Bosnia, nuovo governo. Serbia, Milosevic
nel mirino dei giudici
Posted by data on 2/3/2001,
0:01:03
Administration
(Notizie a cura di LUKA ZANONI)
Bosnia ed Erzegovina- Nomine
e nuovo Governo
Il 27 febbraio scorso durante
la prima seduta di lavoro della Camera popolare del Parlamento della FBiH
(Federazione Bosnia ed Erzegovina) è stata confermata la nomina
di Karl Filipovic per la presidenza federale e quella di Safet Halilovic
per la vicepresidenza. Entrambi appartengono a due partiti ( Filipovic
all'SDP e Halilovic alla SBiH) che hanno formato l'Alleanza per il cambiamento
(Alijansa za promjene), una coalizione di dieci partiti che ha raggiunto
la maggioranza per formare il nuovo governo della BiH.
Il nuovo presidente ha subito
dichiarato che entro venerdì saranno noti i nomi dei mandanti e
che entro dieci giorni verrà nominato il nuovo Governo federale,
che questa volta lavorerà come un "complesso omogeneo".
Serbia - A giorni l'arresto
di Milosevic?
A quanto pare la data dell'arresto
dell'ex presidente della SRJ, Slobodan Milosevic, dovrebbe essere il prossimo
10 marzo. Così ha comunicato una fonte anonima, appartente alle
alte sfere di DOS, all'agenzia Beta lo scorso mercoledì. Milosevic,
sostiene la fonte, dovrà andare in prigione non solo per il cambiamento
della legge
che gli ha consentito di
comprare la villa sulla collina di Dedinje, ma anche e soprattutto per
i crimini compiuti, le malversazioni finanziarie, le scomarse di persone
e gli omicidi che si sono susseguiti in Serbia negli ultimi due anni, primo
fra tutti quello del giornalista Slavko Curuvija. Il vice presidente serbo
Korac ha riferito che tra
poco saranno noti i dati
relativi all'omicidio del giornalista ucciso nel 1999 in Montenegro, sottolineando
che l'indagine contro Radomir Markovic (anch'egli arrestato di recente)
mostra che ci sono dei collegamenti tra la politica e gli omicidi.
Croazia - Crimini croati
al Tribunale dell'Aja
Dopo l'incriminazione da
parte del Tribunale internazionale dell'Aja del generale Norac sotto processo
per la strage di Gospic, altri due protagonisti della guerra di Bosnia
sono stati condannati. Si tratta di Dario Kordic e Mario Cerkez entrambi
di nazionalità croata. I due ufficiali dell'Hvo (Consiglio della
difesa croata, in sostanza l'esercito croato) sono stati condannati rispettivamente
a 25 anni il primo e 15 il secondo per crimini contro l'umanità.
Il business della tortura:
nuovi strumenti "high-tech"
Posted by data on 2/3/2001,
11:07:47
Administration
TORTURA: IL COMMERCIO SI
DIFFONDE CON STRUMENTI
SEMPRE PIU' SOFISTICATI
Amnesty International ha
presentato oggi, in una conferenza stampa
tenutasi a Washington, il
rapporto "Fermare il Commercio della
Tortura", che rivela come
il commercio internazionale di scudi,
bastoni, fucili e cinture,
che provocano scariche elettriche ad alta
tensione, si sia ampliato
durante gli anni '90. Tale commercio include
i 'tasers', che sparano
sulle vittime fino a dieci metri di distanza
dardi 'ad amo' connessi
a fili elettrici, e cinture elettriche, che
vengono applicate ai detenuti
ed azionate per mezzo di telecomandi.
E' noto che delle volte
queste cinture hanno scaricato per errore
sui reni di alcuni prigionieri
scosse a 50.000 volt fino a otto
secondi di durata. Questa
tecnologia e' stata introdotta negli Stati
Uniti e si e' diffusa in
Asia, Europa e Sudafrica.
"Negli anni '70 c'erano solo
due aziende note per la
commercializzazione di armi
a scarica elettrica ad alta tensione, e
ora ce ne sono piu' di 150
in tutto il mondo," dichiara Amnesty
International. "In assenza
di controlli rigorosi e per impedire che
queste attrezzature finiscano
nelle mani di torturatori, i governi
responsabili devono immediatamente
proibire la loro esportazione."
Negli ultimi due anni, piu'
di 150 societa' operanti in 22 paesi
hanno prodotto o commercializzato
armi a scarica elettrica. Oggi
probabilmente le aziende
taiwanesi, sudcoreane e cinesi producono
piu' armi a scarica elettrica
delle aziende americane. Fra i
principali produttori vi
sono anche delle societa' tedesche, francesi
ed israeliane, e recentemente
hanno fatto il loro ingresso nel
mercato aziende polacche,
russe, ceche, messicane, brasiliane e
sudafricane. Il governo
tedesco non consente l'uso di queste armi
alla propria polizia o nelle
proprie carceri, ma permette alle
societa' tedesche di commercializzarle
e venderle all'estero.
Attualmente il governo sudafricano
sta promuovendo attivamente la
vendita di cinture elettriche
in Asia, e le sta utilizzando in patria
sui detenuti.
"Fermare il Commercio della
Tortura" fa parte di una serie di
rapporti che Amnesty International
sta pubblicando nel corso della
Campagna "Non Sopportiamo
la Tortura.". Il rapporto mette in risalto
anche il commercio, da parte
di oltre 40 societa', di dispositivi di
sicurezza piu' convenzionali
che possono essere utilizzati per
commettere gravi abusi contro
i diritti umani, come sistemi di
contenzione meccanica e
spray chimici.
Secondo Amnesty International
anche specifiche competenze in materia
militare, di sicurezza e
di polizia insegnate a livello
internazionale sono state
utilizzate per la tortura. Centinaia di
diplomati della 'School
of the Americas', negli USA, sono stati
coinvolti in violazioni
dei diritti umani in Sud America. Questa
scuola militare e' una fra
gli oltre 150 centri negli USA e
all'estero in cui vengono
formati ufficiali non americani. Le
informazioni pubbliche sulla
loro formazione in tema di diritti umani
sono minime.
"Fermare il Commercio della
Tortura cita anche l'addestramento,
mirato alla sicurezza, fornito
dalla Francia e utilizzato in Togo a
scopo di tortura e intimidazione
della popolazione civile. A un alto
ufficiale della gendarmeria
togolese, accusato dalla Commissione
nazionale togolese per i
diritti umani di aver ordinato la tortura di
quattro persone nell'agosto
del 1990, e' stata conferita dal governo
francese la decorazione
dell'Ordine nazionale al merito. In un altro
caso, agenti dei servizi
di sicurezza israeliani hanno pagato e
addestrato guardie e investigatori
che interrogavano i prigionieri
nel famigerato centro di
detenzione di Khiam nel sud del Libano,
finche' questo non e' stato
chiuso nel maggio del 2000: gli agenti
israeliani estorcevano informazioni
sotto tortura.
"A meno che l'addestramento
relativo alla sicurezza non sia
strettamente controllato
e monitorato da entita' indipendenti, c'e'
sempre il pericolo che venga
utilizzato per facilitare violazioni dei
diritti umani," dichiara
Amnesty International. "C'e' la pressante
necessita' di cambiamenti
concreti nel modo in cui i governi
autorizzano e tengono sotto
controllo la produzione, il trasferimento
e l'uso di attrezzature
e 'know-how' relativi alla sicurezza."
In particolare, Amnesty International
sollecita i governi a:
1) proibire l'utilizzazione
di attrezzature di polizia e di sicurezza
il cui uso sia intrinsecamente
crudele, inumano o degradante. Proibire
la produzione, la promozione
e la vendita di queste attrezzature,
anche ad altri paesi. Tale
proibizione dovrebbe comprendere ceppi,
cinture elettriche e dispositivi
evidentemente dolorosi come le
manette serrapollici;
2) sospendere il trasferimento
internazionale di armi a scarica
elettrica e a gas al pepe,
ceppi, manette serrapollici e sedie di
contenzione in attesa dell'esito
di un riesame rigoroso ed
indipendente degli effetti
di questi dispositivi. Sospendere il
trasferimento di tali attrezzature
ad altri paesi fino alla fine di
questo riesame;
3) garantire che l'addestramento
del personale militare, di polizia e
di sicurezza di un altro
paese non includa il trasferimento di
specializzazioni, conoscenze
e tecniche che possano verosimilmente
prestarsi alla tortura.
Ufficio Stampa
Amnesty International
Roma, 26 febbraio 2001
Indonesia, le accuse alla
Nike
Posted by data on 27/2/2001,
11:18:28
Administration
(Riceviamo e pubblichiamo)
NIKE IN INDONESIA
Avrete letto nei giorni scorsi
sulla stampa dell'uscita di un rapporto della Global alliance for workers
and communities, un organismo internazionale di cui Nike fa parte, che
ha reso pubbliche le violazioni dei diritti umani e sindacali nelle fabbriche
indonesiane di Nike. Il rapporto puo' essere letto al sito www.nikebiz.com/labor.
NIKE IN MESSICO: AGGIORNAMENTI
SUL CASO DELLA KUKDONG DI ATLIXCO
I rapporti di due organismi
indipendenti confermano la violazione dei
diritti dei lavoratori messicani
di Nike (fonte: Maquila Solidarity Network, 26 gennaio 2001 - Maquila Solidarity
Network (MSN) / Ethical trading action group (ETAG), 606 Shaw Street,
Toronto, Ontario M6G 3L6,
Canada; tel. 416-532-8584; fax 416-532-7688; www.maquilasolidarity.org)
Riepilogo del caso:
All'inizio di gennaio, 800
lavoratori della Kukdgong, azienda coreana che produce per Nike in Messico,
scendono in sciopero per i loro diritti e per il riconoscimento di un sindacato
indipendente. Sono attaccati brutalmente dalla polizia che fa 15 feriti.
Le proteste che si levano nel paese da parte di organizzazioni sindacali
di altre categorie, fra cui quelle dei telefoni e della Volkswagen, e la
crescente pressione internazionale convincono la direzione della fabbrica
a
consentire il rientro degli
scioperanti senza ritorsioni. Ma alla ripresa
del lavoro, diversi attivisti
sindacali trovano la strada sbarrata, altri
vengono allontanati con
la forza dal sindacato ufficiale che i lavoratori
non riconoscono.
L'importanza di questo caso
come banco di prova dei codici di condotta.
Il conflitto di lavoro in
corso alla Kukdong di Atlixco riveste una
particolare importanza in
relazione al dibattito in corso sull'applicazione dei codici di condotta.
Alla Kukdong, infatti, si confezionano felpe Nike per almeno 14 grandi
universita' degli Stati Uniti i cui contratti di fornitura sono coperti
da un codice di condotta. Alcune di queste universita' aderiscono al Workers'
Rights Consortium (WRC), altre alla Fair Labour Association (FLA), altre
ancora aderiscono a entrambi. (il Workers' rights consortium e' un organismo
creato da studenti, docenti e sindacati con lo scopo di verificare il rispetto
dei codici di condotta universitari attraverso ispezioni indipendenti nelle
fabbriche che producono su commissione per aziende fornitrici delle universita';
la Fair labour association e' un'agenzia della Apparel industry partnership,
nota anche come The Clinton coalition, organismo di cui fanno parte alcune
imprese di abbigliamento e sindacati con lo scopo di definire un codice
di condotta
comune e criteri per il
suo monitoraggio, n.d.t.).
Il diritto violato alla libertà
di associazione dei lavoratori della Kukdong e' diventato un punto cardine
delle mobilitazioni studentesche promosse dai gruppi che si riconoscono
nella rete
di "Students against sweatshops"
(USAS), presente nei campus degli Stati uniti. Il caso, infatti, e' un
banco di prova importante non solo della capacita' di Nike e del suo sistema
di monitoraggio esterno di garantire il rispetto della liberta' di associazione
presso i suoi subfornitori, ma anche dell'efficacia delle azioni previste
da WRC e FLA per imporre l'osservanza dei codici di condotta universitari.
I risultati di due indagini
indipendenti condotte a fine gennaio da un team del Workers' rights consortium,
in rappresentanza di 67 universita', e dall'International labor rights
fund (ILRF) per conto della Fair labour association, in rappresentanza
di 149 universita', confermano che ai lavoratori più attivi nello
sciopero del 9 gennaio e' stato negato il rientro in fabbrica e che il
diritto alla liberta' sindacale e' stato violato. La relazione del WRC
sottolinea che cio' e' in contrasto con le leggi del lavoro messicane,
le convenzioni dell'Oil e il codice di condotta di Nike, ed invita le universita'
aderenti ad assumere iniziative per consentire la riammissione dei lavoratori
allontanati (la relazione si trova sul sito: www.workersrights.org). La
relazione dell'ILRF sollecita Nike a inviare un incaricato con il mandato
di indurre la direzione della fabbrica alla revoca delle sospensioni. Poiche'
l'indagine dell'ILRF e' stata condotta su richiesta di Nike da un autorevole
avvocato del lavoro messicano, sara' difficile per la stessa ignorarne
le raccomandazioni.
All'azienda di social auditing,
Verite, sarebbe' stato affidato l'incarico
di effettuare un monitoraggio
indipendente presso la Kukdong. Verite e' il primo ente di certificazione
sociale ad essere accreditato all'interno del programma di monitoraggio
esterno e di certificazione di FLA. Il caso Kukdong rappresenta un duro
colpo per la credibilita' di Nike con riferimento alla asserita efficacia
del suo codice di condotta e del suo sistema di monitoraggio esterno. Nel
marzo dell'anno scorso,
PricewaterhousCoopers effettuo'
un audit della fabbrica e dichiaro' che la direzione aveva "stabilito con
i propri dipendenti rapporti flessibili e
trasparenti" e che "i dipendenti
sentivano di poter esporre liberamente i propri problemi in un clima improntato
a correttezza e a un'efficace ricerca delle soluzioni".
Potete ricevere il testo
delle varie relazioni inviando un messaggio a
ermont@tin.it
Turchia in Europa? Prima rispetti i
Kurdi e sviluppi la democrazia
Posted by data on 27/2/2001,
11:29:28
Administration
La soluzione della questione
curda e la democratizzazione del paese come pregiudiziale a ogni ipotesi
di passaggio diplomatico verso l'adesione della Turchia all'Unione europea:
è quanto emerso a Roma nella conferenza internazionale "L'adesione
della Turchia all'Unione Europea: democrazia, diritti umani, questione
kurda".
Ripotiamo qui sotto la mozione
conclusiva dell'incontro promosso dai parlamentari italiani del "Comitato
interparlamentare per la prevenzione dei conflitti e il dialogo tra i popoli",
organizzazioni non governative e amministrazioni locali.
Sono intervenuti:
i deputati italiani Marco
Pezzoni (DS), Walter De Cesaris (PRC), Ramon Mantovani (PRC), Alessandro
Forlani (CCD), Luigi Saraceni (Verdi). Patrizia Carrera (Amnesty International),
Mirella Galletti (storica) Ismet Cherif Vanly (Presidente del KNK: Kurdistan
National Conress), Akin Birdal (IHD), Feridun Yazar (HADEP), Irfan Dundar
(avv. della difesa di Ocalan), Arturo Salerni (avv. al procedim. per l'asilo
politico in Italia ad Ocalan), Feleknas Uca (europarlamentare), Luisa Morgantini
(europarlamentare), Dino Frisullo (Azad), Donatella Linguiti (Prov. di
Ancona, e Ciscase), Alessandra Mecozzi (Fiom Internazionale), Bruno Ficili
(Ass. Educatori di Pace), Fabio Marcelli (CRED), Pietro Ingrao.
