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BUROKRAZIA, UN BAVAGLIO ALL'INFORMAZIONE DI BASE?
L'appello di Peacelink contro l'obbligo di registrazione in tribunale delle testate on line
gestite da associazioni volontaristiche, da piccoli gruppi politici e da organizzazioni no-profit
 

di PEACELINK




    Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

(Costituzione Italiana - Art. 21)
 

     Nonostante la liberta' di espressione sancita dalla nostra Costituzione, anche un gruppo di missionari che produce informazione in rete in maniera continuativa dovra' registrare il proprio sito come qualunque altra testata giornalistica.

E' questa la tesi sostenuta da Franco Abruzzo, presidente dell'ordine dei giornalisti della Lombardia, che nei giorni scorsi ha incontrato il ministro della Giustizia Piero Fassino, assieme ai rappresentanti dell'Ordine dei Giornalisti, della Fnsi, della Fieg, della presidenza del Consiglio e dell'Ufficio del Garante della privacy per discutere le modifiche alla legge sulla stampa che potrebbero essere approvate gia' nei prossimi giorni.

Questo incontro e' stato commentato dallo stesso Abruzzo nel corso di un convegno organizzato venerdi' 17 novembre dal giornale di strada "Terre di Mezzo" e dalla rivista "Mondo e Missione". Al termine del convegno, Abruzzo ha confermato personalmente ad un rappresentante dell'associazione PeaceLink che in base alle recenti proposte di modifica della legge sulla stampa (la 47/1948) anche le associazioni, i gruppi di volontariato, le associazioni no profit e i singoli cittadini che vorranno produrre in maniera continuativa documenti e informazioni da diffondere in rete, dovranno registrare la propria "testata giornalistica" telematica e individuare un direttore responsabile iscritto all'albo dei giornalisti che sia il garante delle informazioni pubblicate sul sito.

Il tutto e' stato confermato in un articolo pubblicato da Abruzzo sul "Sole 24 Ore" di domenica 19 novembre (presente anche sul sito web dell'ordine dei giornalisti della Lombardia all'indirizzo http://www.odg.mi.it/diffamz4.htm) in cui si specifica che l'estensione degli obblighi finora riservati esclusivamente alle testate giornalistiche "su carta" non e' progetto di legge vero e proprio, ma fara' parte di una serie di emendamenti da "agganciare" alla proposta di legge n.7292/2000, che ha come primo firmatario il deputato Gianfranco Anedda e che riguarda il reato di diffamazione a mezzo stampa.

Attualmente nelle pagine dedicate ai lavori parlamentari presenti sui siti web delle istituzioni non c'e' traccia di questi emendamenti, e c'e' la possibilita' che una questione cosi' delicata come il futuro dell'informazione in rete possa essere risolta nei corridoi del palazzo, senza che la societa' civile, le associazioni e i singoli cittadini abbiano la possibilita' di esprimersi in merito a quella che potrebbe diventare una operazione di censura in grande stile dell'informazione non commerciale e non omologata.

I primi segnali di questa tendenza risalgono alla scorsa primavera, nel corso della trattativa per il rinnovo del contratto nazionale dei giornalisti, che ha visto come protagonisti i rappresentanti della FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana) e della FIEG, la federazione italiana degli editori. Nella piattaforma contrattuale presentata dalla FNSI, il tentativo di riproporre anche in rete la distinzione tra i giornalisti e il resto del mondo e' stato descritto come un modo per "garantire gli utenti" sulla titolarita' e la fonte dei prodotti informativi telematici, che concretamente avverrebbe con l'introduzione di un "pressmark", un "bollino blu" che avrebbe lo scopo di distinguere le informazioni "buone" prodotte dai giornalisti da quella che e' stata definita la "generalita' delle iniziative presenti sul mercato e nel sistema delle telecomunicazioni".

