Da alcuni anni arrivano in Italia (come negli altri
paesi europei) minori stranieri non accompagnati dai genitori, che immigrano
nel nostro paese per trovarvi lavoro e contribuire a sostenere la loro
famiglia, o per sottrarsi a situazioni insostenibili nei paesi di origine.
Talvolta sono completamente soli, in altri casi vengono accolti da fratelli
o zii già regolarmente soggiornanti in Italia. Arrivano senza permesso
di soggiorno, soprattutto a causa della inadeguatezza dei canali regolari
di ingresso per lavoro, per ricongiungimento familiare e per motivi umanitari:
ad es. i minori, anche se in età lavorativa, non possono ottenere
un visto per lavoro, né possono chiedere il ricongiungimento a fratelli
o zii.
Provengono soprattutto dal
Marocco, dall’Albania e dall’Europa dell’Est, da zone di campagna o di
montagna o dalle periferie delle grandi città: aree assai povere,
nelle quali le opportunità di studio e di lavoro sono molto scarse
e l’assistenza dei servizi sociali pressoché inesistente, e nelle
quali vi sono talvolta situazioni di degrado sociale tali da comportare
il rischio della vita.
Cercano un futuro migliore
per sé e per la loro famiglia.
Negli anni passati sono stati
sperimentati con successo progetti di accoglienza e percorsi di integrazione
di questi minori stranieri, in ottemperanza alle Convenzioni internazionali
e alle leggi italiane, che stabiliscono il diritto all’assistenza, alla
salute, all’istruzione per tutti i minori, anche stranieri. Molti di questi
minori, infatti, seguiti da educatori, insegnanti, volontari delle associazioni,
sono andati a scuola e hanno imparato l’italiano; hanno frequentato corsi
di formazione professionale; sono stati, infine, assunti con regolare contratto
di lavoro, riuscendo a mantenere se stessi e la loro famiglia.
I minori che hanno seguito
questi percorsi positivi hanno potuto ottenere il permesso di soggiorno
e, una volta compiuti i 18 anni, hanno potuto rinnovarlo e restare regolarmente
in Italia, continuando a lavorare e a studiare.
Questa intelligente politica
di integrazione ha consentito a questi ragazzini stranieri di non cadere
vittime di sfruttatori e delinquenti, e di inserirsi invece in modo positivo
nel tessuto sociale ed economico italiano. Andando spesso a svolgere, tra
l'altro, mansioni per le quali non vi sono più giovani italiani
disponibili.
Inoltre, questa politica
ha avuto un importante valore di educazione alla legalità: i ragazzini
hanno capito che è meglio uscire dalla clandestinità, dire
il loro vero nome, dare i documenti, rispettare la legge.
Questi percorsi di integrazione,
malgrado gli ottimi risultati raggiunti, sono stati però completamente
bloccati da recenti disposizioni del Ministero dell’Interno, che mirano
esplicitamente ad impedire in ogni modo l’integrazione dei minori stranieri
non accompagnati.
In base a tali disposizioni,
infatti, ai minori stranieri non accompagnati, cui viene rilasciato il
permesso di soggiorno "per minore età", viene impedito di lavorare
con un contratto di lavoro regolare. Inoltre, una volta compiuti i 18 anni,
anche se hanno un’offerta di lavoro o stanno frequentando la scuola o un
corso di formazione, viene loro revocato il permesso di soggiorno: ridiventano
così improvvisamente clandestini, e possono essere in qualsiasi
momento espulsi.
Questi ragazzini, che sono
venuti in Italia soprattutto per lavorare e per aiutare la propria famiglia,
si trovano così costretti, non potendo lavorare regolarmente, a
lavorare in nero, esposti al peggiore sfruttamento; o, peggio ancora, rischiano
fortemente di essere sfruttati da delinquenti italiani e stranieri come
manodopera nell’ambito di attività illegali. In ogni caso, a 18
anni, malgrado tutti gli sforzi fatti per studiare e imparare un mestiere
, sanno che li aspetta l’espulsione.
In queste condizioni i percorsi
di inserimento (scuola, formazione professionale, lavoro) finora sperimentati
con successo diventano inattuabili e perdono completamente di credibilità
agli occhi dei ragazzini: se non possono lavorare, se comunque a 18 anni
verranno espulsi, perché alzarsi al mattino presto per andare al
corso di formazione professionale, e poi correre per fare lo stage in azienda,
e poi ancora a scuola fino a sera inoltrata...? Perché rispettare
le leggi, se queste ti impediscono in ogni modo di lavorare onestamente
e di integrarti nella società italiana?