- MOZIONE FINALE
ROMA 16 FEBBRAIO 2001
I promotori della Conferenza
Internazionale
Consapevoli che i processi
di distensione e integrazione tra i popoli rappresentino una scelta strategica
per assicurare una prospettiva di pace e cooperazione, di salvaguardia
dei diritti umani e di affermazione della democrazia e che ciò sia
particolarmente importante per aree del pianeta dove sono in corso conflitti
che si trascinano da anni e che rendono non praticabili quei processi di
distensione e integrazione, ostacolando, nel contempo, quell'affermazione
dei diritti umani e di standard accettsbili di democrazia, che sempre più
la comunità internazionale assume come parametri fondamentali di
riferimento;
Convinti che la strategia
di integrazione e inclusione da parte dell'Europa nei confronti dei popoli
vicini possa essere fondamentale affinché vengano affermati il rispetto
dei diritti umani (tra cui l'abolizione della pena di morte), la pace,
il riconoscimento e il rispetto delle minoranze, la convivenza pacifica
e cooperativa tra le diverse culture e tradizioni e che in tale prospettiva
debba essere valutata come vinvolo la richiesta di ingresso della Turchia
all'UE;
Convinti che il popolo kurdo
e le sue rappresentanze siano, e quindi debbano essere riconosciuti, come
uno dei motori essenziali di questo processo di integrazione in Europa
e di convivenza pacifica;
Ritenendo che sempre più
l'Europa debba farsi promotrice e parte responsabile, nelle aree difficili,
dei processi di transizione per l'affermazione dei diritti umani, del riconoscimento
dell'identità politica e culturale delle minoranze, dei diritti
sociali, cos come espresso autorevolmente dal Parlamento europeo. Ciò
non è solo una questione di solidarietà con le lotte e le
iniziative di coloro che soffrono il non rispetto di quei diritti, ma riguarda
direttamente il futuro della costruzione dell'Europa.
Auspicando che il popolo
kurdo della Turchia, proceda nella direzione di dotarsi di forme di rappresentanza
più ampie ed unitarie, tali da favorire un riconoscimento interno
ed internazionale che è, comunque, doveroso e necessario;
Chiedono solennemente:
alle istituzioni, a tutte
le forze politiche, economiche e sociali della Turchia di avviare, finalmente,
un dialogo con il popolo kurdo e le sue rappresentanze per affrontare insieme
i nodi delle riforme costituzionali e le garanzie per un nuovo sistema
politico - istituzionale pluralistico e democratico che riconosca l'identità
culturale e politica del popolo kurdo, garantisca il rispetto dei diritti
umani, avvii una pacificazione del territorio del sud est del Paese;
ai governi europei di prendere
atto della rappresentatività delle forze e degli organismi kurdi
e di favorire una loro legittimazione internazionale, così da aprire
la strada a un mutuo riconoscimento e dialogo fra le parti in conflitto;
agli stessi governi e all'UE
di assumere una forte iniziativa anche in sede ONU per un monitoraggio
della situazione delle minoranze e dei diritti umani e per l'avvio di un
processo di pace, sulla base dei principi del nuovo diritto internazionale
e delle esperienze in altre aree del pianeta.
Affari multinazionali: nota
di Clean Clothes Campaign
Posted by data on 28/2/2001,
10:36:15
Administration
(Comunicato da Clean Clothes
Campaign)
Di seguito trovate aggiornamenti
sui casi: 1)Choudury Knitwear in
Bangladesh, 2) Iniziative
di Jim Keady (Living wage project) verso la Nike, 3) Triumph nelle Filippine
, 4) Kimi in Honduras.
Ersilia Monti ((Coordinametno
lombardo nord/sud del mondo - ermont@tin.it)
AGGIORNAMENTI
1) Incendio della fabbrica
Choudury Knitwear in Bangladesh
BREVE RIEPILOGO DEL CASO:
2 incendi mortali in fabbriche di abbigliamento per l'esportazione uccidono
in Bangladesh fra agosto e novembre 65 persone.
Cause: impianti inadeguati,
locali sovraffollati, uscite di emergenza
bloccate.
NOVITA': poche. A chi ha
inviato un email di solidarieta', il sindacato
locale ha comunicato all'inizio
di dicembre le iniziative realizzate:
manifestazione sindacale
unitaria, veglia funebre, stampa e diffusione di 10 mila poster informativi
sui disastri industriali degli ultimi 10 anni;
iniziative programmate:
incontro fra sindacati, associazioni di base e ong, occupazione dell'ufficio
dell'ispettorato del lavoro, stampa di ulteriore materiale informativo.
Nel frattempo e' stato accertato
che la Choudury Knitwear produceva capi d'abbigliamento per i seguenti
marchi: Rivers edge (abbigliamento uomo);
Main stream (abbigliamento
uomo); Infuse (capi sportivi); Hardwear urban apparel; Alibi clothing.
Secondo l'ong TIE-Asia presente nella regione, il problema grave nelle
zone franche del Bangladesh e' l'assenza di liberta' sindacale, problema
che ne' il governo ne' l'associazione dei produttori hanno interesse a
risolvere. E' in discussione attualmente una soluzione di compromesso che
prevede l'istituzione di una commissione in cui verrebbero
cooptati lavoratori scelti
dall'Autorita' delle zone franche. Un sistema
analogo e' stato introdotto
in Sri Lanka nel 1992 e si e' rivelato
fallimentare per i lavoratori
che sono in seguito riusciti, nelle zone
franche, a organizzarsi
in sindacati liberi.
2) Olimpic living wage project
BREVE RIEPILOGO DEL CASO:
Jim Keady e Leslie Kretzu hanno vissuto per un mese la vita dei lavoratori
indonesiani della Nike in occasione dei giochi olimpici. I loro racconti
hanno fatto il giro del mondo.
NOVITA': il "Living wage
project" (Progetto salario dignitoso) si sta
facendo promotore di una
nuova iniziativa, "Nike shareholders for justice" (Azionisti della Nike
per la giustizia), un gruppo che tentera' di cambiare le cose dall'interno
della multinazionale americana. Intanto la direzione di alcune delle fabbriche
indonesiane su cui avevano indagato i due attivisti americani sta comunicando
ai lavoratori la notizia secondo cui Nike e' in procinto di dare un taglio
del 20% agli ordini per trasferirli in Vietnam dove il costo del lavoro
e' piu' basso. Jim Keady viene additato come il responsabile della perdita
di commesse.
3) Triumph nelle Filippine
BREVE RIEPILOGO DEL CASO:
21 persone (di cui 20 sindacalisti) vengono licenziate in seguito a uno
sciopero durato 4 mesi per chiedere aumenti salariali e migliori garanzie
assicurative. Del caso dell'azienda svizzera produttrice di biancheria
intima si sta occupando la CCC svizzera (Stefan
Indermuhle: campaign@evb.ch).
NOVITA': All'inizio di gennaio
la casa madre svizzera ha risposto
ufficialmente alle lettere
di protesta sostenendo che: 1) Gli stipendi
pagati da Triumph sono più
alti del 30% della media corrisposta nelle
Filippine, superiori anche
a quelli percepiti dagli insegnanti. 2) Il
ministero del lavoro ha
accertato la congruità delle prestazioni
aggiuntive; 3) Una sentenza
del tribunale ha stabilito la legittimità del
licenziamento dei sindacalisti
che non avrebbero rispettato l'ordine del
ministero del lavoro di
sospendere i picchetti; 4) I lavoratori hanno scelto a stragrande maggioranza
una nuova organizzazione sindacale. La CCC svizzera ha affidato a due giornalisti
una ricerca nelle Filippine intorno al caso.
4) Kimi in Honduras
BREVE RIEPILOGO DEL CASO:
Fabbrica onduregna sindacalizzata, l'unica che fosse riuscita nella zona
franca a conquistare un contratto collettivo, viene chiusa e trasferita
in Guatemala. Intorno al caso si muovono gruppi studenteschi dell'Università
della Pennsylvania e dell'Università dell'Indiana collegati alla
rete USAS (United students against sweatshops), US/LEAP (Labor education
in the Americas Projet), il sindacato statunitense commercio e alimentaristi
(UFCW), l'ong sudcoreana Korean House of International Solidarity. Per
ulteriori informazioni: usleapja@mindspring.com.
Si tratta di un caso interessante
di collaborazione fra gruppi studenteschi, associazioni e sindacati che
ha permesso di seguire le tracce di una produzione trasferita dal Honduras
al Guatemala e di tenere il produttore sotto i riflettori.
NOVITA': Kimi Korea produceva
in Honduras capi per Bodek and Rhodes, fornitore di alcune università
americane in cui sono attivi gruppi studenteschi collegati alla rete anti-sweatshops.
Una ricerca di US/LEAP ha verificato che le commesse di Bodek and Rhodes
sono state trasferite alla fabbrica guatemalteca Modas Cielo poco prima
della chiusura della fabbrica onduregna sindacalizzata. Nell'ottobre scorso
gli studenti inviano una
lettera alla Bodek and Rhodes
lamentando l'inosservanza del codice di
condotta prescritto per
le forniture ai college e chiedendo un incontro. La risposta arriva dopo
due mesi : Bodek and Rhodes ha interrotto i rapporti con Kimi per motivi
di carattere commerciale. E' chiaro invece che l'azienda ha voluto disfarsi
in fretta di un fornitore divenuto scomodo. Da una precedente ricerca di
US/LEAP risulta che Bodek and Rhodes è in affari con King Louie
International, che ha parte delle maestranze iscritte al sindacato United
food and commercial workers (UFCW). A fine ottobre il sindacato interviene
a sostegno dell'iniziativa degli studenti illustrando per iscritto alla
King Louie International la situazione fra Kimi e Bodek and Rhode e chiedendole
di pendere posizione con una dichiarazione di condanna delle pratiche antisindacali.
Il sindacato di fabbrica
della Kimi, che la liquidazione della Kimi in
Honduras ha distrutto, esprime
il suo sostegno a favore di una campagna di solidarietà internazionale.
E' fortemente improbabile che Kimi voglia riaprire in Honduras dato che
le pressioni internazionali la obbligherebbero a riassumere i lavoratori
sindacalizzati. Una strategia alternativa potrebbe puntare a costringere
il subfornitore guatemalteco di Kimi, Modas Cielo, ad accettare l'eventuale
nascita di un sindacato promossa dai lavoratori.
In precedenza si era svolto
a Seoul un incontro fra il presidente della Kimi Trading Company, un rappresentante
dell'ong coreana Korean house of international solidarity e un rappresentante
degli studenti dell'USAS, che ha posto alla casa madre coreana le richieste
della campagna: riaprire la Kimi de Honduras o favorire il costituirsi
di un ambiente non ostile al sindacato alla Modas Cielo. Ma il presidente
della Kimi Trading Company escludeva la possibilità di riaprire
in Honduras a causa di difficoltà finanziarie e sosteneva inoltre
di non avere alcuna influenza su Modas Cielo. Quest'ultima affermazione
è messa in discussione da US/LEAP, secondo cui Kimi è stata
il maggiore cliente di ModasCielo e avrebbe anzi contribuito a mettere
in piedi la fabbrica.
Israele-Palestina, la fine
del dialogo
Posted by data on 27/2/2001,
12:03:34
Administration
(dalla Catena di SanLibero,
e-zine di Riccardo Orioles - ricc@libero.it)
Israele/Palestina. La prima
misura effettiva di Sharon subito dopo
l'insediamento e' stato
l'ordine di prendere il mare impartito ai tre
sommergibili della marina
israeliana. Poche ore dopo le unita' erano
gia' al largo e da allora
non e' possibile sapere dove sono. Non e'
affatto da escludere che
parte dell'armamento nucleare israeliano, che
ha ormai una decina d'anni,
sia classicamente dislocato a bordo di
sottomarini. In questo caso,
la mossa di Sharon sarebbe la misura
precauzionale di un governo
che, prevedendo una crisi a breve o
brevissima scadenza, dispiega
tempestivamente tutti i mezzi
disponibili, a scopo di
deterrenza e comunque di disponibilita'
immediata.
Se cosi' e', c'e' una logica.
La fine delle speranze di trattativa e il
ritorno alla contrapposizione
frontale ha infatti come prima e piu'
immediata conseguenza -
come Sharon sa bene - la caduta dell'unico
interlocutore possibile
per Israele, che e' Arafat. Quest'ultimo, ormai
da un anno, e' stretto fra
l'impopolarita' (corruzione, ecc.)
dell'amministrazione dei
Territori e la crescita del radicamento
popolare dei gruppi islamici,
che in Palestina si caratterizzano, piu'
ancora che per l'oltranzismo
"militare", per la capillarita' e serieta'
dell'intervento sociale.
Non c'e' un erede di Arafat,
fra i palestinesi "laici", e solo un
qualche - anche mediocre
- risultato ottenuto per vie pacifiche avrebbe
potuto concedere all'Olp
il tempo necessario per la crescita di un
gruppo dirigente in grado
di contrastare gli islamici. La destra
israeliana ha deciso di
non concedere questo tempo. E questo non per un
oltranzismo preconcetto,
ma semplicemente perche' sottoposta essa
stessa alla pressione crescente
dei propri integralisti. Integralisti,
anche in questo caso, vuol
dire semplicemente emarginati. La societa'
israeliana non e' piu' una
societa' di ceti medi economicamente e
culturalmente coesi ma,
come in tutto il Medio Oriente, consiste ormai
di due strati diversissimi
fra loro, che prendono identita'
apparentemente da tematiche
religiose ma in realta' da ragioni
strutturali. Allo strato
piu' nuovo e piu' povero della societa'
israeliana la destra e Sharon
hanno dovuto gettare un pezzo di carne
dopo l'altro. Infine, non
potendola controllare, hanno deciso di far
precipitare a freddo la
crisi - il che e' avvenuto con la famosa
provocazione di Sharon alla
Spianata - per governarne almeno i tempi e
gestirla, per quanto possibile,
chirurgicamente.
L'elemento drammatico dello
scenario, nella mente di Sharon (che e' un
ebreo del dopo-Auschwitz,
non un elegante politico europeo o americano)
e in generale di tutta l'elite
israeliana, e' l'incertezza sui termini
della superiorita' convenzionale
di Israele. Gia' nel 73 (quando a un
certo punto gli americani
dovettero congelare il conflitto) essa era
molto meno indiscussa di
quanto si volesse far credere. Oggigiorno,
nessuno sa se in definitiva
se essa esista ancora. Lo stato della
tecnica militare, dall'altro
lato del fronte, non e' piu' quello di
prima. Gli armamenti moderni,
attraverso l'Iran e forniti dalla Cina,
sono ormai disponibili per
tutti. Quadri e tecnici militari, in Siria,
in Iraq e nello stesso Egitto,
hanno alle spalle una preparazione che
non e' piu' quella della
Legione Araba di lawrenciana memoria. Se oggi Israele, come cultura militare,
vale dieci, gli altri sono arrivati
almeno a quattro, probabilmente
a cinque e forse anche a sei.
Mentre, fra Israele e arabi,
diminuisce la disparita' militare, la
distanza ideologica aumenta
sempre piu'. I Nasser, i Saddam, gli Arafat erano dei laici, dei progressisti
riformatori. E dunque, in un mondo possibile, dei possibili interlocutori.
I leader arabi della prossima generazione, e in parte gia' di questa (chi
succedera' alla famiglia saudita? Chi verra' dopo Saddam? Perche' il nuovo
leader siriano, per prima cosa, ha amnistiato gli integralisti dell'opposizione?)
saranno prima islamici e poi qualunque altra cosa. Nella prossima fase,
accesamente "popolare", essi non avranno alcun interesse ad alcun dialogo,
anzi useranno la questione palestinese-israeliana come loro specifico mito
di fondazione. A Israele in queste settimane e' stata sottratta, per la
prima volta nella sua storia, sia la possibilita'
della guerra limitata che
quella della pace.
In questa situazione drammaticissima,
in cui l'esistenza dello Stato di
Israele torna ad essere
in pericolo esattamente come nel 48, il gruppo
dirigente (parzialmente
nuovo) che ha vinto le elezioni si muove come
puo', senza illusioni ma
con determinazione: nessuno puo' dire oggi, e nemmeno lo stesso Sharon,
fino a che punto questa determinazione possa spingersi nel caso d'una prossima
crisi.