Anche l'Unione Cattolica Stampa Italiana (UCSI), per bocca di Paolo Scandaletti, ha affermato nei mesi scorsi che "si dovrebbe intanto pretendere che i siti che diffondono informazione siano iscritti nei registri stampa dei tribunali, con dei responsabili, come le altre testate a stampa e radioteletrasmesse". Un'affermazione tanto ambigua quanto preoccupante, dal momento che risulterebbe molto difficile individuare dei siti internet che non "diffondono informazione", e che una norma di registrazione simile a quella invocata da Scandaletti sarebbe inevitabilmente troppo legata alla discrezionalita' di chi dovrebbe farla applicare. Scandaletti ha rincarato la dose anche dalle pagine di "Desk", la rivista dell'UCSI. Nel numero di giugno 2000 si legge testualmente che "e' certo impossibile il controllo della rete mondiale interconnessa. Ma se i singoli paesi esigessero, sulla falsariga del registro stampa istituito presso i tribunali italiani, un responsabile per i siti informativi, forse qualche progresso sarebb
e possibile."

Questa associazione tra telematica e impunita', e la conseguente necessita' dell'individuazione di un "responsabile" per ogni singola pagina diffusa in rete, e' un argomentazione piuttosto debole, dal momento che gia' oggi per registrare un indirizzo internet e' obbligatoria la firma di una "lettera di assunzione di responsabilita'", in cui il richiedente dichiara le proprie generalita' e si dichiara responsabile delle conseguenze derivanti dall'utilizzo e dalla gestione del sito. L'unica differenza con lo scenario prospettato dall'Ordine dei Giornalisti e dall'UCSI e' che, allo stato attuale delle cose, per diventare responsabile di un sito e produrre informazioni in rete non e' necessaria, almeno per il momento, l'appartenenza ad un determinato ordine professionale.

Un'altra ipocrisia insita nel meccanismo di assimilazione dei bollettini telematici alle testate giornalistiche e' il fatto che questa equiparazione riguarderebbe unicamente l'accesso al "diritto di pubblicare" in rete, che si vorrebbe riservare unicamente ai giornalisti iscritti all'albo. Questa equivalenza viene a cadere nel momento in cui si vogliono utilizzare gli articoli pubblicati in rete come documenti di prova per l'accesso all'ordine dei giornalisti. L'equivalenza che si vorrebbe stabilire vale solo in senso escludente, per impedire ai "non giornalisti" di realizzare siti informativi, ma non trova applicazione in senso inclusivo, per permettere l'accesso all'albo a persone che pubblicano articoli e realizzano attivita' giornalistiche in rete al di fuori dei circuiti della carta stampata.

La "tutela dei lettori" e' l'altro cavallo di battaglia dei sostenitori della registrazione obbligatoria. Basterebbe alzare lo sguardo ad un orizzonte meno limitato per accorgersi che a causa dell'extraterritorialita' della rete, l'obbligo di registrazione non farebbe diminuire il numero dei siti informativi, ma al contrario farebbe aumentare il numero dei siti con informazioni in italiano che verrebbero attivati all'estero, dove la nostra giustizia avrebbe molta difficolta' ad intervenire nel caso in cui vengano effettuate attivita' illecite in violazione delle leggi italiane o dei codici deontologici del giornalismo. "L'antidoto contro il cattivo giornalismo non e' l'Ordine dei Giornalisti, ma e' semplicemente il buon giornalismo". L'osservazione e' di Jean-Pierre Langellier, editorialista di Le Monde e membro di Reporters sans Frontieres, presente assieme a Franco Abruzzo al convegno sull'informazione organizzato da "Terre di Mezzo".

Per difendere il diritto ad essere soggetti attivi nella produzione di informazioni e contro un utilizzo passivo e acritico delle nuove tecnologie, l'associazione PeaceLink (www.peacelink.it) ha lanciato un appello rivolto a tutte le persone che hanno a cuore uno sviluppo aperto e libero dell'informazione italiana.

