le campagne

"Cancella il debito": una campagna di giustizia globale
Le stranezze nelle carte del credito estero italiano: chi paga e chi no fra i più poveri...
 

di FRANCESCO TERRERI
   La Guinea Conakry - 550 dollari di reddito pro capite - ha pagato nel 1998 2 miliardi 815 milioni di lire di interessi su un debito di 17 miliardi con
l'Italia, e precisamente con la Sace, l'agenzia pubblica che assicura i crediti all'esportazione e li prende in carico quando vanno insoluti. La Guinea
ha anche versato mezzo miliardo di rata di ammortamento in conto capitale. L'anno prima, nel '97, gli interessi pagati erano stati 3 miliardi 279
milioni. I guineani, che vivono con meno di 2 dollari al giorno, stanno pagando alla Sace il 16-18% di interessi l'anno. Appena un po' meglio va al
Ciad - 230 dollari pro capite, meno di un dollaro al giorno di reddito per abitante - che versa ogni anno nelle casse dell'agenzia italiana circa 400
milioni di lire su un debito di 3 miliardi: il 13%. Il Madagascar invece nel '98 ha sborsato quasi 8 miliardi su un debito di 141 miliardi: appena il 5,6%.
Siamo a tassi europei, per una popolazione che vive con un reddito ottanta volte inferiore a quello italiano.

    Queste ed altre sorprendenti scoperte sono contenute in una tabellina dal titolo innocuo - "Recuperi effettuati" - infilata tra molte altre nella
"Relazione semestrale" che il ministro del Tesoro trasmette al parlamento sull'attività svolta dal Mediocredito centrale e dalla Sace nel settore
dell'assicurazione e del finanziamento delle esportazioni (Legge Ossola del '77). Sono gli unici dati disponibili sul "servizio del debito", cioè sugli
interessi e gli ammortamenti che i paesi poveri stanno pagando all'Italia sulla loro esposizione debitoria.

  Delle tre componenti dei crediti italiani, una, quella dei crediti d'aiuto, comporta per definizione un servizio del debito molto basso; di un'altra, i crediti commerciali privati e bancari, si sa poco o nulla; di questa, gli "indennizzi da recuperare" della Sace, cioè i crediti privati divenuti pubblici,
conosciamo appunto i "recuperi", che in genere avvengono a seguito le scadenze di pagamento ristrutturate.
 

   Sono cifre che gettano una luce particolare sulle intenzioni del governo D'Alema in materia di cancellazione del debito. Il disegno di legge di Natale
prevede come è noto la cancellazione di 3 mila miliardi di debiti, prevalentemente verso la Sace, "in gran parte inesigibili, in quanto... potenzialmente recuperabili su periodi molto lunghi e a tassi di interesse prossimi allo zero, insufficienti pertanto ad assolvere la funzione conservativa della consistenza del credito stesso", come si legge nella relazione illustrativa. Nell'ultima, in ordine di tempo, delle liste di "beneficiati" - resa nota dal "Sole-24 Ore" qualche settimana fa - si citano 18 paesi con reddito pro capite inferiore ai 300 dollari annui. Due di essi, Niger e Ruanda, non sono neanche indebitati con l'Italia. Dieci paesi - Burkina Faso, Burundi, Congo ex Zaire, Malawi, Mali, Sao Tomè, Sierra Leone, Somalia, Sudan e
Yemen - pagano pochissimo o nulla: i loro debiti sono, appunto, praticamente inesigibili. Solo sei paesi tra quelli individuati - Ciad, Etiopia, Guinea Bissau, Madagascar, Mozambico e Tanzania - stanno pagando qualcosa: per loro la cancellazione avrà un effetto reale.

   Ma ci sono altri paesi poveri, con reddito inferiore o appena superiore a 300 dollari, che stanno pagando e per i quali non si prevedono operazioni di
cancellazione: la già citata Guinea, ad esempio, ma anche lo Zambia, l'altro paese di cui la Campagna lanciata dalla Conferenza Episcopale Italiana
vuole "acquistare" il debito (altri soldi nel pozzo della Sace?). Lo Zambia nel '98 ha pagato quasi un miliardo di lire di interessi e rate di
ammortamento per oltre 7 miliardi e mezzo, su un'esposizione verso la Sace di 49 miliardi.

   Il Ghana invece era in arretrato: a seguito dell'accordo di
ristrutturazione con l'Italia dell'ottobre 1997, che prevede il riscadenzamento degli "arretrati, compresi interessi di ritardo", nel '98 sborsa qualcosa
come 37 miliardi 673 milioni di interessi e 24 miliardi di rate in conto capitale, portando il suo debito da 75 a 51 miliardi di lire. Il Senegal invece ha pagato nel '97 alla Sace oltre 2 miliardi 200 milioni di interessi, un tasso del 13% annuo, e mezzo miliardo di restituzione di capitale, così nel '98 ha
potuto limitarsi a un servizio del debito di soli 400 milioni.

Se poi il reddito pro capite raggiunge gli stratosferici livelli del Marocco, 1.260 dollari, allora non si discute: tassi di interesse all'8%, oltre 8 miliardi
su 100 di debito nel '98. Filippine, 1.200 dollari pro capite: la Sace incassa ogni anno, anche nei durissimi '97 e '98, mentre la crisi asiatica mordeva
più duramente, dal 9 al 13% di interessi -4,4 miliardi su una cinquantina di esposizione debitoria nel 1998. E dal Perù, dove siamo a oltre 2.000 dollari
pro capite, e il debito con l'Italia risale ai fasti del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, arrivano nelle casse pubbliche del nostro paese oltre 70
miliardi di lire ogni anno, su 635 miliardi di "indennizzi da recuperare".