Questo gruppo dirigente
e' molto piu' lucido del paese che l'ha eletto,
e infinitamente piu' consapevole
della posta in gioco. La percezione
che gli israeliani hanno
del problema palestinese, ci sembra di capire
da qui, e' molto piu' "sociale",
da ceto medio occidentale rispetto a
una massa di "extracomunitari",
che geopolitica. Per questo, hanno
gettato via senza accorgersene
gli enormi risultati conseguti dai
governi di sinistra, che
erano sostanzialmente riusciti - con
pochissime concessioni -
a implementare Arafat e tutta la dirigenza
palestinese "laica" nella
conservazione di Israele. E' vero che la
percentuale dei votanti
e' stata bassissima, e' vero che Sharon ha
conseguito molto meno della
maggioranza effettiva. Ma egualmente, il mandato popolare a chiudere ogni
dialogo e ad arroccarsi a occhi chiusi e' stato senza remore, ingenuo e
fiducioso. E anche questa discrepanza fra la superficialita' dell'opinione
pubblica e la drammatica lucidita' dell'elite e' una novita' per Israele,
e non manchera' di indurre
trasformazioni ulteriori
nella sua identita' profonda, nel trasferire
ulteriormente la sua cultura
nel Medio Oriente e fuori dall'Europa.
Si annunciano tempi gravissimi,
per gli amici degli ebrei - per tutte,
vale a dire, le persone
civili europee. Fino a una settimana fa, il
pericolo da cui esse dovevano
guardare i loro fratelli d'Israele era
quello di commettere ingiustizia
verso altri esseri umani. Da oggi,
quello di perdere il loro
Stato.
Indonesia, le accuse alla
Nike
Posted by data on 27/2/2001,
11:18:28
Administration
(Riceviamo e pubblichiamo)
NIKE IN INDONESIA
Avrete letto nei giorni scorsi
sulla stampa dell'uscita di un rapporto della Global alliance for workers
and communities, un organismo internazionale di cui Nike fa parte, che
ha reso pubbliche le violazioni dei diritti umani e sindacali nelle fabbriche
indonesiane di Nike. Il rapporto puo' essere letto al sito www.nikebiz.com/labor.
NIKE IN MESSICO: AGGIORNAMENTI
SUL CASO DELLA KUKDONG DI ATLIXCO
I rapporti di due organismi
indipendenti confermano la violazione dei
diritti dei lavoratori messicani
di Nike (fonte: Maquila Solidarity Network, 26 gennaio 2001 - Maquila Solidarity
Network (MSN) / Ethical trading action group (ETAG), 606 Shaw Street,
Toronto, Ontario M6G 3L6,
Canada; tel. 416-532-8584; fax 416-532-7688; www.maquilasolidarity.org)
Riepilogo del caso:
All'inizio di gennaio, 800
lavoratori della Kukdgong, azienda coreana che produce per Nike in Messico,
scendono in sciopero per i loro diritti e per il riconoscimento di un sindacato
indipendente. Sono attaccati brutalmente dalla polizia che fa 15 feriti.
Le proteste che si levano nel paese da parte di organizzazioni sindacali
di altre categorie, fra cui quelle dei telefoni e della Volkswagen, e la
crescente pressione internazionale convincono la direzione della fabbrica
a
consentire il rientro degli
scioperanti senza ritorsioni. Ma alla ripresa
del lavoro, diversi attivisti
sindacali trovano la strada sbarrata, altri
vengono allontanati con
la forza dal sindacato ufficiale che i lavoratori
non riconoscono.
L'importanza di questo caso
come banco di prova dei codici di condotta.
Il conflitto di lavoro in
corso alla Kukdong di Atlixco riveste una
particolare importanza in
relazione al dibattito in corso sull'applicazione dei codici di condotta.
Alla Kukdong, infatti, si confezionano felpe Nike per almeno 14 grandi
universita' degli Stati Uniti i cui contratti di fornitura sono coperti
da un codice di condotta. Alcune di queste universita' aderiscono al Workers'
Rights Consortium (WRC), altre alla Fair Labour Association (FLA), altre
ancora aderiscono a entrambi. (il Workers' rights consortium e' un organismo
creato da studenti, docenti e sindacati con lo scopo di verificare il rispetto
dei codici di condotta universitari attraverso ispezioni indipendenti nelle
fabbriche che producono su commissione per aziende fornitrici delle universita';
la Fair labour association e' un'agenzia della Apparel industry partnership,
nota anche come The Clinton coalition, organismo di cui fanno parte alcune
imprese di abbigliamento e sindacati con lo scopo di definire un codice
di condotta
comune e criteri per il
suo monitoraggio, n.d.t.).
Il diritto violato alla libertà
di associazione dei lavoratori della Kukdong e' diventato un punto cardine
delle mobilitazioni studentesche promosse dai gruppi che si riconoscono
nella rete
di "Students against sweatshops"
(USAS), presente nei campus degli Stati uniti. Il caso, infatti, e' un
banco di prova importante non solo della capacita' di Nike e del suo sistema
di monitoraggio esterno di garantire il rispetto della liberta' di associazione
presso i suoi subfornitori, ma anche dell'efficacia delle azioni previste
da WRC e FLA per imporre l'osservanza dei codici di condotta universitari.
I risultati di due indagini
indipendenti condotte a fine gennaio da un team del Workers' rights consortium,
in rappresentanza di 67 universita', e dall'International labor rights
fund (ILRF) per conto della Fair labour association, in rappresentanza
di 149 universita', confermano che ai lavoratori più attivi nello
sciopero del 9 gennaio e' stato negato il rientro in fabbrica e che il
diritto alla liberta' sindacale e' stato violato. La relazione del WRC
sottolinea che cio' e' in contrasto con le leggi del lavoro messicane,
le convenzioni dell'Oil e il codice di condotta di Nike, ed invita le universita'
aderenti ad assumere iniziative per consentire la riammissione dei lavoratori
allontanati (la relazione si trova sul sito: www.workersrights.org). La
relazione dell'ILRF sollecita Nike a inviare un incaricato con il mandato
di indurre la direzione della fabbrica alla revoca delle sospensioni. Poiche'
l'indagine dell'ILRF e' stata condotta su richiesta di Nike da un autorevole
avvocato del lavoro messicano, sara' difficile per la stessa ignorarne
le raccomandazioni.
All'azienda di social auditing,
Verite, sarebbe' stato affidato l'incarico
di effettuare un monitoraggio
indipendente presso la Kukdong. Verite e' il primo ente di certificazione
sociale ad essere accreditato all'interno del programma di monitoraggio
esterno e di certificazione di FLA. Il caso Kukdong rappresenta un duro
colpo per la credibilita' di Nike con riferimento alla asserita efficacia
del suo codice di condotta e del suo sistema di monitoraggio esterno. Nel
marzo dell'anno scorso,
PricewaterhousCoopers effettuo'
un audit della fabbrica e dichiaro' che la direzione aveva "stabilito con
i propri dipendenti rapporti flessibili e
trasparenti" e che "i dipendenti
sentivano di poter esporre liberamente i propri problemi in un clima improntato
a correttezza e a un'efficace ricerca delle soluzioni".
Potete ricevere il testo
delle varie relazioni inviando un messaggio a
ermont@tin.it
Zapatisti europei a Città
del Messico aspettando Marcos
Posted by data on 26/2/2001,
12:00:26
Administration
(comunicato stampa movimento
Tute bianche)
IL FUTURO E' QUI COMINCIA
ADESSO
Il 25 febbraio i fratelli
e sorelle dell'EZLN ci rimettono in cammino. Tutto l'EZLN e il subcomandante
Marcos ci avranno al loro fianco mentre attraverseranno pubblicamente il
Messico per attraversare il mondo.
Giungeremo con loro fino
a Città del Messico l'11 marzo, in mezzo ad una moltitudine che
sogna la dignità, la libertà e la giustizia. Come quel primo
gennaio del 1994, lo zapatismo, un'idea nuova di trasformazione globale,
ci rimette in movimento: cammineremo domandando per migliaia di chilometri,
per aprire nuove strade nel cuore e nella mente di chi combatte in tutto
il pianeta la barbarie del neoliberismo. Come sempre i nostri fratelli
e sorelle della Selva Lacandona ci consigliano di riprendere il cammino.
Ci hanno consigliato di coprirci per essere visti, e noi, indossando una
tuta
bianca come loro indossano
il passamontagna, l'abbiamo fatto. Ci hanno suggerito di parlare alla società
civile, di cercare lì chi poteva
ascoltare, e noi abbiamo
tentato di imparare a farlo. Ci hanno mostrato come, difronte ad un potere
dispotico e violento, parlare di democrazia e dignità sia piu' rivoluzionario
che parlare di guerre sante e di verità assolute. Da loro, dagli
ultimi, abbiamo appreso come la memoria, anche quella millenaria, vada
usata al futuro, e non al passato. Che tante provenienze diverse non sono
un problema se si va dalla stessa parte. Ci hanno insegnato anche a sorridere
difronte al potere e a chi vuole conquistarlo. Ci hanno spinto a sognare
nuovamente un mondo diverso, piu'giusto per tutti e non solo per noi, e
ora non c'è bisogno di chiudere gli occhi per farlo. Ci hanno insegnato
a camminare domandando, ad abbandonare l 'inutile certezza dell'ideologia
per cercare nuove strade, per unirci ad
altri lungo il cammino.
Noi, da allora, siamo sempre in viaggio, con il
corpo, la parola, il cuore.
Le nostre soste possono essere lunghe o di
breve durata, ma l'importante
è riprendere sempre a muoversi verso quell'orizzonte che sogniamo
di raggiungere. Avremo a disposizione tutto ciò che ci eravamo portati
quando abbiamo imparato di nuovo a sognare, nel 94: una bussola, che punta
sempre verso l'umanità, una mappa per segnare le tappe che abbiamo
fatto e quelle da fare, qualcosa con cui coprirci per essere visti (e per
passare la notte ). Partiremo come zapatisti dalle nostre comunità
in Europa, arriveremo come zapatisti dalla nostra gente di tutto il mondo
riunita in Messico, torneremo come zapatisti nella nostra Selva di metropoli
e cemento dopo questo lungo viaggio. Porteremo ai nostri fratelli e sorelle
ciò che abbiamo vissuto a Seattle, Milano, Genova, Bologna, Praga,
Davos, Nizza, Porto Alegre.ascolteremo
dai nostri fratelli e sorelle ciò che hanno vissuto in Chiapas,
in Ecuador, Salvador, Corea, Guatemala, Australia, Oceania, Norvegia.
Insieme disegneremo una
mappa più grande. Insieme regoleremo meglio le nostre bussole sull'umanità.
Insieme copriremo i nostri volti e i nostri corpi perché ciò
che l'Impero nasconde si veda. Insieme costruiremo la disobbedienza civile
contro l'ingiustizia e il neoliberismo, per l'umanità e la democrazia.
Le tute bianche raggiungeranno
il Messico con 3 subjet dall'Italia. Le
partenze saranno il 20,
21, 22 febbraio. Con loro ci saranno persone della società civile,
la comunità artistica zapatista dei 99 posse, associazioni e collettivi.
Tutta la carovana sarà accompagnata da 111 tute bianche in rappresentanza
delle 111 comunità zapatiste della Selva Europa, ma molte di più
saranno le donne e uomini (forse qualche bambino) che si metteranno in
viaggio. Attenderemo in marzo a Città del Messico l'arrivo di altri
fratelli e sorelle della società civile che ci raggiungeranno dall'Italia.
IL FUTURO E' QUI, COMINCIA
ADESSO.
MOVIMENTO ZAPATISTA EUROPEO
DELLE TUTE BIANCHE
G8
a Genova: manifestazione negata ai missionari?
Posted by data on 23/2/2001, 13:16:34
Administration
(Riceviamo e pubblichiamo il testo di un'interpellanza presentata dal consigliere
comunale
Antonio Bruno al sindaco di Genova)
- Il Sottoscritto Consigliere,
venuto a conoscenza che la Questura di Genova sarebbe intenzionata a negare
aree attigue alla Basilica SS.Annunziata (Frati Minori, Piazza della Nunziata
4) alle Congregazioni Missionarie Internazionali che intendono organizzare
a Genova per i giorni 19-24 luglio, uno spazio di preghiera, digiuno, riflessione,
di dialogo e di incontro, al fine di sviluppare una pressione nonviolenta,
alternativa e propositiva, rivolta alla riunione dei G8, in favore della
cancellazione del debito dei paesi impoveriti, in quanto troppo vicina
alla zona interdetta (rossa) alla libera circolazione di persone;
considerato che nella zona rossa (anche nell'ipotesi che sia limitata alle
aree del Centro Storico genovese) sono situate numerosi luoghi di
culto, tra cui la stessa Cattedrale di Genova, intitolata a S. Lorenzo;
tenendo conto che diversi soggetti politici (prevalentemente di Centro
Destra) potrebbero essere turbati dalla lettura e dalla meditazione durante
lo svolgimento delle funzioni religiose di alcuni passi biblici che riflettono
sul senso di giustizia, sulla resistenza alla violenza, sulla denuncia
delle sopraffazioni;
Ricordo in particolare, che potrebbero turbare i sonni dei benpensanti
la cacciata dei venditori
dal Tempio (episodio riportato in tutti i Vangeli), le esortazioni del
profeta Amos (Essi su letti di
avorio e sdariati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli
cresciuti nella stalla....
perciò andranno in esilio in testa ai deportati.),
l'avvertimento dell'Apostolo Giacomo (e ora a voi ricchi: piangete e
gridate per le sciagure che vi sovrastano ..... il salario da voi
defraudato ai lavoratori che hanno mietuto nelle vostre terre grida ..
alle orecchie del Signore);
preoccupato, in particolare, che aree politiche chiedano al Ministero degli
Interni l'interdizione
degli edifici di culto perché potenzialmente
sovvertitori e bordo di cultura di un pericoloso estremismo, pur essendo
perdonate in quanto no
nessendo in grado di comprendere a fondo le dinamiche della Storia (Padre
perdonali perché non
sanno quello che fanno - Luca 23,34);
interpella la S.V. per conoscere se non sia opportuno intervenire per
garantire nella nostra città l'agibilità politica e democratica,
compresa
la libera espressione culturale e religiosa.
----------------------------------------------------------------
Antonio Bruno
vice Presidente del Consiglio Comunale di Genova
Altro Polo - Sinistra Verde
Morire d'amianto: il libro
di Alessandro Morena
Posted by data on 23/2/2001, 9:47:40
Administration
(comunicato)
Amianto: una produzione di morte per un crimine silenzioso
Presentazione del libro di Alessandro Morena, Polvere. Storia e conseguenze
dell'uso dell'amianto
ai Cantieri Navali di Monfalcone, Udine, Kappa Vu, 2000, pp. 231.
Interverranno: Claudio Bianchi, responsabile del reparto di Anatomia Patologica
all'Ospedale di
Monfalcone, Anna Di Giannantonio, ricercatrice all'Istituto regionale per
la Storia del Movimento
di Liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, esperta di storia operaia contemporanea.
Sarà presente
l'Autore.
L'iniziativa si svolgerà venerdì 2 marzo 2001 alle ore 20.30,
presso l'Aula Magna della Scuola di
Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori, in via Filzi 14. Ingresso libero.
La questione della produzione, trasporto e uso dell'amianto rappresenta
un vero e proprio
"crimine di pace". I responsabili dello stesso sono i vertici della produzione
(dai padroni ai
dirigenti, ai funzionari che li hanno avvallati) che, con tutta calma e
indifferenza, hanno
condannato centinaia di lavoratori, nella fascia costiera da Trieste a
Monfalcone, alla malattia e
alla morte. Dati prudenziali indicano in 1.500 i morti per carcinoma polmonare
riconducibile
all'amianto dal 1970 ad oggi.
La logica del profitto e i principi della gerarchia sociale hanno consumato
e distrutto molte
esistenze proletarie. Da qualche anno, la maggioranza dei decessi derivanti
dall'aver respirato la
polvere d'amianto non è più quella dei lavoratori o ex lavoratori,
ma appartiene alla gente
comune che abitava nei pressi delle fabbriche o dei luoghi di utilizzo.
Ciò è già accaduto nella
zona di Casale Monferrato, dove esisteva un cementificio per materiali
d'amianto, chiuso nel
1986. E' presumibile che accada, in tempi più o meno brevi, pure
nelle nostre zone.
Anche a Trieste, dalla Ferriera al Porto, migliaia di operai sono stati
costretti a convivere con la
polvere d'amianto, esposti ad alto rischio di cancro alla pleura e ai polmoni.
Questo avveniva
nonostante le conoscenze scientifiche sulla pericolosità di manipolazione
del minerale. Norme di
legge prevedevano, a partire dagli Anni Cinquanta, l'obbligo delle imprese
di avvisare i lavoratori
dei rischi dell'amianto e stabilivano misure di sicurezza personale e ambientale:
quasi mai tali
prescrizioni legali hanno trovato applicazione pratica.