L'associazione PeaceLink e' composta da un gruppo di volontari che dal 1992 producono in rete informazioni libere e autogestite in collaborazione con associazioni, insegnanti, educatori ed operatori sociali che si occupano di Pace, nonviolenza, diritti umani, liberazione dei popoli oppressi, rispetto dell'ambiente e libertà di espressione. Tutti i volontari di PeaceLink svolgono il loro lavoro a titolo puramente gratuito, per dare voce a chi non ha voce.

Riportiamo di seguito il testo dell'appello lanciato dall'associazione.
 
 

APPELLO PER LA LIBERTA' DI ESPRESSIONE,
DI COMUNICAZIONE E DI INFORMAZIONE IN RETE

Oggi i diritti di espressione dei cittadini si esercitano anche attraverso la telematica.

Sottoscriviamo questo appello affinche' sia garantito anche in rete il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, stabilito dall'articolo 21 della nostra costituzione.

L'attuale legislazione in Italia e' infatti squilibrata: esiste una normativa recentissima sul diritto d'autore che reprime ferocemente la pirateria informatica e telematica (per tutelare le aziende del software) e non esiste come contrappeso una normativa che tuteli i diritti dei cittadini alla comunicazione telematica, in particolare di quei cittadini che decidono di partecipare attivamente al processo di creazione delle informazioni in rete.

In tale situazione di incertezza l'informazione popolare, gratuita, amatoriale e basata sul volontariato rischia di morire a tutto vantaggio dell'informazione commerciale e centralizzata dei grandi gruppi mediatici, editoriali e televisivi.

Denunciamo il modello dittatoriale che domina il flusso planetario delle notizie. La maggior parte delle informazioni che circolano su giornali, telegiornali, radio e riviste proviene da un oligopolio di agenzie di stampa internazionali, che ogni giorno svolgono un'opera di selezione, controllo e filtraggio delle informazioni. La gente comune e' esclusa dal grande circo dei media, i cui attori principali sono le societa' che dominano il mercato dell'informazione mondiale. Quattro agenzie di stampa gestiscono da sole l'80 per cento del flusso delle notizie sull'intero pianeta: sono le americane Associated Press e United Press International, la britannica Reuter e la francese France Presse.

La maggior parte delle informazioni che riguardano il sud del mondo passa attraverso queste grandi agenzie di stampa prima di raggiungere i nostri giornali e i nostri TG. Spesso le realta' piu' emarginate e le piu' grandi ingiustizie sociali vengono semplicemente ignorate. Tutta l'informazione prodotta al di fuori del cerchio ristretto delle grandi agenzie di stampa viene soffocata e travolta dai colossi dell'informazione. I protagonisti delle notizie vengono immediatamente espropriati delle informazioni che li riguardano, e immediatamente i fatti vengono raccontati, una volta filtrati dai grandi gestori dell'informazione, senza che coloro che sono parte in causa abbiano la possibilita' di esprimersi. Tutto cio' puo' essere combattuto soltanto garantendo una molteplicita' delle fonti informative e garantendo a ogni individuo l'accesso a potenti canali comunicativi attraverso il pieno utilizzo delle nuove tecnologie della comunicazione.

La concentrazione di grandi gruppi editoriali, televisivi e mass-mediatici, frutto del cammino inesorabile verso il mercato globale, sta soffocando la piccola editoria, l'autoproduzione letteraria, la stampa locale, le piccole riviste delle associazioni e degli organismi no profit, schiacciati da un "libero" mercato sempre piu' esigente e competitivo. Ogni giorno, nell'indifferenza generale, muoiono riviste, case editrici, piccole radio locali e molte altre forme di espressione editoriale, radiofonica e televisiva che non possono garantire il profitto necessario alla propria sopravvivenza.

