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Diplomazia
popolare internazionale nella Repubblica del Congo
La missione pacifista “Anch’io a Bukavu”
ha coinvolto centinaia di migliaia di persone
Il signore della guerra Jean Pierre Bemba
chiede perdono e annuncia il ritiro delle truppe
di MARCO PONTONI Erano circa trecento i pacifisti europei, in maggioranza italiani, ma anche da Spagna, Germania, Svezia, Belgio, Francia, Stati Uniti, che hanno dato vita alla fine di febbraio, nella città di Butembo, regione del Nord Kivu, Repubblica democratica del Congo, ad un grande incontro popolare che è stato anche un simposio sulla pace e i diritti umani in Africa (in sigla SIPA), organizzato da un cartello di organizzazioni della società civile locale – molto vivace e determinata a dispetto del clima di violenze e intimidazioni che regna nella zona – nonché delle chiese cattolica e protestante. L’evento è stato sostenuto in Italia dalle associazioni “Beati i costruttori di pace”, Operazione colomba” e “Chiama l’Africa”, non nuove a questo genere di attività avendo ad esempio organizzato nel dicembre del 1992 la famosa marcia per la pace a Sarajevo (ed essendo oggi impegnate in diversi scenari di conflitto tra cui il Chiapas e la Cecenia). Il SIPA ha avuto un epilogo
che può essere considerato a buon diritto storico. Proprio al termine
della grande preghiera ecumenica, con la quale si sarebbero dovuti chiudere
i lavori, sul palco issato di fronte alla cattedrale della città
è salito Jean Pierre Bemba, presidente del Fronte di liberazione
del Congo, in pratica l’uomo-forte dell’Uganda nella regione.
Stupore anche fra le fila
dei bianchi, i wazungu, arrivati qualche giorno prima nella Repubblica
democratica del Congo a proprio rischio e pericolo, per portare non denaro
o aiuti materiali, ma la speranza di riuscire ad imporre, con la novità
della loro presenza, una tregua alle parti in guerra.
La gente comune protagonista Solo all’arrivo della spedizione
alla frontiera di Kasindi, che separa l’Uganda dal Congo, dopo un giorno
di viaggio dalla capitale ugandese Kampala, la tensione accumulata dai
pacifisti elle settimane precedenti – e amplificata da due training di
preparazione organizzati dai “Beati” a Bologna – ha cominciato finalmente
a sciogliersi. I militari lasciano passare i trecento senza troppi problemi,
mentre la popolazione dei villaggetti poverissimi a cavallo della terra
di nessuno, soprattutto donne e bambini, sembra molto divertita dalla comparsa
di quei bizzarri pellegrini schiacciati dal peso degli zaini, simili a
boy scout che hanno sbagliato sentiero.
A Beni la prima sorpresa; la città ci accoglie con canti, danze, e frutta tropicale. Ma è solo alle porte di Butembo, raggiunta nel tardo pomeriggio, dopo avere toccato Maboya, reso una sorta di villaggio fantasma dai militari di Bemba calati lo scorso gennaio, che si chiarisce finalmente quali aspettative abbia generato la missione tra questa popolazione che si stente abbandonata da Dio e dal mondo. Sono almeno duecentomila le persone venute ad accogliere i pacifisti, assieme ad una incredibile banda di ottoni, e a vari gruppi di danze tradizionali. Mentre la luce si fa incerta, sfiliamo tra due muri compatti di folla, come devono aver fatto gli americani quando sbarcarono in Italia. Uno ad uno, veniamo scortati dalle decine di bambini che si attaccano alle nostre mani fino all’istituto Malkia Wa Mbingu, che ci ospiterà per i prossimi tre giorni. Tutti ci chiediamo se sapremo essere all’altezza della situazione, privi come siamo di vero potere, e di mandati ufficiali. Solo alla fine ci sarà chiaro, anche grazie alle parole dell’ambasciatore italiano in Uganda Luigi Napolitano, che la nostra forza è stata proprio questa: essere una gran massa di uomini e donne comuni, studenti, pensionati, lavoratori, obiettori di coscienza, sacerdoti, giornalisti. Senza ricette in tasca, senza promesse con cui blandire i potenti di turno. Questa l’autentica sorpresa, per l’Africa. Questo il vero scandalo, in un paese più abituato a vedere i bianchi in veste di predatori delle sue incredibili ricchezze (diamanti, uranio, cobalto, minerali per l’industria aerospaziale ecc.), e di finanziatori delle sue diverse fazioni armate, o al massimo di tecnici e di cooperanti. Sarà vera tregua? “Simposio” è una parola
che non rende esattamente l’idea della tre giorni di Butembo. Il Sipa tutto
è stato fuorché un evento accademico; la gente di questa
parte del Congo aspettava da anni di dirsi in faccia chiaramente quello
che pensa del futuro del suo paese, del processo di balcanizzazione in
corso, e delle clamorose violazioni dei diritti umani perpetrate da tutte
le forze in campo. Per cui le parole pronunciate sono state di una durezza
a cui gli osservatori occidentali non sono abituati. E proprio per questo
l’evento è stato così significativo.
In realtà, nemmeno
Bemba ha ovviamente ricevuto alcuna legittimazione democratica; la stessa
parola democrazia, in questo paese governato per 32 anni dalla dittatura
di Mobutu Sese Seko, è praticamente sconosciuta (anche se la società
civile oggi la reclama a gran voce).
In ogni modo, i pacifisti
di ritorno dal Congo rientrano alle loro case con due piccolissime certezze.
La prima è di essere stati, non spettatori, ma artefici di un evento
epocale per la regione dei Laghi, in un continente che l’opinione pubblica
occidentale troppo spesso dimentica o nasconde, a fronte del saccheggio
delle sue risorse messo in atto con ogni mezzo.
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o | Sull'azione
internazionale
di pace e di diplomazia popolare in Congo pubblichiamo un articolo del giornalista Marco Pontoni, componente del gruppo di Nonluoghi, che faceva parte della comitiva pacifista. Una scheda di approfondimento Informazioni
A proposito dei rapporti della famiglia Bush con il Congo (12 marzo 2001) Le
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