Inoltre i residenti nei rioni triestini più vicini alle fonti di
inquinamento - da Servola a Valmaura,
da Ponziana a San Giacomo, da Campi Elisi a San Vito a Campo Marzio -,
hanno avuto contatto
diretto e indiretto con questo pericoloso materiale. In più, in
quasi tutti i rioni, sono tuttora
visibili molte pareti esterne e tetti di capannoni coperti da "Eternit",
un composto di cemento e
amianto assai usato nell'edilizia locale. Non è un caso che la città
di Trieste, quella che ospiterà
ai primi di marzo la "vetrina internazionale" dei Ministri dell'Ambiente
dei G8, sia ai primi posti
della graduatoria italiana per le morti dovute a tumore polmonare.
Questo libro, bello e terribile, scritto con passione e rigore scientifico,
permette di rendersi
conto dell'essenza di un modello produttivo pensato e gestito da un potere
accentrato, e quasi
inattaccabile, che ripartisce privilegi per pochi e dolori a tutti gli
altri. Questo lavoro culturale
aiuta a capire come si possa cancellare tale vergogna. E quanto sia urgente
e necessario.
CENTRO STUDI LIBERTARI Sip, Mazzini 11, Ts, 20.2.01
Via Mazzini 11, 34121 Trieste
Tel 040 368096 (martedì e venerdì ore 19-21)
Kurdo e romanés: lingue
e letterature da insegnare in Italia
Posted by data on 23/2/2001, 9:38:51
Administration
"LINGUE TAGLIATE": PER LA VALORIZZAZIONE
DEL PATRIMONIO LINGUISTICO E CULTURALE DEI KURDI E DEI ROM
Il 21 febbraio l'Unesco ha promosso la "Giornata mondiale della difesa
dell'identità linguistica dei
popoli e delle minoranze", nel 49.mo anniversario della cruenta repressione,
a Dacca, delle
manifestazioni studentesche contro la soppressione da parte delle autorità
pakistane della
lingua madre della popolazione dell'attuale Bangladesh.
Infatti mezzo secolo dopo esistono ancora "lingue tagliate": idiomi di
tradizione millenaria e di
grande valore storico-culturale, parlati tuttora da milioni di persone,
ma negati di diritto o di
fatto a séguito della persecuzione, della diaspora, della ricorrente
negazione dei diritti e della
dignità umana di coloro che le parlano.
Due di queste lingue, il romanés e il kurdo, parlate rispettivamente
da tredici e da trentacinque
milioni di persone nel mondo, si sono affacciate in Italia in seguito ad
eventi traumatici: la
persecuzione ottomana degli zingari nei Balcani cinquecento anni fa, la
persecuzione attuale dei
kurdi in Anatolia e nel Medio oriente.
I percorsi dei due popoli e delle due lingue, di comune matrice indoeuropea,
si erano intrecciati
per secoli nei territori iranici, assimilandone anche l'antica tolleranza
del culto zoroastriano.
L'ostracismo che condusse al genocidio nazista degli zingari rischia di
ripetersi nei confronti dei
kurdi, perseguitati dai regimi dominanti turco-arabi. Il popolo kurdo ripercorre
oggi il tragico
esodo degli altri popoli della diaspora.
Ma è altrettanto grave il genocidio culturale, che anche in Europa
costringe entrambe le lingue
a una trasmissione quasi esclusivamente orale e nega il loro spessore storico-culturale.
Nel continente in cui vivono ormai la maggioranza dei Rom e una consistente
minoranza dei
kurdi, le lingue parlate fin dalla nascita dai loro bambini non trovano
posto nell'insegnamento
scolastico ed universitario. Le eccezioni sono poche: le garanzie formalmente
attribuite alla
minoranza Rom in Austria, Finlandia e alcuni paesi est-europei e, per i
kurdi, l'apertura di corsi di
kurdologia nelle università austriache e svedesi e la recentissima
introduzione della lingua kurda
nelle scuole medie olandesi.
Chiediamo che l'Italia, che si è dotata recentemente di una legge
per la tutela delle minoranze
linguistiche autoctone, dia a queste due lingue la dignità che compete
loro in base alla nostra
Costituzione e alle convenzioni internazionali.
Chiediamo quindi che esse divengano materia d'insegnamento extracurricolare
nelle scuole in cui
sono presenti studenti Rom o kurdi, che nelle Università italiane
si istituiscano comunque corsi e
lettorati di lingua, letteratura, storia e cultura romanés e kurda,
e che si investa non solo
nell'inserimento scolare, ma nella valorizzazione del patrimonio culturale
e linguistico di queste due popolazioni.
Le consultazioni del cardinale
Posted by data on 22/2/2001, 11:34:54
Administration
di ETTORE MASINA
Mentre scrivo (21 febbraio) i quotidiani dedicano intere pagine alle vere
e proprie consultazioni
fra il cardinale Sodano e i rappresentanti dei due o tre cosiddetti Po-li
della politica italiana.
Osservo:
a) neppure nei momenti di più "basso impero" democristiano si è
assistito a un simile brucare di
mani consacrate da parte dei leaders nazionali, a uno sgomitarsi così
vivace sul ponte di
Sant'Angelo per arrivare primi nei salotti damascati della Segreteria di
Stato. Tristissima
decadenza della Santa Chiesa: i monsignori, vescovi etc. che compongo-no
il Vaticano non si
accorgono che si va dall'Eminentissimo Segretario non come si va da Tony
Blair o da Dabliù Bush
(che possono conferire un qualche prestigio internazionale) ma come ci
si incontra con il
presidente dei Coltivatori diretti o con il Gran maestro di una po-tente
loggia massonica o di una
qualunque influente lobby di industriali. Ci si va, cioè, sala-melecchi
a parte, per chiedere non
autorevolezza ma favori: i voti delle pie suore e dei sacer-doti obbedientissimi
e quelli dei laici
(ci sono ancora!) che attendono dai propri pastori un suggerimento o una
strizzata d'occhio
prima di entrare in cabina. Ci si va per fare, in cambio, promesse di servizî.
Questo
mercanteggiamento è stato apertamente dichiarato, con rara fi-nezza
diplomatica, dal
segretario di stato vaticano, cardinale Sodano;
b) Sua Eminenza ha anche avuto la bontà di comunicare al colto e
all'inclita su quali temi
esaminerà i postulanti: la difesa della vita, la libertà
scolastica, la condizione giovanile, la
solidarietà internazionale. Il signor cardinale è ottimo
giudice in materia: nella sua qualità di
nunzio in Cile, anni fa, si è legato di af-fettuosa amicizia con
il capitano generale Pinochet
Ugarte, osservando con quanta generosità egli difendesse la vita,
garantisse le libertà nelle
scuole, elevasse la condizione giovanile nelle poblaciones e nelle carceri
e si prodigasse in opere
di solidarietà internaziona-le; come, ad esempio, l'Operazione Condor.
Egli, il cardinale Sodano,
fu così ammirato da questa testimonianza cristiana di governo da
mantenere poi con il generale
rapporti di reci-proca stima. E' sul metro di quell' esempio che Sua Eminenza
misurerà gli
interlocutori?
c) i pontificati di papa Giovanni e di Paolo VI avevano, per così
dire, allargato la vastità del
Tevere: incursioni vaticane, più o meno autorizzate, sulle sponde
ita-liane erano andate
diminuendo di numero e di gravità. L'ossessione anticomu-
(dalla Lettera di febbraio pubblicata nel sito dell'associazione Namaste)
L'antidroga dell'Onu:
critiche ad Arlacchi
Posted by data on 21/2/2001, 18:51:59
Administration
Tempi duri per Pino Arlacchi. Le Nazioni unite mandano a Vienna una commissione
nispettiva per
una verifica sul Programma dell'Onu per il controllo internazionale delle
droghe (Undcp) di cui
Arlacchi è direttore da tre anni e mezzo. L'accusa è di aver
gestito "con scarso successo e in
modo poco trasparente i fondi e le risorse dell'agenzia". Intanto , continuano
le proteste contro
la parzialità del rapporto 2000 presentato dall'Ufficio diretto
dall'italiano che ha ispirato la sua
azione alla fuga da ogni dialogo mcon l'arcipelago antiproibizionista.
Arlacchi precisa che la verifica l'ha chiesta lui per fugare ogni dubbio
sulla trasparenza e
l'efficienza della gestione.
Nel caso del Rapporto 2000 piovono critiche da numerosi esperti che denunciano
una
presentazione dei dati tale da dare una visione distorta della realtà
per promuovere a pieni voti
l'attività del Programma Onu e nel contempo, tra l'altro, ignorare
i successi dei Paesi che hanno
scelto la via della legalizzazione e della riduzione del danno.
A contestare Arlacchi sono stati anche suoi collaboratori: uno dei qualii,
il tedesco Michael Von
Schulenburg, numero due dell'Undcp, si era dimesso inviando un dossier
corpoiso nel quale tra
l'altro rimprovera ad Arlacchi "una politica personale caratterizzata da
indifferenza e disprezzo
per i suoi collaboratori", "programmi annunciati e mai realizzati" e un
"grande dispendio di
denaro".
Il partito radicale intgernazionale ha diffuso diversi dossier di denuncia
sull'operato di Arlacchi e
le stesse cancellerie di alcuni paesi europei hanno mostrato una chiara
freddezza nei riguardi del
Programma Onu.
L'ufficio diretto da Arlacchi è accusato in primo luogo di aver
ottenuto risultati modesti
nonostante il suo direttore sia abile a pubblicizzarli e nonostante una
grande disponibilità di
risorse: 21 uffici nel mondo, 272 dipendenti e un budget di 265 milioni
di dollari. Nel mirino delle
accuse anche alcune assunzioni di personale e alcune frequentazioni di
Arlacchi nell'Europa
dell'Est (si veda Fuoriluogo.it: http://www.fuoriluogo.it/highlights/dossier_arlacchi10.htm).
Sulle politiche di Arlacchi alcune associazioni hanno diffuso questo comunicato.
4 Domande per Arlacchi
Il professor Arlacchi arriva a Milano ad illustrarci lo stato di avanzamento
del suo piano... Grandi
progressi nel 2000
dopo i grandi fallimenti del 1999.... vedremo il 2001.
Ma ci sono almeno 4 domandine che vorremmo comunque porgli:
1) il prof. Arlacchi si è domandato chiaramente che cosa succederà
se riuscisse ad estirpare le
colture illegali di papavero da oppio? Sa che esistono sostanze di sintesi
con effetto
esattamente sovrapponibile all'eroina, anche alcune migliaia di volte più
potenti? Diciamo dalle
3.000 alle 20.000 volte più potenti? Pensa che se si creasse un
"vuoto di mercato" per l'eroina,
e arrivassero anche queste nuove "nuove droghe", staremmo tutti meglio?
(se il piano Arlacchi
avrà successo, tra un po' ci troveremo senza le vecchie, ma con
tante nuove e nuovissime
droghe! poi vedremo quali erano meglio...).
Pensa che se gli oppiacei fossero sostituiti dall'alcool o dai tranquillanti,
come è più che
probabile e come già suuccede quando uno non può trovare
l'eroina, sarebbe - da un punto di
vista medico-sanitario - un vantaggio? Conosce i rischi e i danni comparati
dell'alcool e degli
oppiacei?
2) il prof. Arlacchi ha notato che ora che la cocaina forse - grazie alle
eradicazioni forzate in
Perù e Bolivia - non sta più dietro alla domanda, le amfetamine
(specialmente la metamfetamina)
stanno crescendo in modo esponenziale? Al punto che non solo gli Stati
Uniti dell'ovest, ma
anche la Birmania sono diventate dei super-produttori?
E allora, si è domandato dove potrebbe portare, a parte che alla
distruzione della foresta
amazzonica e all'inquinamento dei fiumi e dei terreni, che sta già
avvenendo grazie agli illuminati
interventi di questi anni - e tutto a spese di gente privilegiata come
i cocaleros boliviani e i
campesinos colombiani - l'intervento contro le coltivazioni di coca?
3) il professor Arlacchi ci può raccontare qualcosa a proposito
dell'ingegneria genetica della
Pleospora papaveracea e del
Fusarium oxysporum? Dei progetti di usarli per la lotta biologica al papavero
e alla coca?
Ha idea dove ci stanno portando certi "scienziati" e certi politici, fra
uranio impoverito e mucche
pazze?
4) il prof. Arlacchi ha mai immaginato di essere al posto di un vecchio
Akha o Hmong, che nella
sua vita non ha altro conforto e altro farmaco che l'oppio? Chi è
il prof. Arlacchi per togliergli
anche quello? Il prof. Arlacchi ha mai immaginato di essere al posto di
un contadino
sudamericano il cui reddito è principalmente derivante da un campo
di coca? Su cui piovono -
irrorando anche la sua casetta, il suo campo di fagioli, le sue galline
e i suoi bambini - i
diserbanti che gli Stati Uniti usano per dimostrare al mondo che loro non
sono teneri nemmeno
con i drogati di Wall Street?
Lega Italiana per la Lotta contro l'AIDS (LILA Milano e
Nazionale) - Comunità Il Gabbiano (Tirano) Cooperativa Lotta Contro
l'Emarginazione
- Ufficio Stampa Gruppo Abele (TO) - Forum Droghe - Fuoriluogo - Giovane
Giunta - MDMA
Milano (Movimento Di Massa Antiproibizionista) - Centro Sociale
Leoncavallo - Ass. Ya Basta Lombardia -
Per finire, ecco l'interrogazione presentata in Parlamento dal sen. Stefano
Semenzato dei Verdi
in data 30 gennaio 2001.
– Al Ministro degli affari esteri.
– Premesso: che sul settimanale «l'Espresso» in data 1 febbraio
2001 è apparso un articolo che
dà notizia della nomina a «Civic Ambassador to Italy»
per conto delle Nazioni Unite del
giornalista Enzo Biagi;
- che in questo articolo si spiega che il giornalista sia stato proposto
in questo incarico dal
vicesegretario generale delle Nazioni Unite Pino Arlacchi e che la nomina
comporta la
disponibilità del passaporto diplomatico delle Nazioni Unite;
che il giorno 25 gennaio 2001, a Milano, veniva presentato
l'annuale rapporto sulle droghe dell'agenzia delle Nazioni Unite
guidata da Pino Arlacchi (UNFDAC);
- che a quella iniziativa partecipava anche la signora Letizia Moratti
che, nell'invito, risultava
«Civic Ambassador to Italy», si chiede di sapere:
- quanti siano i nostri concittadini che si fregiano del titolo di «Civic
Ambassador to Italy» e in
quale data abbiano ottenuto la nomina e con quale motivazione;
- se questo incarico abbia una durata temporale o sia vitalizio; se la
nomina comporti una
qualche forma di retribuzione, se vi siano dei benefici particolari per
chi ricopre quella carica o se sia a titolo gratuito.
LINK: www.fuoriluogo.it
Sinti, stranieri in patria
Posted by data on 21/2/2001, 10:51:56
Administration
di DAVIDE RAVERA
Perché, a proposito dello "straniero", scrivere dei Sinti emiliani,
i
cosiddetti zingari giostrai? I loro avi erano a Bologna sei secoli fa e
i Sinti d'oggi sono italiani da molte generazioni. Inoltre, anche se li
chiamano "nomadi", molti di loro hanno abbandonato negli ultimi
vent'anni lo spettacolo viaggiante, fermandosi "campisti", con tutto ciò
che la politica dei campi-nomadi (grandi aree-sosta ove stipare
indiscriminatamente Sinti e Rom) ha comportato dal punto di vista
economico, sociale e culturale. Coloro che hanno continuato, poi,
dovrebbero essere una presenza consueta, dal momento che in tanti ci siamo
divertiti al circo,
in giostra o al luna-park.
Forse dobbiamo chiederci perché molti di loro, al momento della
grossa crisi dello spettacolo
viaggiante, hanno scelto di nascondersi, negando la propria identità
di fronte alla società dei
gagi, i non-zingari. Questo dato, angosciante dal punto di vista umano,
ci dice che il Sinto
italiano, a dispetto delle premesse, è davvero straniero in patria.