Questa nuova forma di censura e di limitazione della liberta' di stampa, che si nasconde dietro la presunta ineluttabilita' delle leggi economiche, e' un grave pericolo per la nostra liberta' di espressione, per il nostro pluralismo e per la nostra democrazia. I nuovi bavagli alla liberta' di stampa, alla liberta' giornalistica e alla liberta' editoriale passano inosservati alla maggior parte delle persone, e proprio per questo rappresentano una preoccupante minaccia per una societa' civile distratta. Di fronte a questa grave crisi editoriale, gia' da tempo avvertita dagli operatori del settore, rivendichiamo il diritto a forme di espressione, di stampa e di scrittura costruite con nuove regole, che diano priorita' ai contenuti e non alla vendibilita' di un prodotto culturale come un libro o una rivista, che favoriscano la produzione di informazione locale, variegata, multiforme, pluralistica e autogestita, in alternativa alle strutture che possono permettersi di sostenere i pesantissimi costi fissi necessari
per la distribuzione dei propri prodotti editoriali nei supermercati, negli autogrill e nelle edicole di ogni citta' d'Italia.

L'accesso all'informazione e ai mezzi di comunicazione (telematici e non) e' un diritto fondamentale per ogni essere umano. Gli stati, le istituzioni, gli operatori pubblici e privati devono garantire operativamente questo diritto. Il vero valore della comunicazione in rete e' rappresentato dalla persone, non dalla tecnologia. Il massimo potenziale della rete sara' raggiunto solo quando chiunque lo desideri potra' usarla in modo aperto e libero.

Tutti devono poter partecipare alle attivita' dei mezzi di comunicazione, producendo, consultando e rielaborando informazioni, in rete e fuori, senza nessun controllo governativo o commerciale, indipendentemente dalle possibilita' economiche e dalle condizioni fisiche e mentali, senza nessuna discriminazione di sesso, razza, classe sociale, lingua, orientamento sessuale e culturale.
 

Rifiutiamo qualsiasi legge o normativa che introduca in rete elementi di restrizione o repressione, o che limiti l'utilizzo delle tecnologie telematiche, come e' gia' accaduto per le tecnologie radio, dove un sistema di autorizzazioni e licenze ha di fatto impedito l'accesso diffuso e popolare alle possibilita' di cambiamento sociale offerte dalle trasmissioni radio. L'utilizzo di tecnologie per la comunicazione elettronica in rete non deve essere vincolato ad autorizzazioni o concessioni ne' limitato da ostacoli fiscali o burocratici, ne' deve essere regolato in maniera differente da quanto avviene per le altre forme di esercizio della liberta' di pensiero, di opinione, di associazione e di stampa.

Lanciamo alle realta' della societa' civile che si riconoscono in questo comunicato, alle associazioni, ai giornalisti e agli operatori dell'informazione, del diritto e della cultura un appello affinche' si affermi una normativa nazionale che incorpori civili standard giuridici finalizzati alla tutela dei cittadini della societa' dell'informazione che usano la telematica e le opportunita' offerte dalle nuove tecnologie per la propria crescita culturale, per scopi di cooperazione solidale e per la socializzazione dell'informazione democratica.

La lotta per i diritti dei cittadini del futuro per noi e' gia' iniziata.
 

Associazione PeaceLink
Per adesioni, contatti e informazioni:

info@peacelink.it
C.P. 2009 - 74100 Taranto
Tel. 0349-2258341
Fax. 1678-2279059


AGGIORNAMENTO DEL 6 DICEMBRE 2000

Vi comunichiamo i seguenti aggiornamenti sulla situazione.

1. MANCANZA DI INFORMAZIONI

La questione centrale dell'appello diffuso dall'Associazione PeaceLink 
riguarda l'obbligo di registrazione e di assegnazione di un direttore 
responsabile, un obbligo che riguardera' anche tutte le associazioni, i 
gruppi di volontariato e gli organismi no-profit che diffondono 
informazioni in rete e che verranno di fatto equiparati a testate 
giornalistiche.

L'introduzione di questo obbligo nasce da una proposta presentata al 
Ministro Fassino da Franco Abruzzo, presidente dell'Ordine dei Giornalisti 
della Lombardia.

