronte, tra le corna. E lui s'è inabissato senza un grido,
sollevando una colonna d'acqua.
Il resto è poca cosa.
Abbiamo trascinato Ivo per le ascelle a ritroso per tutto il canyon, fino
al ponte. Di là dal ponte, ci siamo fermati a riposare, ad attendere
che il capitano si riprendesse. Fortuna che era tosto come panbiscoto,
Ivo, un vero duro... Quando finalmente siamo stati tutti e tre in grado
di camminare con le nostre gambe, siamo scesi verso la città, senza
dire una parola. S'era fatto tardi, tra una cosa e l'altra...il cielo era
sereno, sì, insomma, il cielo di settembre, con quelle nuvole lunghe,
sottili, che l'attraversano, come cicatrici... Così è ritornata
la percezione della città, con i suoi parcheggi e le sue boutiques,
con la selva dei suoi permessi e dei suoi divieti, terrificante come insegne
spiegate...città alla confluenza di fiumi, incrocio di incroci...con
frontiere invisibili... con suoni ovattati, complessi, vacui e privi di
significato...
- Finisce così? -
.
- Sì - .
- Hummm...devi ammettere
che hai un po' sconfinato. Proprio non resisti, tu alla tentazione di inventarti
delle storie, con quella testa. E sì che hai trent'anni - .
- Trentadue - .
- Ma con la testa... - .
- Quattordici - .
- Come tuo padre -.
- Oh, non esageriamo, adesso
-.
- Leggevate sempre quella
roba fantascientifica... - .
- Uh uh. E` buffo. Le leggi
della terra di confine facevano di tutto per separarci, per tenere un ragazzino
italiano alla larga da uno tedesco, e viceversa...pensavano che così
le culture non si sarebbero mescolate, credo...reputavano fosse questo,
il punto importante, che la cultura si mantenesse...pura... Ma in verità
la nostra cultura veniva ormai da oltre oceano, dall'America...erano gli
albi delle edizioni Marvel, L'Uomo Ragno, Silver Surfer, 48 pagine tutte
a colori...Internet no, non ancora...piuttosto, i film di Bruce Lee...era
questo, il terreno comune, sul quale avremmo potuto incontrarci. Non so,
madre, ero più aperto a queste influenze lontane che a quello che
poteva insegnarmi chi abitava a poche centinaia di metri da casa mia -
.
- A quanto pare, ti è
dispiaciuto - .
- Non me ne sono accorto.
Sono cresciuto in un mondo tutto mio, ecco...sai che cosa voglio dire...-
.
- Certo. Ma ora è
meglio cercare una conclusione. Poi dovremo dormire - .
- Hai ragione. La notte
non ci aspetta, sul suo cammino inevitabile... - .
- E domani devi alzarti
presto per andare a lavorare. Questo continuerai a dover fare, e ritieniti
fortunato - .
Ricordo che una sera d'estate
siamo rimasti a parlare per ore, Io, Marco, Ivo, Cico e Romano, e Zebedeo
e Antonio e Fede e Paolo, mentre la notte scivolava giù dal nord
stendendosi sull'Italia, e lampi di calore l'attraversavano come flash
al magnesio di qualche fotografo curioso venuto a prendere un'immagine
dell'ultima stagione d'infanzia di cuccioli d'uomo che si apprestano a
fare qualcosa ma ancora non si sa bene cosa... Stavamo lì, seduti
sul muretto, con le gambe penzoloni nel vuoto...nessuno di noi indossava
i pantaloni corti, nessuno ancora fumava. Parlammo di quei sogni a puntate,
che ritornano, e quando succede ti ricordi che una cosa simile l'hai già
sognata, poi parlammo di biciclette, e infine che l'autunno dopo io e Marco
avremmo iniziato la seconda media (Cico Romano e Ivo la terza). E nessuno
aveva voglia di tornare a casa, anche se la consegna era che alle dieci
s'andasse su, nessuno aveva voglia più di parlare delle sue collezioni
di fumetti, e io sentivo che prima o poi, in una sera del genere, coi lampi
di calore, le risate che uscivano dai bar, la musica dei Boney M sulle
autoradio, il rombo di una motocicletta che si allontana verso Shangai,
il suono secco delle biglie del biliardo che si scontrano...in una sera
così sarei rimasto fuori a parlare, proprio come stavamo facendo
adesso, ma non con Marco, o Ivo, o Cico, o Romano, nè con Rinaldo,
o Antonio, o Federico, o Andrea...ma con qualcuno di nuovo, qualcuno di
cui ancora non riuscivo a vedere la faccia, in tutta quell'ombra...forse
con una ragazza...parlare di quello che si può fare nel corso di
tutta una lunga estate, di piscine e di campeggi, di discoteche a cui tra
poco avremmo avuto accesso, dei film vietati a minori di anni 14, o di
cose anche più personali...che volevo rinascere cinese, per diventare
un maestro di kung fu...o magari negro, come il cantante di Ràmaia,
gran ballerino, vestiti sgargianti...pensavo così e mi sono sentito
strano, triste e contento allo stesso tempo, come pioggia e sole assieme,
non solo pioggia, o solo sole, ma assieme, tutti e due assieme, mi sono
sentito...bene, in definitiva, una delle poche volte che mi è capitato...pieno
di aspettative, di desideri a cui non riuscivo a dare un nome. Tu lo sai,
madre. Quella volta credo di essermi sentito proprio...proprio da Dio.
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Questo
raccontoè stato pubblicato
originariamente
sulla
rivista
“Dialogica”
n.6, Trento, dicembre 1997
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