Non è un caso se, in molte
città d'Emilia, il loro referente istituzionale è l'Ufficio
Nomadi presso il Centro Stranieri del
Comune. Non è solo una grave discriminazione: chiediamoci perché
questo paradosso finisce per
non sorprendere nemmeno.
Il senso di estraneità tra Sinti e gagi non viene dal fatto che
essi
parlano, oltre alla nostra, un'altra lingua e un diverso dialetto. Non
sono i soli a non parlare unicamente la lingua della maggioranza e anche
se non siamo in una
società multiculturale, usi e costumi diversi
convivono, anche se a fatica, nell'Italia del 2001. Non deriva da
ragioni etniche, ché i matrimoni misti sono frequenti e neanche
dalla
distanza fisica, poiché da anni la scolarizzazione diffusa fa sì
che i
piccoli Sinti e i piccoli gagi passino davvero del tempo insieme. Non
deriva dalla vita nomade, fantasiosa invenzione di noi gagi fondata
sull'ignoranza o sulla mistificazione. I Sinti giostrai cercano forti
legami con un territorio ove rientrare per la sosta invernale e non sono
gli unici che viaggiano per lavoro, mentre i giovani campisti - i
cosiddetti "minori nomadi" - sono ragazzetti che non hanno visto niente
del mondo se non in TV.
Nei loro confronti, molto hanno fatto i reciproci millenari stereotipi,
conseguenza e allo stesso tempo causa di nuovi tentativi d'omologazione,
segregazione e
sterminio. Pregiudizi che affondano nel mito dello zingaro ruba-bambini
e trovano fiato nelle
campagne di un'informazione che è arma del totalitarismo culturale.
Sinora sono stati affrontati,
dai Sinti, con la diffidenza e il camuffaggio ma ci sono segni, da entrambe
le parti, della ricerca
di nuove forme di comunicare, condividere rabbia e allegria, progettare
il futuro. I primi passi
devono essere la conoscenza, l'abbandono dell'assistenzialismo, la promozione
del diritto ad
abitare, lavorare ed essere istruiti. E' una
battaglia dura ma non crediamo possibile, in questo mutar di tempi, che
l'immagine cristallizzata
del Sinto o del Rom "figlio del vento" possa durare a lungo: a tutti noi
adoperarci affinché il
cambiamento sia per il meglio.
Bibliografia essenziale:
F. de Vaux de Foletier, "Mille anni di storia degli Zingari", ed. Jaca
Book
Gnugo De Bar, "Strada, patria sinta" (U drom, mengro ciacio gauv), ed.
Fatatrac
Le industrie che fanno
affari in Birmania
Posted by data on 21/2/2001, 10:40:58
Administration
Chi ha partecipato alla campagna di lettere nei confronti di Triumph
International, multinazionale della biancheria intima, per convincerla
ad abbandonare la Birmania,
paese sottoposto a una feroce dittatura militare, avra' ricevuto una lettera
di risposta in
tedesco.
Eccone la traduzione. Il testo si commenta da se'.
Ersilia Monti
(Coordinamento lombardo nord/sud del mondo)
...
"In relazione alla sua lettera avente per oggetto la nostra produzione
in Birmania, le
comunichiamo quanto segue:
La Clean clothes campaign ci ha chiesto di chiarire se intendiamo ritirarci
da Myanmar, ex
Birmania. La chiusura della nostra fabbrica comporterebbe necessariamente
il licenziamento di
mille dipendenti e la perdita di reddito per le loro famiglie, senza contare
che nel paese e'
pressoche' impossibile trovare posti di lavoro che offrano condizioni paragonabili
alle nostre.
Nella nostra fabbrica in Birmania garantiamo salari, prestazioni sociali
e condizioni di lavoro al di
sopra della media nazionale. In conformita' con gli orientamenti del nostro
gruppo, che si rifanno
alle convenzioni fondamentali in materia, non tolleriamo anche nel caso
specifico ne' lavoro
minorile ne' lavoro forzato.
L'invito al boicottaggio o alle sanzioni nei confronti di Myanmar viene
citato frequentemente con leggerezza senza conoscere il contenuto dei
relativi provvedimenti politici. Per esempio: "Il parlamento svizzero ha
approvato il 2 ottobre
2000 l'applicazione di sanzioni nei confronti di Myanmar, in linea con
la decisione dell'Unione
europea del 22 maggio 2000. Le stesse riguardano i seguenti punti:
- Divieto di fornire armi e mezzi destinati alla repressione
- Congelamento dei beni appartenenti a membri del regime birmano
- Divieto di fornire finanziamenti ai membri del regime birmano
- Divieto di ingresso o transito ai membri del regime e alle loro famiglie
Gli istituti finanziari
svizzeri sono tenuti a comunicare i numeri di conto sottoposti a sanzioni.
Il provvedimento resta
in vigore fino al 3.10.2002".
Nessuno di questi punti ci riguarda! Quella della Clean clothes campaign
e' quindi una
rivendicazione di carattere puramente politico che ha preso a obiettivo
un'impresa privata.
Viene inoltre affermato che avremmo impiantato una joint-venture "con i
militari". Cio' e' falso.
Abbiamo affittato i terreni da un'azienda statale.
In compagnia di un crescente numero di eminenti personalita', siamo
dell'opinione che i cambiamenti nella linee politiche e nei comportamenti
di un governo non si
ottengono con le sanzioni economiche, ma con il dialogo.
L'ha affermato con chiarezza anche il nuovo segretario di stato americano,
Colin Powell
(responsabile delle operazioni militari in Iraq nel 1990, n.d.t.). In un'audizione
davanti a una
commissione parlamentare, Powell si e' detto disponibile a discutere della
sospensione della
maggior parte delle sanzioni economiche in vigore nei confronti di stati
terzi da parte degli Stati
Uniti (Herald Tribune, 23 gennaio 2001). Anche parti dell'opposizione politica
birmana sono
contrarie ai boicottaggi. "Le sanzioni danneggiano solo il popolo", cosi'
si e' espresso l'ex
parlamentare e oppositore politico Tin Htun Maung (Facts, 4 maggio 2000).
Siamo solidali con tutte le iniziative promosse da organismi riconosciuti
che contribuiscono a
mettere in luce e a migliorare le condizioni inadeguate di vita e di lavoro
in paesi
economicamente poco sviluppati. Proprio in questi giorni l'Organizzazione
internazionale del
lavoro ha reso noto che mancano nel mondo 500 milioni di posti di lavoro,
in special modo nei
paesi in via di sviluppo; da cio' traiamo la consapevolezza della nostra
responsabilita' sociale,
dato il nostro ruolo di imprenditori presenti in diversi di questi paesi,
e vogliamo comportarci di
conseguenza.
Per questi motivi Triumph respinge l'invito alla chiusura della sua fabbrica
in Birmania. Non
vogliamo e non possiamo assumerci la responsabilita' del licenziamento
di mille persone, per
motivi puramente politici, con le conseguenze che ne deriverebbero anche
per le loro famiglie. Al
contrario siamo disponibili a intavolare un dialogo con tutte le istituzioni
autorevoli che si
occupano di migliorare le condizioni di vita in Birmania per vedere se
e in che forma, oltre ad
assicurare il mantenimento di posti di lavoro, Triumph puo' contribuire
al raggiungimento di
questo obiettivo. Siamo disponibili a dialogare, oltre che con il sindacato
europeo, anche con la
Clean clothes campaign.
Speriamo con questa lettera di avervi chiarito il nostro punto di vista.
Cordiali saluti.
Triumph International
--- La denuncia di Clean Clothes Campaign.
TRIUMPH INTERNATIONAL FA AFFARI IN BIRMANIA,
UN PAESE SOTTOPOSTO A SANZIONI INTERNAZIONALI. E ROBE DI KAPPA?
Il sindacato birmano in esilio (FTUB) invita ad appoggiare una campagna
di pressione per
costringere Triumph International, nota azienda svizzera produttrice di
biancheria intima, ad
abbandonare la Birmania, paese in cui 1 milione di persone sono costrette
a sostenere
l'economia nazionale con il lavoro forzato.
Nonostante le sanzioni internazionali, le denunce dell'OIL e del sindacato
internazionale,
nonostante la richiesta rivolta dall'opposizione democratica capeggiata
dal premio nobel Aung
San Suu Kyi agli investitori internazionali affinché rinuncino a
fare affari con la dittatura militare
birmana, dal 1995 le importazioni dalla Birmania sono aumentate negli Stati
Uniti, solo per fare
un esempio, del 272%. Triumph sarebbe presente in Birmania in joint venture
con un'impresa
statale gestita da funzionari dell'esercito.
Ma anche aziende italiane non si fanno scrupoli.
Alla lettera inviata dalla Clean clothes campaign svizzera, Triumph in
questi giorni risponde cosi': "Pensiamo che la vostra critica non sia
diretta a noi, ma alla situazione politica e sociale della Birmania in
generale. Proprio per questo motivo non ce la sentiamo di decidere del
licenziamento di 1000 lavoratori, che non possono portare la responsabilita'
delle condizioni
politiche nel loro paese. Crediamo quindi che sia nostro compito astenerci
da questo tipo di
considerazioni e garantire le migliori condizioni di lavoro possibili".
Va detto anche che Triumph e' firmataria di un codice di condotta europeo
che la impegna al
rispetto della convenzione dell'OIL sul lavoro forzato.
La campagna svizzera ha organizzato manifestazioni di strada e fatto
pubblicare un'inserzione in un quotidiano che mostra l'immagine di una
donna che indossa un
reggiseno fatto col filo di ferro, attirando cosi'
l'attenzione della stampa e della televisione sul caso. Un rappresentante
della CCC svizzera e un
esperto in relazioni pubbliche, nominato in questi giorni dalla Triumph,
si confronteranno oggi in
un dibattito radiofonico.
PER SPEDIRE UN MESSAGGIO DI PROTESTA ALLA TRIUMPH:
- andare al sito www.cleanclothes.ch/d/
- cliccare su: "Schreiben Sie ein Protestmail an Triumph in Zurzach"
(scrivete un email di protesta alla Triumph a Zurzach)
- cliccare su: "Protestbrief zu Triumph Burma" (lettera di protesta alla
Triumph Birmania)
- apparira' il testo della lettera scritto in tedesco su sfondo azzurro
(breve traduzione: da fonti della Clean clothes campaign risulta che Triumph
produce anche in
Birmania sostenendo in questo modo una dittatura militare.
Il sindacato birmano in esilio invita a interrompere i rapporti commerciali
con il paese, l'OIL ha
imposto sanzioni, il nobel per la pace Aung San Suu Kyi ha sollecitato
le aziende straniere a
lasciare la Birmania. Parecchie l'hanno fatto, Levi's e' una di queste.
E' inaccettabile che
un'azienda come la vostra produca in condizioni del genere. Ci appelliamo
al vostro senso di
responsabilita' e vi preghiamo di interrompere le attivita' in corso in
Birmania).
- Digitare una X nella casella a lato di: "Ich unterschreibe den
Beschwerdebrief an die Firma Triumph International" (sottoscrivo la lettera
di protesta alla
Triumph International)
- Compilare il modulo "Meine Adresse" (il mio indirizzo): Name (cognome),
Vorname (nome),
Firma (scrivete l'eventuale associazione di appartenenza), Strasse (indirizzo),
PLZ (codice di
avviamento postale), Ort (localita')
- Non barrate "Ich wuensche eine Antwort." se non volete ricevere
aggiornamenti in lingua tedesca
- Cliccate su "Brief abschicken" (invio lettera)
- Riceverete un messaggio di ringraziamento
Clean Clothes Campaign
Per informazioni sulla campagna di boicottaggio internazionale della
Birmania: www.freeburmacoalition.org
Il rapporto di Amnesty international del dicembre scorso sull'uso
sistematico della tortura in Birmania: www.amnesty.org
Medio Oriente, il corto
circuito
Posted by data on 20/2/2001, 12:47:27
Administration
Alla Casa Bianca Bush Jr. ci ha subito allungato il biglietto da visita:
bombe sull'Irak, scudo
stellare, schizofrenia con nuove vampate di nazionalismo e rinnovati proclami
da poliziotto del
mondo.
Nel frattempo il fido alleato israeliano svolta a destra brutalmente con
l'ascesa del generale
Sharon, accusato di crimini di guerra da molti giuristi per il massacro
di Sabra e Chatila del 1982
nonché responsabile (con la provocazione dell'autunno scorso sulla
Spianata delle moschee)
della spirale di violenza che ha condotto alla sua elezione.
Emerge, purtroppo, tutta l'insostenibilità del quadro geopolitico
voluto in Medio Oriente dagli Usa
e dai suoi fidi alleati (come lo scudiero inglese che quando c'è
da bombardare non ci pensa mai
due volte, laburista o conservatore che sia il governo).
Purtroppo, la situazione è degenerata; anzi, è nata male.
E oggi costruire una convivenza sulla
scia di una occupazione violenta che continua a far scorrere il sangue
sembra davvero
un'impresa proibitiva. Lo stesso accordo di Oslo, che si reggeva su fondamenta
d'argilla, ormai
pare svuotarsi di senso, a minarlo sono stati innanzitutto i falchi d'Israele.
Non è certo
incoraggiante sentire le dichiarazioni di molti israeliani, non dico i
coloni ultraortodossi e in fondo
razzisti o gli esponenti della destra intransigente, ma anche di gente
qualunque intervistata per
la strada, dell'elettore moderato che ha fatto pendere la bilancia dalla
parte del falco Sharon
per difendere la "sua" terra. Purtroppo, il nazionalismo e la nevrosi da
accerchiamento
caratterizzano la situazione israeliana e la reazione è talmente
virulenta da incrinare ormai i
rapporti anche con gli stessi arabi cittadini di Israele.
Purtroppo, l'Occidente non alza mai la voce con il suo supermilitarizzato
avamposto in Medio
Oriente, nessuna delle grandi diplomazie ha il coraggio di dire la verità
a Israele, neanche il
bagno di sangue palestinese degli ultimi mesi ha portato a reazioni significative,
se non a
condanne più o meno generiche della violenza.
Purtroppo assume consistenza sempre maggiore l'impressione che i palestinesi,
come i kurdi
poco più in là, siano considerati un po' come gli agnelli
sacrificali di un equilibrio geopolitico.
L'Italia e il suo governo di centrosinistra, per esempio, brillano per
l'assenza quando si tratta di
dire le cose come stanno, sia di fronte all'elezione a premier di un generale
con i denti che
grondano sangue, sia di fronte al proditorio bombardamento sull'Irak del
despota Saddam
Hussein che mette alla fame la popolazione e continua a perseguitare la
minoranza kurda in un
paese che un tempo aveva una prosperità piuttosto diffusa.
Il vizio d'origine della questione israelo-palestinese e le seguenti pagine
storiche rende tutto
maledettamente complicato, soprattutto se alla pura questione della convivenza
fra due
popolazioni s'intrecciano gli interessi geopolitici ed economici americani
(e non solo). E
soprattutto se la popolazione israeliana, alla prima sassaiola, è
pronta a chiudersi a riccio dietro
bellicosi governi di unità nazionale lasciando soli come inascoltate
voce in deserto i pacifisti che
ancora insistono a voler guardare con lucidità dentro una situazione
nella quale ci sembra
evidente che il passo indietro dev'essere fatto da Israele che ha continuato
in questi anni la
politica di colonizzazione nonostante gli accordi di pace e di convivenza
con i palestinesi.
Purtroppo in questo inizio di 2001, mentre in Israele/Palestina scorre
il sangue tutti i giorni,
domina il pessimismo. Un'analisi realistica non può che condurre,
infatti, alla consapevolezza che
solo l'affermazione di alcune "verità" sulla definizione dei ruoli
(oppressi e oppressore) e sulle
conseguenti iniziative diplomatiche internazionali potrebbe aprire la via
a una nuova speranza di
rinascita civile in Medio Oriente. Ma questa volontà non c'è
in giro. Non c'è, almeno, nelle
stanze del potere occidentali (né nella società israeliana).
Dunque, non rimane che appoggiare le iniziative nella società civile
che tendono a mantenere
alto il livello di attenzione sociale sulla repressione dei palestinesi
e sul comportamento
vergognoso delle forze militari e del governo israeliani.