Di questa proposta NON SI HA NESSUNA NOTIZIA, SE NON PER QUANTO E' STATO AFFERMATO DALLO STESSO ABRUZZO.

All'interno dei siti istituzionali (www.parlamento.it in testa a tutti) non 
e' disponibile nessun tipo di informazione in merito a questa proposta. 
Stando alle affermazioni di Abruzzo, tutte le novita' in merito alla 
registrazione dei siti Web dovrebbero essere introdotte sotto forma di 
emendamenti alla proposta di legge n. 7292/2000, presentata dal deputato 
ANEDDA.

Nonostante la carenza di informazioni "ufficiali" questo orientamento 
politico e' stato confermato personalmente dallo stesso Franco Abruzzo nel 
corso di una intervista telefonica rilasciata a Radio Onda d'Urto di 
Brescia il 30/11. In questa intervista Abruzzo ha confermato che se 
dovessero andare in porto le modifiche alla legge sulla stampa concordate 
con il ministro Fassino tutti i siti che diffondono informazione in maniera 
continuativa verranno equiparate a testate giornalistiche, con il 
conseguente obbligo di registrazione.

Un'altra conferma viene da un articolo pubblicato sulla versione 
elettronica del settimanale "L'Espresso" <www.espresso.it>. In questo 
articolo vengono riportate due inquietanti dichiarazioni rilasciate dal 
solito Franco Abruzzo:

«Queste misure, in realtà, sono già operative, ma verranno sancite dalla 
nuova legge. Non importa se sono associazioni o società: chi produce 
notizie deve rispettare le regole».

«Non si tratta di oscuramento», dice Abruzzo «non siamo censori di nessuno. 
Abbiamo soltanto voluto riaffermare i principi che regolano il mondo 
dell'informazione applicate alle nuove tecnologie».

A questo punto, indipendentemente dalla natura dei provvedimenti che stanno 
per essere approvati, e' quantomeno inquietante che un dibattito delicato 
come quello che riguarda l'assetto dell'informazione nel nostro paese, 
venga confinato al dialogo privato tra il rappresentante di una categoria 
lavorativa e il Ministro della Giustizia. Anche se Abruzzo e Fassino 
stessero per approvare un provvedimento giusto e legittimo, non e' giusto 
ne' democratico che di questa approvazione non ci siano tracce nei luoghi 
ufficialmente preposti alla pubblica documentazione delle 
attivita'  istituzionali.

Non e' tollerabile che un cittadino qualunque debba imbattersi casualmente 
nel sito di PeaceLink per trovare informazioni che dovrebbero essere 
fornite alla luce del sole dal governo, dall'Ordine dei Giornalisti o dalla 
Federazione Nazionale della Stampa.

AVVISO IMPORTANTE: Chiunque possa fornire informazioni utili in merito a 
quanto sta accadendo dietro le quinte per l'introduzione dell'obbligo di 
registrazione per i siti web e' caldamente invitato a mettersi in contatto 
con l'associazione PeaceLink scrivendo a info@peacelink.it oppure 
telefonando allo 0349/2258342.

2. MOBILITAZIONE

Molte persone ci hanno chiesto cosa fare, come comportarsi e come reagire a 
questa minaccia della liberta' di espressione. Chi gestisce un sito 
internet puo' aggiungere alle sue pagine il "banner" presente all'indirizzo 
http://www.peacelink.it/censura - si tratta di una immagine da applicare 
facilmente alle proprie pagine web per aderire anche visivamente e 
graficamente al nostro appello. Chi non ha la fortuna di poter pubblicare 
informazioni su pagine internet puo' impegnarsi per inoltrare il nostro 
appello attraverso la posta elettronica, o per farlo uscire dalla rete 
stampandolo e fotocopiandolo su volantini da affiggere all'interno delle 
sedi dei partiti, delle associazioni e dei sindacati.