   La campagna Sdebitarsi-Jubilee 2000 sta sollevando questi casi, sottolineando che dai 52 paesi poveri di cui si chiede, a livello internazionale, la cancellazione del debito, arrivano ogni anno in Italia dai 150 ai 200 miliardi di lire di servizio del debito.

   E non si tratta solo di fermare l'emorragia, ma anche di procurare nuove risorse per dare una qualche prospettiva di ripresa. Il Benin, piccolo paese
sulla costa del Golfo di Guinea, paga sul debito verso la Sace il suo bravo mezzo miliardo annuo. Ma proprio dal Benin, dove sta avviando il
sostegno a esperienze locali di microcredito, il Consorzio di "microfinanza etica" Etimos, che partecipa a Sdebitarsi, lancia la proposta: passiamo dal
debito dei governi al credito ai popoli. "Cancellare il debito del Benin verso l'Italia - 20 miliardi di lire circa - non basta" afferma Giampietro Pizzo,
direttore di Etimos. "Occorre trasformare i flussi che oggi vanno dai paesi poveri a quelli ricchi in nuovi fondi per il microcredito nei paesi del Sud".

   Con alcune avvertenze: "Una questione cruciale è quella del gestore: chi controlla questi fondi? Il problema è coinvolgere gli attori locali veramente
rappresentativi, soggetti economici che oggi non emergono né decidono: le associazioni, le cooperative, le federazioni dei produttori, i
microimprenditori organizzati". E poi c'è da scegliere i progetti, le priorità.

   "Ma se la logica è dire: facciamo l'ospedale, facciamo la scuola, facciamo la strada, il problema delle priorità non si risolve e possono svilupparsi
anche conflitti aspri. Il pregio del credito invece" sottolinea Pizzo "è che lascia al singolo prenditore di finanziamento decidere cosa fare di questi
soldi, e allora le cose saranno piccolissime ma grandissime: avere la possibilità di comprare le sementi per la prossima campagna, potersi comprare un aratro in ferro invece che in legno, avere una spolpatrice per il caffè, avere la possibilità di portare al mercato i propri prodotti. Queste diventano le priorità, ma le decide la gente, non le decidiamo né noi né le élite locali. Questo è il grande pregio di ragionare in una logica di microcredito".


o  Sul tema del debito
estero dei paesi poveri pubblichiamo un intervento di Francesco Terreri di Altrafinanza/Etimos

Il credito delle banche italiane: analisi 
di Mameli Biasin v@i

APPELLO GIUBILARE PER LA 
CANCELLAZIONE
DEL DEBITO INTERNAZIONALE

  All'alba del terzo millennio i popoli di tutto il mondo sentono l'appello del Giubileo per l'inizio di una nuova era. Siamo consapevoli del fatto che il sistema politico ed economico globale ha impoverito due terzi dell'umanità. In passato abbiamo già cambiato il mondo, è giunto il momento di cambiarlo ancora. Pieni di speranza, perseveriamo nell'obiettivo di superare l'ingiustizia internazionale e di stabilire relazioni eque tra quanti vivono sul pianeta. Passo necessario in questa direzione è che la crisi del debito venga risolta secondo criteri di giustizia. Ribadiamo che le attuali iniziative per l'alleggerimento
del debito non sono né giuste né adeguate né efficaci per affrontare i problemi che sono alla
 base della crisi del debito e dello sviluppo. 
Siamo riuniti oggi a Roma in rappresentanza di 38 campagne nazionali e 12 organismi internazionali che si riconoscono nel movimento "Jubilee 2000". Proveniamo da tutti i continenti e da contesti ed esperienze diversi. Uniamo i nostri sforzi in un movimento comune per la cancellazione del debito: "Jubilee 2000". La nostra diversità è la nostra  stessa forza.                  Siamo uniti nel chiedere per l'anno 2000 una cancellazione del debito che comprenda: Il debito che non può essere ripagato, e cioè il debito i cui interessi non possono
 essere pagati senza imporre un peso sopportabile sulla parti più povere delle popolazioni. 
 Il debito che, in termini reali, è già stato ripagato. 
  Il debito contratto a seguito di politiche e progetti concepiti in modo errato.  Il debito odioso e quello contratto da regimi repressivi. I governi creditori, le istituzioni finanziarie internazionali e le banche commerciali, che sono i principali responsabili della crisi del debito, non dovranno dettare le condizioni per
 la sua cancellazione. La società civile dei paesi del Sud dovrà avere un ruolo significativo e influente attraverso un processo partecipativo e trasparente di definizione e successivo
 monitoraggio dell'uso delle risorse liberate dal debito a beneficio dei più poveri. 

 Prestiti, crediti e negoziazione del debito devono riflettere una relazione equa tra debitori e  creditori. Per la cancellazione del debito dovrebbe esistere un arbitrato trasparente e
 indipendente.                   Questo appello richiede un'azione urgente. Delle vite sono state distrutte e molti danni sono stati fatti. Alla vigilia del nuovo millennio, è giunto il tempo di un nuovo inizio. 

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