Segnalo, in proposito, l'iniziativa di alcuni giuristi americani per l'incriminazione
del premier
israeliano Ariel Sharon per crimini di guerra in relazione al massacro
di Sabra e Chatila (Libano,
1982: uccisi 2-3 mila palestinesi) avvenuto quando l'uomo politico era
ministro della difesa. Per
sottoscrivere l'appello (lanciato in 24 Paesi in tutto il mondo) si può
scrivere a
schiarin@ilmanifesto.it.
Naturalmente, sappiamo già che un'azione penale contro Sharon finirà
nei cassetti della storia.
Ma un giorno, quando noi non ci saremo, qualcuno almeno la potrà
tirar fuori da lì...
Buenaventura
G8 a Genova, appello per
la libertà di manifestazione
Posted by data on 19/2/2001, 11:50:05
Administration
(comunicato e appello)
"Contro il prossimo G8 a Genova esiste una "regia di attacco coordinato"
che deve essere
neutralizzata. Lo ha detto il presidente del comitato di controllo sui
Servizi, Frattini, in un
convegno sull'intelligence nel XXI secolo. Frattini ha parlato di alcune
organizzazioni, tra cui
"Rete contro il G8" e "Rete delle marce europee" con sedi in Italia sulle
quali occorre indagare. E'
necessario, ha proseguito, prevenire e recidere i collegamenti internazionali
tra queste
organizzazioni per impedire azioni di disturbo e attacco contro il vertice
che si terrà a Genova"
La disinformazione contro le legittime proteste che si terranno a Genova
in occasione dei G8
procede da più parti con lo scopo di giustificare da parte del governo
l'uso della violenza e di
strumenti repressivi. Chiediamo a voi, di appoggiare il diritto costituzionale
di associazione e di
manifestazione mandando il testo che segue (all'interno e' contenuto l'appello
"Genova Citta'
Aperta" che potete firmare mandando un email all'indirizzo lilliput-ge@libero.it)
indicando
NOME, COGNOME, INDIRIZZO:
Al Sindaco di Genova
Al Prefetto di Genova
E' in occasione del vostro prossimo incontro a Roma che chiediamo un impegno
preciso da parte
vostra per garantire spazi adeguati per la libertà di espressione
e di manifestazione durante i
giorni del vertice dei G8 del prossimo luglio.
A sostegno delle richieste della società civile, vi inoltriamo il
seguente appello:
Al presidente della Repubblica italiana
Ai presidenti del Senato della Repubblica e della Camera
Al presidente del Consiglio
Al ministro degli Interni
Al ministro degli Esteri
Ai/Alle Parlamentari
Ci rivolgiamo alle istituzioni del nostro Paese, che ospitera' nel luglio
2001 la riunione dei G8,
affinché garantiscano anche nei giorni del Vertice di Genova liberta'
di espressione e
manifestazione ai cittadini e cittadine del mondo.
Siamo convinti che le istituzioni del nostro Paese, proprio per la loro
storia e per i principi su cui
si fonda la Repubblica italiana, non possano e non debbano decidere di
autorita' , come e'
avvenuto in altre nazioni, di negare gli spazi del confronto democratico,
sospendere i diritti
fondamentali dei cittadini e ridurre a un problema di ordine pubblico le
problematiche sollevate
da chi contesta.
Noi chiediamo che le nostre istituzioni diano un segnale consapevole di
maturita' e di apertura
nei confronti di quelle campagne, reti e organizzazioni non governative
che stanno crescendo in
questi anni, a dimostrazione della sensibilita' e dell’attenzione di buona
parte dell’opinione
pubblica mondiale ai principi di equita' , responsabilita' e sostenibilita'
, che dovrebbero
pervadere la sfera pubblica e privata delle societa' in cui viviamo.
Questi movimenti, che stanno sperimentando forme inedite di organizzazione
e espressione della
societa' civile su scala globale, chiedono ai Governi dei singoli Stati
un impegno affinche':
vengano tutelati i diritti fondamentali e intangibili dei cittadini del
mondo al lavoro, alla salute, alla tutela dell' ambiente, alla liberta'
di espressione e a un' informazione corretta; vengano definiti finalmente
i beni comuni
indisponibili dell'umanita' (quali la biodiversita' , il patrimonio genetico,
le risorse idriche ecc.);
vengano poste sotto il controllo democratico le organizzazioni economico-finanziarie
internazionali.
Noi crediamo che vadano tutelati pienamente il diritto alla liberta' di
opinione, organizzazione e
manifestazione che sono contemplati dalla nostra Costituzione e anche dalla
stessa Carta dei
cittadini e delle cittadine europei, che richiama, almeno formalmente:
i principi di solidarieta' e equita' , che comportano la ricusazione di
qualsiasi forma di esclusione;
il principio di eguaglianza per tutti, che presuppone il rifiuto di qualsiasi
forma di discriminazione;
la liberta' di opinione e di organizzazione, che contempla una particolare
tutela delle procedure
partecipative e delle forme associative.
Togliere la voce a Campagne, Reti e Organizzazioni Non Governative, che
rappresentano gli
interessi collettivi diffusi della cittadinanza e che adottano forme di
contestazione e di lotta
pacifiche e non violente, significa negare questi diritti e principi fondamentali.
E' per dare voce alle istanze dei cittadini che chiediamo, in occasione
del Vertice dei G8 del
luglio 2001, che:
1 - sia avviato un tavolo di trattativa con il Governo sui temi salienti
compresi nell' agenda del
Vertice;
2 - siano garantiti, anche in occasione del Vertice, spazi e strutture
adeguate alle Campagne,
Reti e ONG che rappresentano gli interessi collettivi della cittadinanza.
AIFO - ARCI - ASSOCIAZIONE BOTTEGHE DEL MONDO - BEATI I
COSTRUTTORI DI PACE - BILANCI DI GIUSTIZIA - CAMPAGNA CHIAMA
L'AFRICA - CAMPAGNA RIFORMA DELLA BANCA MONDIALE - CAMPAGNA
"DIRE MAI AL M.A.I" / STOP MILLENNIUM ROUND - CAMPAGNA
"SDEBITARSI" - CARTA - CENTRO
NUOVO MODELLO SVILUPPO - COCORICO - COORDINAMENTO
LOMBARDO NORD SUD DEL MONDO - C.S.ZAPATA - CTM - FORUM
AMBIENTALISTA - IRED NORD - MANI TESE - MANI TESE GENOVA - MAREA
- NIGRIZIA - PAX CHRISTI - RETE CONTRO G8 - RETE LILLIPUT GENOVA -
RETE RADIE' RESCH - ROBA DELL'ALTRO MONDO - WWF
G8: Frattini agita gli spettri,
ma la violenza da che parte sta?
Posted by data on 17/2/2001, 14:07:38
Administration
Il presidente del Comitato parlamentare per il controllo dei servizi segreti
Franco Frattini (Forza
Italia) non ha resistito e ieri ha annunciato urbi et orbi il grave pericolo
che incombe su Genova:
le manifestazioni di protesta durante il vertice del G8 di luglio. Con
toni da anni di piombo
l'esponente forzitaliota ha lanciato l'allarme, in molti casi supportato
dal microfono pendulo di
giornalisti che si sono ben guardati dall'andare a chiedere alle ormai
innumerevoli associazioni
che si mobilitano in modo nonviolento (salvo eccezioni rare ma ben amplificate
dai media) contro
i simboli (e gli attori) dell'omologazione neoliberista chiamata "globalizzazione".
Frattini ha dipinto uno scenario che dovrebbe spaventare i benpensanti
Italiani: "Genova come
Seattle, come Nizza, come Davos. Bombe molotov, vetrine in frantumi...".
Insomma, da una parte i buoni ("noi", lascia intendere Frattini, e "voi",
politici e cittadini sulla
retta via del G8), dall'altra i cattivi sconsiderati ("loro") che fanno
già esercitazioni per allenarsi
a disturbare il regolare svolgimento del vertice genovese.
Abbiamo ragione di ritenere che Frattini sappia bene che né a Seattle
né a Nizza né a Davos né
a Bologna a manifestare nelle piazze erano i nuovi terroristi bensì
gruppi eterogenei di cittadini
che sono i primi segnali di sfogo della frustrazione da pensiero unico
e eterodirezione globale
vissuta sulla propria pelle da gran parte della popolazione del Nord e
del Sud del pianeta. Forse
un certo mondo economico e politico si sta rendendo conto che, a colpi
di mucche pazze e di
Ogm, a forza di vedere operai ammazzati in fabbrica da sostanze cancerogene
e a forza di
respirare veleni immessi nell'ambiente dove viviamo tutti (a parte i più
ricchi...), anche il
cittadino medio e benpensante potrebbe iniziare a interrogarsi sul perché
e sul per chi di tutto
ciò.
Allora, agitiamo un po' di spauracchi, lasciamo intendere che a gridare
contro la globalizzazione
neoliberista sono quattro scalmanati "dell'estrema sinistra italiana e
internazionale". Il problema
è che, forse, qualcuno sta capendo che la gente può iniziare
a rendersi conto non solo che i
quattro scalmanati sono probabilmente gli altri (come i dementi che hanno
messo in moto il
business degli organismi transgenici nell'alimentazione!), ma anche che
forse, nonostante la
rassegnazione e il senso di impotenza ancora dominanti, c'è modo
di contrastare i loro piani di
controllo globale della vita umana.
Sì, forse inizia a esserci un po' di nervosismo nelle stanze delle
oligarchie che contano.
Per finire e per tornarte a Frattini, pubblichiamo qui sotto il commento
diffuso oggi in un
comunicato da Antonio Bruno vice presidente del Consiglio comunale di Genova
Altro Polo -
Sinistra Verde
GENOVA E I G8 : NONVIOLENZA O PREPOTENZA ?
Le dichiarazioni del presidente forzista del Comitato parlamentare per
il controllo dei servizi
segreti Franco Frattini in merito alla necessità di
eliminare i movimenti che contestano il vertice dei G8 a Genova hanno il
merito di esplicitare la
reale natura degli attori, sgomberando il campo da ipocrisie e voluti
fraintendimenti.
I G8 sono i maggiori responsabili della gravissima situazione economica
e ambientale del pianeta.
Per la prima volta nella storia, il mondo è retto da un unico sistema:
l'Impero del denaro, il cui cuore è la speculazione finanziaria.
Mai nella storia si era visto un
impero tanto vittorioso e talmente convincente, grazie alla potenza dei
mass media.
Viviamo in un sistema economico dove il 20% degli uomini consuma l'82%
delle risorse a spese
del resto dell'umanità. Il 20% dei più poveri ha a disposizione
solo 1,4% dei beni.
Questo sistema di oppressione si regge sullo strapotere delle armi:
spendiamo ogni anno 800 miliardi di dollari in armamenti, che servono a
difendere i privilegiati
dalla minaccia dei poveri.
L'Impero del denaro uccide con la fame (30 milioni: un "olocausto" ogni
anno), con le armi
(conflitti armati, regimi repressivi, guerre stellari), con la distruzione
dell'ambiente, con la
distruzione delle culture.
In questo quadro è perfettamente comprensibile che i sudditi debbano
essere allontanati dai
luoghi dell'ostentazione del potere ('Genovesi andate al mare o in montagna'),
che una città
venga occupata militarmente e i suoi abitanti blindati in essa, che le
più elementari libertà
costituzionali siano cancellate almeno per un certo periodo.
L'unica cosa su cui si discute è se il dissenso possa essere manifestato
fino e non oltre al 1.
luglio 2001, oppure, come fece il cancelliere socialdemocratico Schroder,
aspetti in un qualche
stadio un delegato governativo a cui consegnare una petizione per i potenti
del mondo.
Invece Genova puo', deve, e sarà, il luogo dove le forze più
positive del pianeta saranno
presenti.
Il vertice di Porto Alegre in Brasile si è chiuso dandosi appuntamento
nella nostra bella città. Esponenti della società civile
come Josè Bovè o il leader dei Sem Terra
Joao Stedile hanno annunciato la partecipazione alle manifestazioni di
Genova.
Migliaia di persone faranno in modo che Genova sarà il luogo della
nonviolenza e della pace proprio nei gironi in cui i potenti del mondo
ostenteranno violenza e prepotenza.
- Antonio Bruno
vice Presidente del Consiglio Comunale di Genova
Altro Polo - Sinistra Verde
Inquinamento: una battaglia
contro il cancro a Taranto
Posted by data on 15/2/2001, 1:29:14
Administration
(comunicato di Peacelink)
La mobilitazione delle scorse settimane contro i fumi cancerogeni della
cokeria dell'Ilva ha ottenuto un importante risultato.
Il Sindaco di Taranto Rossana di Bello, con un'apposita ordinanza, ha
chiesto una rimozione entro 15 giorni delle cause che generano l'abnorme
inquinamento della
cokeria.
E' un passo in avanti. Occorre farne un altro: bisogna prevedere dei
controlli continui sull'area industriale. Altrimenti le ordinanze rischiano
di essere parole senza efficacia.
Chiediamo pertanto che il Comune di Taranto acquisisca i dati dei sistemi
di monitoraggio interno
con cui l'Ilva rileva le proprie emissioni
inquinanti. Quei dati non possono più rimanere un'informazione privata
interna all'Ilva ma
possono e devono diventare informazione di pubblico dominio, pubblicabile
ogni giorno sui giornali
e su Internet. La legge lo consente (1).
Inoltre chiediamo che da ora in poi di fronte all'Ilva venga posizionata
la centralina
antinquinamento mobile del Comune di Taranto. Infatti va detto che il sistema
di centraline non
rileva l'inquinamento nei pressi dell'area industriale. Come potremo controllare
i dati dell'Ilva (e
della altre aziende) se il comune non piazza una centralina lì?
E visto che non esiste, perché
non piazzarci quella mobile?
Altro provvedimento urgente è un'apposita analisi periodica del
benzo-a-pirene negli IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici), sia nell'area
industriale sia nell'area urbana, dato che in questi IPA si annida uno
dei più pericolosi killer della
città. Senza questa analisi disaggregata i
valori degli IPA rilevati dalle centraline sono troppo generici e non
consentono di rendere efficace una lotta all'inquinamento che genera le
peggiori patologie della
città: quelle tumorali.
Occorre restituire ai cittadini i due beni preziosi che - dopo la salute
-
sono mancati a questa città: l'informazione e la trasparenza.
Non è infatti superfluo ricordare la via contorta con cui si è
arrivati a
questa ordinanza del sindaco. Venerdì 26 gennaio il Corriere del
Giorno "trova" (chissà come e
chissà dove) una vecchia lettera (del novembre scorso) del Pmp (Presidio
Multizonale di
Prevenzione) al sindaco di Taranto e all'Assessorato all'Ambiente della
Regione Puglia in cui si
proponeva il fermo delle batterie 3/6 della cokeria a causa delle emissioni
inquinanti.
Il tutto è rimasto silenzioso nei cassetti fino a quando la notizia
è
diventata di pubblico dominio per merito della stampa. Di lì a poco
PeaceLink ha pubblicato sul suo sito Internet le foto della cokeria con
operai immersi in fumi cancerogeni. E' la conferma visiva dell'emergenza
e le foto sono state
definite "agghiaccianti" dai giornali che la hanno pubblicate. A questo
punto si è scatenata la
giusta reazione della città e da più parti è stata
invocata un'azione ferma a difesa della salute
dei lavoratori e dei cittadini. Essenziale è apparsa a tutti la
funzione del giornalismo e
dell'informazione nel conseguire la vittoria e cioè un'ordinanza
del sindaco. Ma, vista la vicenda
un po' contorta, non sarebbe male chiedersi: possiamo affidare simili questioni
alla buona
volontà e alla tenacia di qualche giornalista che lancia l'allarme?
Non è venuto il momento che il
Comune e la Asl (e in particolare il Pmp) si dotino di un sistema informativo
diffuso che renda
noti i suoi atti, specie in un
settore così delicato come quello dell'inquinamento?
Perché non mettere tutto su Internet e offrire ai giornalisti un
archivio
di documentazione senza che debbano fare gli 007?