Un altro aiuto prezioso e' la SEGNALAZIONE DI TUTTI GLI ARTICOLI pubblicati 
su riviste, quotidiani e siti internet in merito al nostro appello e alle 
nostre iniziative. Anche queste segnalazioni possono essere inoltrate 
all'indirizzo di posta elettronica info@peacelink.it o attraverso il numero 
telefonico 0349/2258342.

3. I NOSTRI MULINI A VENTO

Molte persone che ci hanno scritto per aderire all'appello ci hanno fatto 
notare come non sia poi il caso di prendersela tanto, dal momento che nel 
caso venissero approvate le norme restrittive che stiamo cercando di 
evitare sarebbe facilissimo trasferire il nostro sito web e quello di tutti 
gli altri organismi no-profit in un paese dove non sarebbero soggetti alle 
leggi italiane. Questa soluzione per noi e' inaccettabile, e 
rappresenterebbe una gravissima sconfitta per la nostra democrazia.

Non ci basta la tranquillita' di poter proseguire comunque le nostre 
attivita' su un server francese, thailandese o australiano. Quello che 
cerchiamo di affermare e' il diritto degli italiani a fare informazione in 
Italia senza la presenza di ostacoli burocratici o legislativi contrari 
alla liberta' sancita dall'articolo 21 della Costituzione.

Qualcuno potra' pensare che si tratta di una lotta contro i mulini a vento, 
ma noi siamo convinti che si tratta di ben altro. Il fatto che la rete 
offra la possibilita' di aggirare la censura dei singoli paesi non deve 
essere una scusa per chiudere gli occhi davanti alle forme di  censura piu' 
o meno palesi che vengono praticate in Italia. Non a caso nel nostro 
appello abbiamo citato tra le varie forme di censura anche quella praticata 
dalle leggi di mercato a danno dei piccoli editori, delle riviste 
indipendenti e di tutti i soggetti informativi che, pur forti sul piano dei 
contenuti, non riescono ad avere la forza economica necessaria per 
sopravvivere.

4. LA DIMENSIONE INTERNAZIONALE

Nei prossimi giorni al solito indirizzo - www.peacelink.it/censura - verra' 
pubblicata anche una versione in lingua inglese del nostro appello, per 
raggiungere anche al di fuori dei nostri confini tutti i soggetti e le 
organizzazioni che lottano per affermare anche in rete il diritto alla 
liberta' di espressione, di comunicazione e di informazione.

Tra pochi giorni tutti coloro che vogliono sostenere le nostre attivita' 
potranno farlo anche prelevando liberamente la versione in lingua inglese 
del nostro appello, da inviare ad amici, gruppi e associazioni che non 
parlano l'italiano. Nel caso qualcuno riceva delle adesioni direttamente in 
risposta al proprio messaggio, e' pregato di inoltrarle all'indirizzo 
info@peacelink.it

Per finire vorremmo ringraziare tutte le persone che hanno aderito al 
nostro appello, trasmettendoci oltre alla loro semplice adesione anche la 
loro rabbia e la loro indignazione di fronte a quello che sta per accadere.

Per l'Associazione Peacelink

Carlo Gubitosa

o Se vuoi puoi andare
all'aggiornamento
del 6 dicembre

- 27 novembre:

