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"Glocalizzazione": qualche
idea per un'alternativa dal basso
Unire i frammenti della rete dello sviluppo
sostenibile e partecipato
Credo che la
guerra ci stia imponendo una radicalizzazione del nostro pensiero e del
nostro agire. Il nostro compito di intellettuali militanti è innanzitutto
approfondire il solco che ci sepa-ra dalla speranza del compromesso: approfondire
la polemica con il mondo delle idee che ritiene possibile una dialettica
positiva con questa forma di globalizzazione distruttiva, con la quale
ci esercitiamo a trovare equilibri, relazioni possibili fra globale e locale;
eserci-zi e acrobazie semantiche in cui cerchiamo la quadra-tura del cerchio
fra nicchie di costruzione di un diver-so universo antropologico e i processi
che ci sovrastano, la cui natura si rivela nuda, feroce, nella guerra;
ritengo necessario aprire a tutto campo una nostra «guerra»
molecolare contro la globalizzazione economica, più chiara e determinata,
in tutti gli aspetti minuti della poli-tica, dell’economia, della quotidianità,
delle relazioni sociali.
Una lotta di liberazione dalla globalizzazione economica Molte sono state
le ragioni etiche, in questo orribile secolo, delle guerre di resistenza.
Bisogna lavorare, ciascuno come può, per trasformare il senso comune
di resistenza alla guerra in lotta di liberazione dalla globalizzazione
economica, che è la forza generatrice della guerra stessa. Come?
Fare società locale. Come? Cerco allora telegraficamente di indicare alcune rotte possibili del «fare società locale», nel contesto drammatico della globalizzazione economico- militare. 1] Se la globalizzazione produce per reazione rinserramenti etnico-identitari facili prede di nazionalismi autoritari non dobbiamo esorcizzare la tensione identitaria insieme con le sue forme violente e criminali, d igestione politica come sovente ha fatto la sinistra, in nome della modernizzazione universalistica occidentale. La contraddizione fra capitale e lavoro si è andata desituando nel postfordismo nella contraddizione fra omologazione, distruzione delle culture, «monoculture della mente», polarizzazione sociale e riaffermazione delle differenze, delle diversità; fra eterodirezione e autogoverno. Reti di scambio solidali e non gerarchiche fra società locali La rivolta identitaria, a scala regionale come nella città multietnica, può evolversi come energia costruttiva per l’affermazione di «stili di sviluppo» fondati sul riconoscimento delle peculiarità socioculturali, sulla cura e la valorizzazione delle risorse locali (ambientali, territoriali, produttive] e su reti di scambio solidali e non gerarchiche fra società locali. Ma questa evoluzione positiva delle enormi «energie da contraddizione» che la globalizzazione produce, richiede una radicale trasformazione della cultura politica centralista verso forme di federalismo neomunicipalista in cui la messa in valore del territorio e delle sue peculiarità come produt-tore di ricchezza avvenga all’insegna della valorizzazione e della cooperazione fra diversità e non dello sfruttamento - esogeno o endogeno - delle risorse umane e materiali. «Accompagnare» la rivolta identitaria verso il «fare società locale», e non negarla a priori ricadendo in un astratto universalismo dei valori, mi sembra il primo salto culturalpolitico da compiere. Valorizzare le energie virtuose presenti nel territorio 2] In questo contesto è essenziale non guardare con nostalgia agli statuti societari del lavoro salariato e del fordismo. La costruzione di società locali auto-governate e autosostenibli è possibile solo «liberando» le energie del lavoro molecolare diffuso della società postfordista, oggi terminale della grande impresa e del capitale finanziario, verso reti complesse di abitanti-produttori, proprietari dei mezzi di produzione, che fanno società produttiva in proprio, in un patto per la valorizzazione del proprio patrimonio territoriale. La società locale non si inventa. Essa cresce valorizzando le energie virtuose già presenti nel territorio. Lavorare dunque ai nuovi statuti societari di autogoverno del «lavoro autonomo di seconda generazione», in cui il terzo settore può costituire la guida culturale ed etica per l’uscita dell’impresa dalla sua identità economicistica, mi sem-bra un secondo aspetto fondamentale del fare società locale. Inventare nuovi aggregati comunitari 3] Superare le forme della politica connesse allo statuto del lavoro salariato consiste, come sostiene Marco Revelli nel numero di maggio 1999 di «Carta», nel “non operare in un gruppo omogeneo, ma connettere, contaminare, chiamare a raccolta gli eterogenei, tradurre i linguaggi sociali e metterli in comunicazione in un reticolo orizzontale”. Questa forma della politica è agli albori. Essa riguarda l’invenzione di nuovi aggregati comunitari, di nuove forme di democrazia fondate sull’agire comunicativo, dove un multiverso di interessi, di valori, di differenze trova, fra conflitti e riconoscimenti dell’alterità, le forme di un patto concertato, in continua evoluzione. Il fare società globale è qui un’incessante crescita della tela di ragno di reti civiche fra i soggetti insorgenti più disparati: donne, bambini, anziani, gruppi etnici, associazioni, centri sociali, gruppi di volontariato che ritessono spazio pubblico nella città; nuovi agricoltori che producono beni pubblici (qualità ambientale, paesaggio, economie locali); ecobanche e commerci solidali. Tutto ciò oggi è un’esplosione di frammenti puntiformi nel territorio ostile della globalizzazione. Connettere i frammenti di energie innovative facendoli precipitare sinergicamente in uno stesso