Giustamente l'assessore di Statte, dott.Onofrio Pappalepore, si è
lamentato per non aver mai
ricevuto dal dott.Virtù (responsabile del Pmp) la lettera in cui
si parlava delle batterie più
inquinanti della cokeria. Questi giochi dell'informazione opaca e intermittente
non possono più
perdurare: apriamo gli archivi Ilva e del Pmp, siano resi pubblici i dati
dell'inquinamento
industriale. Altrimenti noi cittadini, che paghiamo le tasse e paghiamo
quindi anche il Pmp,
saremo esclusi da quell'informazione che è potere di controllo.
Sarebbe paradossale se a Taranto - dopo aver conosciuto il piano di
emergenza nucleare - non possiamo conoscere i dati dell'inquinamento dell'Ilva
e delle altre
aziende.
La strada è in salita ed è lastricata di tanto silenzio.
Rendiamo noto, a tal proposito, che la Regione Puglia non ha ancora
risposto alla lettera qui sotto riportata (1) in cui chiedevamo
l'acquisizione dei dati delle centraline per l'inquinamento dell'Agip.
Gli enti locali hanno il potere di chiedere e ottenere i dati "privati"
delle centraline industriali e renderli pubblici.
Quanti morti dobbiamo aspettate ancora?
Alessandro Marescotti
Presidente di PeaceLink
Ogm, la vittoria degli
scienziati
Posted by data on 14/2/2001, 12:42:30
Administration
E così è bastato un giorno di mobilitazione di un gruppo
di scienziati ed ecco che la
sperimentazione in campo aperto degli organismi geneticamente manipolati
scatta anche nel
settore agroalimentare italiano, sia pure sotto controllo pubblico e con
limitazioni quantitative,
come da accordo prontamente siglato fra il governo tremabondo che ci ritroviamo
e la illustre
delegazione di luminari.
Lo avevamo già scritto in passato e non ci resta che ripeterlo:
che bisogno c'è delle tecnologie
transgeniche in agricoltura? Chi lo avverte e perché? Forse che
i popoli del mondo (e nel nostro
caso quello italiano) da anni scendevano in piazza per ottenere finalmente
l'accesso alla soia
pazza? No, gli interessi sono altri ed è fin troppo facile mascherarli
dietro false campagne
"illuministiche" contro l'oscurantismo e la censura della scienza.
E' verò, in Italia e altrove ci sono in questo periodo segnali di
rigurgiti reazionari che riguardano
la ricerca scientifica in alcuni settori ma anche molte altre espressioni
della vita umana. Questo,
però, non significa che allora, nel nome della libera scienza, tutto
vada difeso, comprese le
manipolazioni genetiche nel settore alimentare, come vogliono molti scienziati
(che in realtà
delle conseguenze sulla salute e sul pianeta non sanno nulla!).
"Cibo transgenico? No grazie!": questo ci sembra l'unico atteggiamento
sano di fronte a un tipo
di ricerca di cui non si avverte alcun bisogno sociale e che richiama enormi
capitali sopratutto
perché apre scenari di business straordinari per un pugno di aziende.
(Si sono ormai sgonfiate
anche le fantasiose teorie sugli ogm come giustizieri della fame nel mondo
e nel frattempo i
contadin i del Sudfiniscono nella morsa transgenica in termini di perdita
dell'autosussistenza
come nel caso delle sementi sterili). Altro discorso, naturalmente, per
quella parte delle ricerche
in medicina che possano davvero avere una utilità sociale (e non
servire, però, a mettere tutti
noi dentro enormi schedari globali genetici al servizio dei vari Grandi
Fratelli).
Parlando dall'alto delle loro cattedre, baroni e baronesse della scienza
sembrano non aver
compreso che oggi si trovano di fronte a una platea composta anche di persone
informate e
competente che non è più così facile rabbonire con
argomentazioni fumose con linguaggio
tecnico-scientifico.
Bene fa Greenpeace a ricordare che gli scienziati sono "liberi di protestare
ma non si può mentire
all'opinione pubblica". L'associazione ambientalista ribadisce che la propria
opposizione non è alla
ricerca genetica tout court, come ha lasciato intendere il ministro Veronesi,
ma sopratutto alla
sua applicazione in campo agroalimentare. "I rischi connessi con le coltivazioni
transgeniche -
osserva Greenpeace - sono ormai evidenti in particolare nei paesi dove
sono utilizzate da più
tempo come Stati Uniti e Canada. Qui è stato dimostrato come le
caratteristiche di resistenza
agli erbicidi indotte nelle varietà transgeniche siano migrate in
varietà selvatiche infestanti, in
alcuni casi con l'acquisizione di resistenza multipla, e la creazione di
piante superinfestanti. Per
combattere queste ultime si dovrà fare ricorso a prodotti sempre
più tossici. E' solo una delle
prove lampanti che l'inquinamento genetico, una volta innescato, non è
più
controllabile. Senza contare i rischi sanitari che sono potenzialmente
molto preoccupanti".
Greenpeace tocca anche un altro punto importante nella nota diffusa ieri
sera: "Ma oltre
l'aspetto puramente ambientale e sanitario, l'applicazione di molte biotecnologie
solleva anche
problemi di ordine etico e morale che non riguardano solo la manipolazione
degli embrioni,
soprattutto quelli umani, e la creazione di embrioni misti, ma anche lo
sfruttamento commerciale
garantito dalla brevettabilità degli organismi transgenici e di
singoli frammenti di DNA".
CI sembrerebbe ovvio, a fronte di tutto ciò, che il principio di
precauzione, indicato anche dalla
Ue, significa non fare sperimentazioni transgeniche in agricoltura.
Invece si scalpita. I luminari e gli illustri colleghi sbraitano.
La casta degli Scienziati (quelli con la S maiuscola, naturalmente) dovrebbe
ormai rendersi
conto che il "quarto stato", per quanto cloroformizzato e manipolabile
che sia, non è solo un
condensato di ossequiosa apatia. Anche se così farebbe comodo a
dotti, medici e sapienti...
"Permettete una parola, io non sono mai andato a scuola e tra gente importante
io che non
conto niente forse non dovrei neanche parlare; ma dopo quanto avete detto
io non posso più
stare zitto..."
Buenaventura
Sinistra, votare o non
votare? Dino Frisullo
Posted by data on 12/2/2001, 12:03:26
Administration
Faccio politica da trent'anni. Molti miei compagni di trenta, venti e dieci
anni fa ora sono
ministri, sottosegretari, parlamentari, assessori,
consiglieri... Troppi. Non voglio scagliare anatemi, non mi piacciono.
So che alcuni di loro (pochi)
lavorano onestamente nelle istituzioni. So anche che alcuni di loro (pochissimi)
me li ritrovo a
fianco quando manifestiamo con gli immigrati, i profughi, i rom, i kurdi...
gli sfigati del mondo.
Del resto ai tempi di Democrazia Proletaria, fors'anche perchè eravamo
in pochini, sono stato
candidato a tutte le elezioni, dalle circoscrizionali alle europee. E,
una volta, anche dopo.
Tuttavia sono contento che, dopo trent'anni, il mio stomaco non si sia
ancora così ricoperto di pelo da non rivoltarsi quando mi sento
rispondere da un parlamentare,
proprio uno di quelli che nelle manifestazioni ci si ritrovano spesso,
"Sei matto a propormi di
andare in Turchia adesso? (dove stavano massacrando i prigionieri politici,
ndr) Proprio mentre
qui si stanno mettendo a punto le liste e i collegi elettorali?". Per la
serie: viva la sincerità.
Faccio politica da trent'anni, eppure non mi piacciono i professionisti
della politica. Ma non mi piacciono neppure i mestieranti della politica:
quelli che dormono sonni tranquilli, salvo svegliarsi in prossimità
di ogni scadenza elettorale per
cercarsi un posto in questa o quella lista, gridare alla morte della politica
se non lo trovano,
oppure inventarsi
rivoluzionarissime ragioni che giustifichino una lista rivoluzionarissima
che trovi un suo spazietto fra le pieghe dei meccanismi elettorali...
Ai tempi di Dp, e per un po' anche dopo, avevo creduto che "l'opposizione
di sistema, i bisogni
sociali, l'antagonismo, i diritti negati..." potessero trovare una loro
rappresentanza istituzionale
limpida, diretta e coerente.
Non lo credo più. Almeno in questa fase, e per un pezzo.
Il sistema politico italiano s'è americanizzato in un tempo
sorprendentemente veloce. E in America le posizioni, i bisogni, i movimenti
che tendono a
mettere in discussione o a criticare radicalmente l'esistente, non trovano
nessuna
rappresentanza istituzionale. Non sono solo marginalizzati: vengono schiacciati,
con una
durezza che l'Europa post-resistenziale non conosce ancora (se non in quell'Inghilterra
che è
un'America in sedicesimo). (...) Si preparano tempi duri. Sia che vinca
Berlusconi, sia che vinca
Rutelli, che rispetto a Clinton ha in meglio (che non è poco, ma
neppure molto, direi) il rifiuto
della pena di morte.
Chiunque vinca, nei prossimi anni credo che cambierà molto il panorama
sociale e culturale al
quale siamo abituati. Saranno messi in discussione molti dei diritti e
degli spazi di libertà che
crediamo acquisiti. Non è casuale che si metta sottosopra una città
come Firenze, alla vigilia
delle elezioni, per sgomberare il Cpa. E' un segnale preciso.
Più di oggi, chi ha a che fare tutti i giorni con i diritti negati
si
ritroverà in trincea.
Non lo dico con entusiasmo, ovviamente. Credo che la logica del "tanto
peggio tanto meglio" sia
non solo irresponsabile rispetto ai prezzi che pagheranno i settori sociali
più deboli ed esposti,
ma non regga alla prova dei fatti. C'è qualcuno che abbia visto
ricrescere vigorosa l'opposizione
sociale, nella Milano albertiniana o nella Bologna del macellaio?
Non so se la vittoria delle destre porterebbe a qualcosa che somigli a
un regime, ma certo non
moltiplicherebbe nè unirebbe di per sè le forze disperse
dell'antagonismo. Non si ripete due
volte, quel magico 25 aprile che segnò la fine di Berlusconi. E
l'Italia, non dimentichiamolo mai,
solo due anni dopo il "biennio rosso" partorì e regalò al
mondo il fascismo come modello di
"rivoluzione passiva", di irreggimentazione della società attraverso
l'uso del potere politico.
Quando non c'era ancora il Grande Fratello...
Non solo non mi entusiasma la prospettiva di tanti Storace a manovrare
tutte le leve del potere
(politico, economico, culturale, mediatico), ma mi fa paura. Non per la
mia persona: la mia
generazione, e ancor più le due precedenti, ne hanno viste di peggio.
Mi fa paura perchè
segnerà un'accelerazione paurosa (quella che i radicali volevano
con i loro referendum) della
restaurazione.
Saranno sgretolate una per una le conquiste faticose che avevano reso possibile
il "caso
italiano" - ed anche quel 25 aprile milanese. La
regressione, anticipata dal voltagabbana di tanti intellettuali, investirà
tutta la società.
Forse si tratta di un processo inevitabile. Il compromesso sociale del
dopoguerra, espresso anche nella Costituzione che le destre vittoriose
sicuramente stracceranno, non era un regalo. Era imposto dalla forza del
movimento comunista
ed operaio e dal suo riflesso (distorto) nella divisione del mondo in blocchi.
Oggi, con la fine reale dei blocchi e la fine apparente dell'utopia
comunista, il capitalismo può tornare a imboccare la strada che
trovò
inceppata settant'anni fa. Può stracciare le regole che s'era dovuto
imporre, tornando alla logica della forza nelle relazioni internazionali
(le guerre del Golfo e dei
Balcani) come nelle relazioni sociali.
Il modello è la Turchia in Europa, la Corea in Asia. Liberismo e
Stato
forte. Internet e manganello.
E' per tutte queste ragioni che andrò a votare. Senza entusiasmo,
perchè i processi che
prevedo saranno veloci e devastanti se vince Berlusconi, più lenti
e contraddittori se vince
Rutelli, ma andranno avanti comunque. Senza entusiasmo, anche, perchè
non vedo nessuno che
possa "rappresentare" fino in fondo ciò che vivo, faccio e penso,
e comunque la voce del mio
"rappresentante" risuonerebbe nel deserto. Ma come non mi appassiona il
voto, non
m'appassiona neppure questo dibattito. Proprio perchè l'esito del
voto può accelerare o
rallentare, o anche contrastare, ma non può cambiare il senso di
marcia delle cose.
Credo che per parecchio tempo dovremmo avere, rispetto alla sfera
politico-istituzionale ed elettorale, un atteggiamento laico e distaccato.
Sono altri, e altrove, i processi molecolari che cambiano la società,
o che almeno resistono alla
"rivoluzione passiva" del potere. E' finito il tempo in cui, in Italia
e in Europa, il momento
elettorale si caricava di attese messianiche (l'emozione con cui, ragazzino,
vedevo tornare per
le elezioni i treni colmi di emigranti e imbandierati di rosso).
Paradossalmente (nessuno si offenda) ritrovo questa enfasi proprio nelle
ragioni gridate da
alcuni compagni astensionisti. Chi grida al tradimento, evidentemente coltivava
un'illusione. Se
grido di non voler mangiare, è perchè m'aspettavo un buon
pasto invece del riso scotto che mi
si offre. Se invece so che il convento non passa che riso, lo mangerò
per sfamarmi e poi
cercherò altrove la gratificazione del palato...
Credo che si debba votare, senza farsi illusioni, ma per ritardare la
restaurazione e tenere aperta la massima contraddizione possibile nelle
istituzioni. "La massima
possibile" nel panorama dato, che è abbastanza desolante.
Dopodiché, sarà la realtà (sia che vinca Rutelli o
Berlusconi) ad obbligarci a riflettere sulla
questione vera: sulla nostra incapacità di tessere reti solide di
resistenza sociale e culturale.
Sulla solitudine di chi prova a farlo. Sul nostro settarismo. Sul nostro
vizio di camminare con la
testa rivolta all'indietro, al Grande Partito di metà secolo o ai
Grandi Movimenti di fine secolo.
Sulle nostre mitologie.
Sapendo che per molto tempo saremo minoranza in Occidente. Che non è
da qui che verrà la
trasformazione del mondo, ma da altri mondi che premono sul nostro.
Lo sanno perfettamente gli strateghi che sull'asse turco-israeliano stanno
preparando una
nuova guerra "esemplare", questa volta nel cuore del Medio oriente, per
ridurre all'obbedienza i
due popoli negati e ribelli (kurdi e palestinesi) e, attraverso e oltre
loro, le masse umane che
potrebbero essere così sovversive da far propri i miti fondativi
dell'occidente: democrazia, diritti
umani, libera circolazione, garanzie sociali e del lavoro, diritto alla
diversità e all'uguaglianza.
Lo sanno i decisori veri, che negli incontri internazionali ormai non
discutono quasi d'altro che di barriere, espulsioni e lager.
Saremo minoranza, ma indispensabili supporti di chi, al contrario della
maggioranza di noi, "non ha da perdere che catene". E cosa gli racconteremo,
a questi: che per
noi è indifferente che al Viminale vada un leghista, e alla Farnesina
un (ex?)fascista?
Senza nessuna nostalgia (tutt'altro) per Bianco e per Dini, chi costruisce
ogni giorno vertenze e
conflitti sa la differenza. Sa che già oggi nei corpi e negli apparati
statali alcune risposte attese,
quasi scontate in altri tempi, non vengono, perchè già si
attende il nuovo padrone, e quando
questo arriverà la risposta sarà: no.
E se da quel no dipendono vite umane? Certo non sarà il mio voto
a salvarle. Il mio non-voto
potrebbe però condannarle, almeno nell'immediato. La politica è
l'arte della distinzione, non la
notte in cui ogni vacca è nera.
Nei prossimi anni dovremo difendere e strappare coi denti spazi di libertà.
Libertà dal bisogno,
dalla discriminazione, dall'esclusione. Se per farlo meglio, per ottenere
una vittoria parziale o
arginare una sconfitta, sarà utile (non "determinante": utile) avere
questo o quell'interlocutore,
entrare o non entrare in questa o quella stanza del potere, votare o farsi
votare, dovremo valutarlo caso per caso. Laicamente, appunto: senza
paraocchi ideologici (neanche quelli governisti, ovvio).