Abbiamo ricevuto questa denuncia e questo appello di Peacelink contro quello che appare un tentativo di burocratizzare la comunicazione e l'informazione in Internet. 
Personalmente, come coordinatore di Nonluoghi e giornalista professionista, aderisco all'appello e invito i colleghi a farlo. 
Credo che la qualità dell'informazione che oggi viene offerta dai grandi mass media italiani sia sufficiente a dimostrare l'importanza della miriade di voci e di informazioni assai più approfondite e affidabili che si trovano oggi in rete anche nei siti più piccoli magari gestiti da gruppi di attivisti che hanno contatti diretti e notizie di prima mano dalle realtà che descrivono.
Posto che la dichiarazione di assunzione di responsabilità è già obbligatoria per chi voglia registrare un dominio nel Web, mi pare non sussistano ragioni per introdurre nuovi controlli burocratico-giudiziari erga omnes. Tanto più se si considera quanto facilmente sia possibile creare un sito in lingua italiana residente fisicamente a migliaia di chilometri dalla penisola, quindi extraterritoriale.
Il problema dell'individuazione del responsabile da perseguire nei casi di querela per diffamazione a mezzo stampa mi sembra dunque facilmente risolvibile mediante la registrazione dei domini (affidata all'autorità  presso il Cnr) o dei responsabili di un determinato url (affidata ai provider).
Ma la questione della testata si intreccia con quella più generale della tutela della professione giornalistica. Continuano a nascere portali
in cui a fare giornalismo sono persone assunte con contratti di altre categorie e da oltre un anno su questa 
e altre questioni connesse con l'informazione online si confrontano gli editori e il sindacato dei giornalisti. I primi vorrebbero un'ampia deregolamentazione per spendere meno, il secondo difende la categoria ma parla anche di qualità dell'informazione.
Su questo punto si potrebbe discutere a lungo. Quel che mi pare evidente è che la posizione degli editori è la solita: meglio l'uovo oggi che la gallina domani (molti sembrano pensare che l'informazione online serve solo come veicolo per l'e-commerce, cosa importa se non è fatta bene? Dunque, via con i dilettanti allo sbaraglio...). 
Per parte sua, il sindacato, di fronte al desolante panorama dell'informazione difende un'idea di qualità che però oggi mi sembra arduo far coincidere tout-court con i confini della categoria, anche se naturalmente è sacrosanta la battaglia contro
lo sfruttamento della forza lavoro e il degrado ulteriore dei modi e dei tempi con i quali si producono le informazioni in Italia.

La stessa nascita di Nonluoghi è legata a una forma di contestazione del modo di informare
e dunque dei meccanismi dominanti nel sistema dei media in cui tra l'altro si tende all'aumento della quantità a scapito della qualità del lavoro. Dunque, ben venga 
la battaglia della Federazione nazionale della stampa se vuole arginare questi processi di degrado; ma nel contempo va ravvivato il rapporto con la società (anche attraverso nuovi raccordi fra le redazioni e i siti di informazione volontaristica...).
I giornalisti professionisti dovrebbero essere i primi ad opporsi 
a forme di burocratizzazione della rete come quella qui paventata, che si rischia siano percepite come un'interferenza corporativa proprio dai potenziali alleati 
dei giornalisti 
nella importante battaglia
per la qualità dell'informazione.
Finora in questa presunta battaglia i giornalisti sono stati soli e incompresi, questa potrebbe essere l'occasione per aprire nuovi contatti.

Nonluoghi nasce come testimonianza critica, dall'interno della categoria; come tentativo
di sperimentare
nuove forme 
di informazione anche andando a caccia
di altre fonti, fuori dai vari palazzi, di altri criteri per stabilire
le priorità, 
di altre voci e compentenze nella società e nella rete che non vanno imbrigliate.

Dunque, se si vuole pensare a un'ipotesi di doppia registrazione (all'autorità dei domini e in tribunale), si consideri di limitarla alle realtà di una certa dimensione (con dipendenti) e che facciano informazione
a scopo di lucro.

Sarebbe invece un'implicita limitazione dell'accesso pubblico all'informazione obbligare a registrarsi in tribunale e dunque a trovare un giornalista iscritto all'albo e a spedere dei soldi, tutti
i piccoli siti che rendono così vasta e approfondita l'offerta informativa online. 

A rompere l'omologazione
della stampa e ad aprire prospettive 
di arricchimento dell'informazione democratica sono anche tutti questi piccoli  siti, non le burocrazie giudiziarie.
 

zenone sovilla


(27 novembre 2000)
 
 

Aggiornamento
del 6 dicembre

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