territorio, cominciando a trasformarlo visibilmente come atto cooperativo della rete del multiverso di attori, costruendo scenari condivisi di futuro, mi sembra un altro aspetto importante del fare società locale. Reti democratiche per superare le regole della competizione selvaggia 4] In questo processo si situa il radicale cambiamento di ruolo dei governi locali e dei municipi. Fare società locale significa anche consolidare istituti intermedi di democrazia, nell’incontro «a mezza strada» fra politiche «topdown» e reti sociali «bottom up». Il problema è cruciale. Assistiamo ad una forte promozione [Ue, Regioni, comuni] di processi di partecipazione, di progetti di sviluppo locale in cui la costruzione di istituti di concertazione fra attori locali è il prerequisito dei finanziamenti. Dunque le condizioni di un incontro fra «cantieri» di società locali in costruzione e istituzioni sono date. Ma l’incontro deve essere bilaterale, in grado di produrre nuovi eventi, nuove strutture e reti. L’attivazione di politiche top down non significa necessariamente far crescere società locale, se i progetti sono preconfezionati, se gli attori che siedono al tavolo pattizio sono pochi e forti, se le regole dello sviluppo sono quelle dettate dalla globalizzazione economica e dalla competizione sul mercato. Dunque è necessario che, a questi strumenti accedano reti di attori autoorganizzati, che il tavolo sia vasto e rappresenti anche gli interessi dei più deboli, che i soggetti locali siano portatori di progetti di valorizzazione durevole del patrimonio territoriale e ambientale, volti alla soddisfazione dei bisogni e delle aspirazioni e non alle leggi esogene del mercato. In questo incontro il nuovo municipio può assumere funzioni determinanti nel fare società locale, se agevola il processo di qualificazione e allargamento dei nuovi istituti di concertazione e delle reti di comunicazione democratica; se denota e favorisce gli attori portatori di iniziative di valorizzazione del patrimonio e sostenibli, seleziona e incentiva attività produttive virtuose; se fa emergere lo stile di sviluppo del proprio territorio da un ampio percorso «costituzionale» e statutario della società locale. Reti orizzontali nel sistema locale/globale 5] Il rapporto
locale-globale si precisa in questa ipotesi come «globalizzazione
dal basso». Nell’ipotesi «glocalista» lo sviluppo locale
si forma nella misura in cui una comunità locale si contamina con
il globale, riportando nel locale i processi che sono sostenibii in un
viaggio fra «reti lunghe e corte»; c’è sviluppo locale
dove la società locale sa costruire reti «orizzontali»
nel sistema globale. Ma qui sta il problema della quadratura del cerchio,
poiché l’intervento del globale nel locale tende a risucchiare energie
e risorse e a restituire dominio. Il problema in discussione dunque è
la modalità in cui si coniugano queste reti lunghe con la profondità
del territorio senza che il locale ne esca con le ossa rotte. L’alternativa
è: convivere con il globale, attraversando le sue reti lunghe, o
resistenza attiva al globale e costruzione di reti solidali [globalizzazione
dal basso]?
Costruire le nuove relazioni, la debolezza del locale Dunque il "locale" è
attualmente debole, deve rafforzarsi per andare ad una relazione non perdente
con il globale costruendo:
Il problema comunque consiste, pur nelle diverse gradazioni delle relazioni possibili fra locale e globale, e in presenza di un globale sovradeterminato, traboccante, che "tratta" separatamente con ogni singolo «locale» trascinato nella competizione globale, nell’agire contemporaneamente nel rafforzare la coesione interna del sistema, la costruzione di legame sociale [in grado di autoalimentarsi] e la sua capacità di esprimere peculiarità dello stile di sviluppo autosostenibile [capacità di autoriproduzione del territorio fisico e antropico]; ciò richiede uno sviluppo di una cultura del luogo; di un diverso principio di razionalità, poiché è solo nel locale, nelle «reti corte», che si produce la socialità [risorsa scarsa] che dà valore aggiunto, giochi a somma positiva; costruire reti fra locale e locale (medie e lunghe) che modifichino il sistema fortemente gerarchico delle città globali nel sistema mondiale verso una complessificazione e moltiplicazione dei subsistemi regionali. Dunque, favorire tutti i sistemi di relazioni (fra città fra regioni, fra sistemi economici locali) che infittiscano i reticoli non gerarchici di scambio solidale, di sussidiarietà, di complementarità e di rafforzamento reciproco all’interno di macroregioni rispetto alle reti economiche globali (regione alpina, regione mediterranea, Unione europea, eccetera). In sostanza,
l’ipotesi della «globalizzazione dal basso» riconosce la disparità
della relazione fra locale e globale e non risolve il problema con cortocircuiti
fallimentari per lo sviluppo delle società locali: propone di lavorare
prioritariamente e strategicamente alla crescita delle reti locali e della
loro "densità sociale" come condizione imprescindibile per poter
affrontare relazioni e sollecitazioni dalle reti lunghe del globale.
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o | Pubblichiamo
con molta convinzione questo bell'intervento di Alberto Magnaghi nel quale
troviamo, tra l'altro, le ragioni del nostro impegno comunicativo per mettere
in collegamento i "frammenti della glocalizzazione" dal basso di cui parla
l'autore .
Alberto Magnaghi è docente di pianificazione territoriale all'università di Firenze. Tra le sue pubblicazioni recenti, il volume "Il territorio degli abitanti. Società locali e autosostenibilità" (Dunodi) |
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