Sapendo - come hanno appreso amaramente, ad esempio, gli immigrati dal
ciclo di lotte
antirazziste 1989-99 - che sulle vittorie anche parziali e limitate si
può crescere, mentre sulle
sconfitte ci si rompe la testa - e solo dopo, le teste rimaste sane possono
usare la sconfitta per
riflettere.
Dino Frisullo
Ci salveranno D'Antoni,
Andreotti e Pippo Baudo...
Posted by data on 10/2/2001, 16:54:41
Administration
Buone notizie per chi, come noi, è preoccupato del deficit di rappresentanza
e di partecipazione
popolare che caratterizza le democrazie formali, come quella italiana.
Una preoccupazione aggravata dalla prospettiva, aperta dal mondo politico
nazionale fedele
interfaccia dei potentati economici, di una democrazia caratterizzata dalla
delega elettorale
sempre più forte e dal bipolarismo, nel nome della stabilità
di governo.
Bene, se tutto ciò vi inquieta, se vorreste, al contrario, vedere
segnali nuovi, di rinnovamento
nel nome di una democrazia partecipata con deleghe elettorali ridotte al
minimo e facilmente
revocabili, eccovi accontentati.
E' nata tra suoni di trombe e interminabili celebrazioni mediatiche la
Democrazia europea di
Sergio D'Antoni. Con l'ex sindacalista agiscono, tragli altri, rinnovatori
come Giulio Andreotti e
Pippo Baudo.
Ora possiamo dormire tutti più tranquilli.
Buenaventura
Neoliberismo e G8, una risposta
anarchica a Genova
Posted by data on 7/2/2001, 22:29:16
Administration
Anche nel variegato movimento anarchico e libertario italiano ci si interroga
sulle forme della
partecipazione alla protesta contro il neoliberismo globale.
In particolare, da Genova viene un appello per dare visibilità all'impegno
anarchico e libertario
contro le politiche del G8 che saranno discusse nel vertice in programma
a luglio nel capoluogo
ligure.
Da qui un invito da Coordinamento anarchico genovese -
C.S.O.A. Pinelli (Genova) - Coordinamento anarchico ligure e piemontese
a un incontro
domenica 25 febbraio (dalle ore 10) a Genova, nella la sede del Coordinamento
anarchico
genovese, per discutere l'organizzazione di manifestazioni anti-G8 e di
un convegno, "con la
consapevolezza - si legge nella nota - di avere le carte in regola, più
di tanti altri, per la
coerenza che il nostro movimento ha sempre dimostrato nella lotta contro
ogni forma di potere
e di sfruttamento.
Siamo stati e siamo portatori di un punto di vista non riformista,
internazionalista e di ricostruzione dell'unità e della capacità
di lotta
delle classi lavoratrici e degli sfruttati. Anche in questa occasione
dobbiamo ribadire: l'impossibilità di democratizzare organismi politici
ed economici (nazionali o
transnazionali) che hanno come unico scopo
l'intensificazione dello sfruttamento del lavoro e delle risorse;
l'inconciliabilità - in questi come in altri processi - degli interessi
degli sfruttati e degli sfruttatori; l’invarianza delle funzioni dello
Stato
che se abdica al controllo dell'economia mantiene e rafforza quello sociale,
poliziesco e militare;
la consapevolezza che i diritti esistono solo sulla carta e quindi nulla
valgono se non sono
sorretti da rapporti di forza favorevoli.
Da qui la necessità di lottare: per la libertà di circolazione
di tutti in un mondo senza barriere;
contro il militarismo, le guerre, le carceri; per una riduzione generalizzata
dell'orario di lavoro, e,
senza riproporre un modello di welfare che ha significato la statalizzazione
del movimento
operaio, per la difesa delle garanzie sociali acquisite, per il raggiungimento
di una qualità della
vita dignitosa per tutti".
Roma, in piazza con i
Rom e contro i brindisi di Storace
Posted by data on 5/2/2001, 12:02:11
Administration
IL BRINDISI RAZZISTA VA DI TRAVERSO A STORACE
I ROM CONQUISTANO PIAZZA SAN GERARDO MAIELLA
La campagna elettorale della giunta Storace e' stata fermata a Casilino
23.
Quattrocento persone tra associazioni di base, centri sociali, circoli
di
Rifondazione Comunista, e tanti rom di via dei Gordiani hanno risposto
alla provocazione di
Alleanza Nazionale.
"Brindiamo al villaggio che non si fara' " avevano detto Marsilio e Rampelli,
chiamando in piazza i
militanti di Alleanza nazionale e di Forza Nuova per festeggiare l'affossamento
del villaggio rom di
via dei Gordiani da parte della giunta Storace e la cacciata dei rom promessa
dall'assessore
Dionisi.
Gli insegnanti del quartiere, il dirigente scolastico del 123° circolo,
gli operatori sociali, le
associazioni culturali e i centri sociali hanno portato in strada la musica,
i bambini, gli anziani per
dire NO alla xenofobia e all'intolleranza della giunta Storace.
"Non si puo' brindare a una non-soluzione. L'eliminazione delle differenze
impoverisce tutti. E le
nostre scuole hanno un ottimo rapporto con le famiglie e con i bambini
rom", ha detto il capo
d'istituto del 123 circolo.
" Parlo come cittadino e come genitore di una ragazza disabile. Opero in
un'associazione che
non e' disponibile alle mistificazioni di quelli che contrappongono i diritti
delle giovani coppie,
degli anziani e degli handicappati a quelli dei rom", ha aggiunto un rappresentante
di
un'asssociazione di disabili.
"Questa e' una tappa fondamentale nella battaglia per il rispetto della
dignita' di tutti gli abitanti
di Roma. Come gia' per il campo rom di Arco di Travertino, i cittadini
scendono in piazza per
garantire i diritti di tutti. Questo e' l' unicomodo per difendere la nostra
liberta' e costruire una
citta' civile e veramente democratica" , ha affermato Roberto del Coordinamento
cittadino per
via dei Gordiani.
Alla fine la polizia e i carabinieri - che dall'alba avevano militarizzato
l'intero quartiere - hanno dovuto arretrare e permettere all'ampio schieramento
solidale con i
rom di rioccupare la piazza, dove e' stata la volta dei rom di brindare
in onore di tutto il
quartiere, in nome della pace e della convivenza.
COORDINAMENTO CITTADINO PER VIA DEI GORDIANI
Contro il neoliberismo
globale: l'appello di Porto Alegre
Posted by DATA on 5/2/2001, 12:12:06
Administration
Appello di Porto Alegre
per le prossime mobilitazioni
Noi, forze sociali provenienti da ogni parte del mondo, ci siamo riuniti
qui, nel Forum sociale
mondiale di Porto Alegre. Siamo sindacati e Ong, movimenti e organizzazioni,
intellettuali e
artisti. Insieme vogliamo costruire una grande alleanza, per creare una
nuova societa', libera
dalla logica attuale, che utilizza il mercato e il denaro come la sola
unita' di misura. Davos
rappresenta la concentrazione della ricchezza, la globalizzazione della
poverta' e la distruzione
del nostro pianeta. Porto Alegre rappresenta la lotta e la speranza di
un nuovo mondo possibile,
in cui gli esseri umani e la natura siano al centro delle nostre preoccupazioni.
Facciamo parte di un movimento che, a partire da Seattle, sta crescendo.
Sfidiamo le oligarchie
e le loro procedure antidemocratiche, rappresentati nel Forum economico
di Davos. Veniamo qui
a condividere le nostre lotte, a scambiare le nostre esperienze, a rafforzare
la nostra solidarieta'
e a manifestare il nostro assoluto rifiuto delle politiche neoliberiste
dell'attuale globalizzazione.
Siamo donne e uomini: contadine e contadini, lavoratrici e lavoratori,
professionisti, studenti,
disoccupate e disoccupati, popoli indigeni e neri, proveniamo dal Sud e
dal Nord, siamo
impegnati a lottare per i diritti dei popoli, la liberta', la sicurezza,
il lavoro e l'educazione. Siamo
contro l'egemonia del capitale, la distruzione delle nostre culture, il
degrado della natura e il
deterioramento della qualita' della vita da parte delle imprese transnazionali
e delle politiche
antidemocratiche. L'esperienza della democrazia partecipativa, come a Porto
Alegre, dimostra
che alternative concrete sono possibili. Riaffermiamo la supremazia dei
diritti umani, ambientali e
sociali sulle esigenze dei capitali e degli investimenti.
Mentre rafforziamo il nostro movimento, resistiamo all'oligarchia globale,
per migliorare l'equita',
la giustizia sociale, la democrazia e la sicurezza per tutti, senza distinzione
alcuna. I nostri
metodi e le nostre proposte costituiscono un forte ostacolo alle politiche
devastatrici del
neoliberismo.
La globalizzazione rafforza un sistema sessista, escludente e patriarcale.
Incrementa la
femminilizzazione della poverta' e esacerba tutte le forme di violenza
contro le donne.
L'eguaglianza tra uomini e donne e' una dimensione centrale della nostra
lotta. Senza questa
eguaglianza, un altro mondo non sara' mai possibile.
La globalizzazione neoliberista scatena il razzismo, come continuazione
del genocidio e dei secoli
di schiavitu' e di colonialismo che hanno distrutto le basi di civilta'
delle popolazioni nere
dell'Africa. Ci appelliamo a tutti i movimenti perche' solidarizzino con
il popolo africano dentro e
fuori del continente, per la difesa dei suoi diritti alla terra, alla cittadinanza,
alla liberta',
all'eguaglianza e alla pace, attraverso il riscatto del debito, storico
e sociale, dei paesi del Nord
nei confronti dell'Africa. Il traffico di schiavi e la schiavitu' sono
crimini contro l'umanita'.
Esprimiamo in modo particolare il nostro riconoscimento e la nostra solidarieta'
solidarieta' con i
popoli indigeni nella loro lotta storica contro il genocidio e l'etnocidio
e in difesa dei loro diritti,
delle loro risorse naturali, della loro cultura, autonomia, terra e territorio.
La globalizzazione neoliberista distrugge l'ambiente, la salute e le condizioni
di vita dei popoli.
L'aria, l'acqua, la terra e anche gli esseri umani sono trasformati in
merci. La vita e la salute
devono essere riconosciuti come diritti fondamentali, e le decisioni economiche
devono essere
subordinate a questo principio.
Il debito pubblico internazionale dei paesi del Sud e' stato pagato piu'
volte. Ingiusto, illegittimo
e fraudolento, esso funziona come strumento di dominio, privando i popoli
dei loro diritti
fondamentali, con l'unico scopo di aumentare i guadagni dell'usura internazionale.
Esigiamo
l'annullamento incondizionato del debito e la riparazione dei debiti storici,
sociali ed ecologici
come passo immediato verso una soluzione definitiva della crisi provocata
dal debito estero.
I mercati finanziari depredano le risorse e la ricchezza dei popoli e assoggettano
le economie
nazionali ai viavai degli speculatori. Reclamiamo la chiusura dei paradisi
fiscali e l'introduzione di
tasse sulle transazioni finanziarie.
Le privatizzazioni trasferiscono i beni pubblici e le risorse alle imprese
transnazionali. Noi ci
opponiamo a ogni forma di privatizzazione delle risorse naturali e dei
beni pubblici. Rivolgiamo un
appello perche' venga protetto l'accesso a questi beni e per garantire
una vita degna per tutti.
Le compagnie multinazionali organizzano la produzione mondiale per mezzo
della disoccupazione
di massa, i bassi salari e il lavoro non qualificato e rifiutano di riconoscere
i diritti fondamentali
dei lavoratori, cosi'come sono definiti dall'Organizzazione internazionale
del lavoro [Oil].
Chiediamo il pieno riconoscimento dei diritti dei sindacati ad organizzarsi
e a negoziare per
conquistare nuovi diritti per i lavoratori. Mentre i beni e i capitali
possono liberamente
attraversare le frontiere, le restrizioni sui movimenti delle persone esacerbano
lo sfruttamento e
la repressione. Esigiamo la fine di tali restrizioni.
Domandiamo un sistema di commercio giusto, che garantisca il pieno impiego,
la sovranita'
alimentare, ragioni di scambio eque e benessere locale. Il "libero commercio"
non e' affatto
libero. Le regole del commercio globale provocano l'accumulazione accelerata
di ricchezza e
potere nelle imprese transnazionali e provocano al contempo maggior marginalita'
e poverta' di
contadine e contadini, lavoratrici e lavoratori e imprese locali. Rivendichiamo
che i governi
rispettino gli obblighi che competono loro e utilizzino gli strumenti internazionali
in difesa dei
diritti umani e degli accordi ambientali multilaterali. Chiamiamo ad appoggiare
le mobilitazioni
contro la creazione dell'Area di libero commercio delle Americhe, una iniziativa
che significa la
riconquista della regione e la distruzione dei diritti fondamentali sociali,
economici, culturali e
ambientali.
Il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e le banche regionali,
l'Organizzazione
mondiale del commercio, la Nato e gli altri accordi militari sono alcune
delle agenzie multilaterali
della globalizzazione transnazionale. Esigiamo la fine delle loro interferenze
nelle poltiche
nazionali. Queste istituzioni non hanno legittimita' di fronte ai popoli
e noi continueremo a
protestare contro le loro misure.
La globalizzazione neoliberista ha provocato la concentrazione della proprieta'
della terra e
promosso una agricoltura transnazionalizzata, distruttiva della societa'
e dell'ambiente. E' basata
su produzioni finalizzate all'esportazione che hanno bisogno di grandi
piantagioni e di
infrastrutture che comportano l'espulsione della gente dalla propria terra
e la distruzione dei
mezzi di sostentamento. Tali risorse dovranno essere restituite. Chiediamo
una riforma agraria
democratica con l'usufrutto da parte dei contadini della terra, dell'acqua
e delle sementi.
Promuoviamo politiche agricole sostenibili. Le sementi e il materiale genetico
sono patrimonio
dell'umanita'. Esigiamo l'abolizione dell'uso di prodotti transgenici e
della concessioni di brevetti
sulla vita.
Il militarismo e la globalizzazione nelle mani delle imprese transnazionali
si rafforzano a vicenda
per minare la democrazia e la pace. Noi rifiutiamo totalmente la guerra
come mezzo di risoluzione
dei conflitti. Siamo contro il riarmo e il commercio di armi. Esigiamo
la fine della repressione e
criminalizzazione della protesta sociale. Condanniamo l'intervento militare
straniero negli affari
interni dei nostri paesi. Esigiamo la fine dell'embargo e delle sanzioni
utilizzate come strumenti di
aggressione ed esprimiamo la nostra solidarieta' con chi ne soffre le conseguenze.
Rifiutiamo
l'intervento militare statunitense, per mezzo del Plan Colombia, in America
latina.
Chiamiamo a rafforzare l'alleanza su questi temi principali e a incrementare
le azioni in comune.
Continueremo a mobilitarci attorno a queste questioni fino al prossimo
Forum sociale mondiale.
Constatiamo che ora abbiamo forza maggiore per intraprendere una lotta
in favore di un mondo
diverso, senza miseria, fame, discriminazione e violenza; in favore della
qualita' della vita,
dell'equita', del rispetto e della pace.
Ci impegniamo ad appoggiare tutte le lotte della nostra agenda collettiva
che mobilitino
l'opposizione al neoliberismo.
Tra le priorita' dei mesi a venire, ci mobiliteremo globalmente contro:
il Forum economico mondiale di Cancun, Messico, del 26 e 27 febbraio; (...)
la riunione dei G8 a
Genova, Italia, tra il 15 e il 22 luglio. (...)
Queste proposte fanno parte delle alternative elaborate dai movimenti sociali
di tutto il mondo.
Si basano sul principio secondo il quale gli esseri umani e la vita non
sono merci; affermano
inoltre l'impegno per il benessere e i diritti umani di tutte e di tutti.
La nostra partecipazione al Forum sociale mondiale ha arricchito la compresione
di ciascuna delle nostre lotte e noi ne usciamo piu' forti. Facciamo appello
a tutti i popoli del mondo affinche' si uniscano a questo sforzo e a lottare
per costruire un futuro migliore. Il Forum sociale mondiale di Porto Alegre
apre una via verso la sovranita' dei popoli e un mondo piu' giusto.
Per altre info: www.carta.org
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Le
notizie archiviate dal notiziario online nel mese di febbraio 2001
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