Dato che si vuole impedirne
l’accoglienza e l’integrazione, che cosa si pensa di fare nei confronti
di questi minori? La soluzione che da molte parti viene prospettata per
affrontare la problematica dei minori stranieri non accompagnati è
quella del rimpatrio nel paese d’origine.
Ora, il rimpatrio si differenza
dall’espulsione perché non è finalizzato a punire chi è
entrato clandestinamente in Italia, bensì deve fondarsi unicamente
sulla valutazione che è meglio, per quel minore, tornare nel suo
paese e presso la sua famiglia d’origine. E’ dunque necessaria una valutazione
caso per caso della situazione di ogni singolo minore, in Italia e nel
paese d’origine. In tale valutazione si dovrebbe anche tenere conto del
consenso del minore al rimpatrio, e della possibilità e disponibilità
della sua famiglia a riaccoglierlo.
Per i bambini più
piccoli l’importanza di vivere con i propri genitori prevale in genere
su ogni altra considerazione. Anche per gli adolescenti, vi sono certamente
molti casi in cui per il ragazzino è davvero meglio tornare nella
propria famiglia, e allora, con il consenso del minore e della sua famiglia,
deve essere disposto il rimpatrio assistito.
Ma vi sono molti altri casi
in cui le condizioni nel paese d’origine sono davvero durissime, e il ragazzino
adolescente rifiuta nettamente il rimpatrio, così come la sua famiglia,
che spesso ha venduto tutti i beni posseduti per pagare il viaggio: è
allora legittimo sostenere che il rimpatrio sia finalizzato
al bene del minore?
Purtroppo, però, c’è
oggi una forte tendenza a distorcere l’istituto del rimpatrio per altre
finalità, diverse dal bene del minore, trasformandolo in un’espulsione
mascherata – espulsione che per i minori è vietata dalla legge.
Se il rimpatrio è attuato coattivamente, contro la volontà
del minore e della sua famiglia; se il ragazzino viene preso con la forza
dalla Polizia all’alba e portato all’aeroporto; se il fine reale del rimpatrio
non è di perseguire l’interesse del minore bensì di "dare
un segnale" per scoraggiare l’immigrazione irregolare dei minori... che
cos’è questa se non un’espulsione mascherata?
La paura di questo tipo
di rimpatrio coatto fa sì che molti ragazzini si allontanino dalla
rete di accoglienza (servizi sociali, scuola, volontariato) e cerchino
di rendersi il più "invisibili" possibile, restando nella clandestinità
e quindi rischiando di finire nelle mani di adulti sfruttatori. L’esperienza,
inoltre, mostra che molti dei minori rimpatriati coattivamente tornano
nuovamente in Italia, clandestinamente, con la differenza che, avendo ormai
perso la fiducia nella rete di accoglienza, tendono appunto a restare "invisibili".
Se si ritiene, con questa
politica, di garantire la sicurezza dei cittadini italiani e l’ordine pubblico,
sia ben chiaro che l’effetto sarà invece esattamente il contrario:
vi sarà un aumento dell’emarginazione, dello sfruttamento, e della
devianza dei minori stranieri presenti nel nostro paese, e quindi anche
un aggravamento del disagio e dell’insicurezza all’interno della società
italiana.
Questo orientamento non è
solo insensato dal punto di vista politico e sociale: essa è anche
totalmente illegittima dal punto di vista giuridico, in quanto viola le
Convenzioni internazionali e le leggi vigenti.
La Convenzione di New York
sui diritti del fanciullo, infatti, ratificata e resa esecutiva dall’Italia
con legge n.176/91, stabilisce che tutte le azioni e le decisioni riguardanti
i minori (non solo italiani, ma anche stranieri) devono tenere in preminente
considerazione il "superiore interesse del minore", cioè devono
fondarsi sulla valutazione di ciò che è meglio per il minore
stesso. Il principio del "superiore interesse del minore" prevale dunque
sulle altre considerazioni, anche su quelle relative al controllo dell’immigrazione
clandestina.
Gli attuali orientamenti
nei confronti dei minori stranieri non accompagnati – impedirne in
ogni modo l’integrazione, condannarli all’emarginazione ed allo sfruttamento,
distorcere il significato positivo del rimpatrio fino a ridurlo ad un’espulsione
mascherata – sono evidentemente pensati non per perseguire ciò
che è meglio per il minore, bensì per cercare di contrastare
l’immigrazione clandestina.
