ipercorsi
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Un corpo civile di pace per
prevenire i conflitti o ricostruire la pace dopo
Il progetto del Movimento nonviolento
sulle ceneri del Kosovo
L'Europa
sta discutendo di “difesa comune”, pensando ad un esercito europeo; i nonviolenti
preferiscono invece parlare di ‘sicurezza comune” perché la prevenzione
Considerando l’insieme delle tragiche esperienze che vanno dalla guerra del Golfo all’intervento in Bosnia, dalla guerra del Kosovo ai conflitti a Timor-Est e in Cecenia, si può chiaramente notare come l’opinione pubblica sia stata condizionata dai “media” ad occuparsi di queste aree solo quando il conflitto raggiunge la fase acuta di emergenza. Abbiamo sempre
denunciato l’ambiguità della logica per cui l’opzione militare costituirebbe
una forma di danno minore rispetto alla violazione di diritti umani, da
cui l’aberrante definizione di “guerra umanitaria”.
L’opzione nonviolenta
è l’unica che possa servire a prevenire conflitti di questo tipo:
l’esperienza del Kosovo, dove la resistenza nonviolenta è durata
circa dieci anni, dimostra l’enorme ricchezza di tale possibilità,
ma anche la totale assenza di iniziativa sul piano internazionale (Onu,
Ue, ecc.) e di interesse dei media per sostenere questa opzione che poteva
evitare il conflitto, se aiutata e indirizzata verso uno sbocco politico
con l’aiuto della diplomazia internazionale.
E’ importante affrontare il problema della “polizia internazionale”, in un’ottica analoga a quella che regolala la polizia di uno Stato. In uno stato democratico, il ruolo di polizia non può essere affidato all’esercito e spesso può essere un ruolo non armato; analogamente la funzione di polizia internazionale non può essere affidata alla Nato e deve esercitarsi prevalentemente con strumenti civili, come i Corpi Civili di Pace, anzitutto per prevenire i conflitti, nell’ambito di organismi internazionali come l’Onu o I’Osce. Qualora la prevenzione non abbia avuto esito positivo è necessario passare ad un’interposizione tra le parti che deve essere, in prima opzione, civile e solo in casi estremi richiedere l’uso delle forze armate, che non devono “fare una guerra”, ma separare le parti in conflitto, aiutate dai Corpi Civili per ristabilire dialogo e convivenza. L’affermarsi
di un’azione nonviolenta richiede anche una seria offensiva culturale da
parte del movimento nonviolento verso l’opinione pubblica, i media e le
istituzioni. A partire dalla constatazione che solo soluzioni nonviolente
possono prevenire i conflitti e ripristinare la pace, ha senso dialogo,
alla pari, del movimento nonviolento con le forze armate, per affrontare
questioni come l’interposizione e il peace keeping.
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o | Mao
Valpiana è il direttore della rivista Azione
Nonviolenta
che ha sede a Verona (045-8009803) |
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