Se lo Stato italiano non
vuole violare la Convenzione di New York – di cui proprio quest’anno l’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite valuterà l’applicazione nei diversi
paesi – deve trattare i minori stranieri prima di tutto come minori, e
fondare quindi le politiche che li riguardano non su finalità di
repressione dell’immigrazione irregolare, ma sul principio del "superiore
interesse del minore".
Per rispettare tale principio,
dunque, i minori non accompagnati andranno ricongiunti alla loro famiglia
mediante il rimpatrio assistito, solo nei casi in cui si valuti che questo
sia effettivamente meglio per il singolo ragazzino, e, in generale, vi
sia il consenso del minore stesso e della sua famiglia. In tutti gli altri
casi, si dovrà favorire l’accoglienza e l’integrazione di questi
minori nel nostro paese: per il bene del minore, ma anche della società
italiana.
Chiediamo dunque che:
· Ai minori attualmente
già inseriti in percorsi che prevedevano il rilascio del permesso
per motivi familiari (come ad es. nel caso delle "tutele civili") si continuino
ad applicare le regole vigenti all'inizio del percorso, e quindi sia loro
rilasciato il permesso di soggiorno per motivi familiari, e sia consentita
la conversione del permesso al compimento dei 18 anni.
· Ai minori affidati
di fatto a parenti entro il quarto grado idonei a provvedervi (per i quali
la legge italiana non richiede l’affidamento formale) sia rilasciato il
permesso per motivi familiari come ai minori affidati con affidamento formale.
· Il permesso di
soggiorno per minore età consenta al minore di lavorare regolarmente
e, al compimento dei 18 anni, possa essere convertito in permesso di soggiorno
per lavoro o per studio, qualora ne sussistano le condizioni.
· Sia rispettato
senza ambiguità il principio in base al quale il rimpatrio deve
essere disposto unicamente nell’interesse del minore, e non come strumento
di controllo dell’immigrazione clandestina.
· Siano chiariti
i criteri e le procedure con cui deve essere deciso se il minore debba
restare in Italia o debba essere rimpatriato, e in particolare:
- si stabilisca chiaramente
che nella valutazione dell’interesse del minore si deve tenere conto della
volontà del minore e della sua famiglia;
- si definiscano tempi rapidi
per la procedura, in modo che il minore non resti per mesi e mesi "sospeso"
senza sapere quale sarà il suo destino.
· Siano resi più
ampi e più efficienti i canali di ingresso regolare in Italia, sia
per lavoro (prevedendo, per i minori in età lavorativa, la possibilità
di ingresso per lavoro), sia per ricongiungimento familiare (ad es. prevedendo
la possibilità di ricongiungersi a parenti entro il terzo grado,
come fratelli e zii), sia per motivi umanitari, in modo da ridurre progressivamente
gli ingressi clandestini di minori, favorendo invece gli ingressi regolari.
· Si sostengano progetti
di cooperazione allo sviluppo nella aree da cui provengono i minori stranieri
presenti in Italia, in modo da migliorare significativamente le condizioni
di vita dei minori e delle loro famiglie.
|
o |
Pubblichiamo
un 'appello promosso da Rete d’urgenza contro il razzismo, ASGI (Associazione
per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione), Caritas Servizio Migranti di
Torino, CTP Parini.
Chi
voglia aderire all’appello (sia come associazioni o altri soggetti collettivi,
sia in quanto singoli) è pregata/o di inviare l’adesione - indicando
la città e, per i singoli, eventuali "appartenenze" - all’indirizzo:
elena.rozzi@libero.it
L’adesione,
se possibile, va data entro il 9 febbraio, data in cui si terrà
a Torino (v. Matteo Pescatore 7, ore 14,30) una conferenza stampa su tale
questione, insieme a soggetti di altre città italiane: durante la
conferenza stampa sarà infatti presentato l’appello, e naturalmente
più firme ci sono, più impatto potrà avere.
L’appello
verrà poi consegnato alla ministra per gli Affari sociali, ai rappresentanti
del ministero dell’Interno e del ministero degli Affari esteri, e al presidente
del Comitato per i minori stranieri in occasione del convegno nazionale
"Minori stranieri non accompagnati" che si terrà a Torino
il
10 marzo.
Il
dossier immigrazione
(5
febbraio 2001)
Le
news
e
i commenti
nel
notiziario
di
Nonluoghi
|