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Chiapas, i villaggi della
povertà e del terrore militare
Lettera di un volontario italiano: così
governo e multinazionali soffocano una comunità
a comprendere le vere, inconfutabili ragioni della povertà. Certo, ogni stile di vita e' legato a delle problematiche: i cittadini del cosiddetto primo mondo si preoccupano di avere un guardaroba ben fornito di capi che piu' o meno rispettano la tendenza attuale, si preoccupano di avere una bella casa, una bella automobile, un telefonino per ogni membro della famiglia. La cosa triste e' che purtroppo questo stilie di vita non e' riservato a tutti gli uomini che calpestano questa terra. (Chiapas, 1999, foto di Claudia Dorkenwald)
Qui in Chiapas
il tenore di vita della gente non e' molto diverso da quello dei loro antenati
di cinquanta, cento, cinquecento anni addietro. Un Paese stupendo questo
dove non esistono le stagioni cosi' come noi le intendiamo ed il tempo
scorre alternando mesi di sole a mesi di pioggia continua. Madre natura
ha deciso di compiere un capolavoro stupendo che per paradosso e' ora parte
della rovina delle popolazioni autoctone indigene che rappresentano un
terzo dei tre milioni di abitanti dello stato.
La speranza di vita media alla nascita si aggira attorno ai quarantacinque per le donne e di poco aumenta per quanto riguarda gli uomini. La mortalita' infantile e' elevatissima ed e' causata da malattie che da noi non preoccupano più da tempo. Tosse, tubercolosi e parassiti qui sembrano un flagello biblico. Si mangia tutti i giorni riso e tortillas, un impasto di acqua calce e mais. Per lavorare la milpa gli uomini si devono svegliare alle cinque della mattina e percorrere a piedi sotto l'acqua, il sole o la pioggia fino a tre ore di cammino. Un chilo di caffè pagato meno di una tazzina al bar in città Il raccolto
non e' sempre garantito e le colture sono totalmente assoggettate ai capricci
del tempo. Non migliore e' la sorte riservata a chi lavora il caffe' dato
che le grandi imprese che speculano nel settore non pagano il prodotto
piu' di otto pesos al chilo quando in citta' una sola tazza la si paga
dieci.
No; la poverta' ed il pauperismo cosi' densi che quasi li si puo' toccare con le mani sono privilegi riservati agli indigeni invisibili, nascosti, discendenti da quelle civilta', considerate estinte, che per un altro inaccettabile paradosso sono ora una fonte ingente di introiti per un governo meschino che se da un lato si alimenta col loro mito, dall'altra li stermina facendoli affogare nella poverta'. Per il governo gli indigeni non sono altro che suppellettili folkloristiche da esibire lungo le rotte turistiche che vendono il mito Maya. Tuttavia e'
lontano da queste che la realta' sconcertante ti abbaglia e ti accieca
come la luce di un esplosione atomica. E' per rifiutare questo stato delle
cose che nel '94 un gruppo armato di contadini ha invaso quattro municipi
dichiarandoli autonomi. Il pretesto e' stato quello dell'entrata in vigore
di un accordo di libero commercio siglato tra USA, Canada e Messico che
ha spianato la strada di questo Paese agli interessi delle multinazionali
straniere.
Le terre rubate Ma cosa puo' importare se l'economia di sussistenza degli indigeni e' vincolata al possesso della terra quando chi si propone di fondare un latifondo la farà fruttare tre, cinque, dieci volte piu' di quanto possa fare un campesino con la zappa il machete ed il sudore? Gli stranieri hanno il denaro che permette di comperare gli appezzamenti in cambio di titoli di proprieta' nuovi di zecca redatti infischiandosi del fatto che c'e' chi quella terra la lavora da decine e centinaia di anni. Gli indigeni non hanno documenti, la maggior parte di loro non possiede neppure un carta d'identita'. Per questo non possono votare, espatriare, possedere. Fare registrare un figlio all'anagrafe costa trecento pesos, circa sessantamila lire. Lo stipendio medio di un campesino si aggira sui seicento pesos mensili e cio' significa che per ottenere un semplice documento questa gente e' costretta a lavorare quindici giorni. L'invisibilità non e' un' invenzione fantascientifica e questa gente ne è la prova. Chi ne avrebbe il sacrosanto diritto non ha accesso a quelle immense risorse idroelettriche che forniscono il cinquanta per cento dell' elettricita' che utilizza tutto il Messico. Né tantomeno riceve benefici dai giacimenti petroliferi e di gas naturali presenti sul territorio. Gli indigeni si possono pero' consolare pensando alle piante officinali della Selva Lacandona, che a loro non servono a nulla, ma che per fortuna andranno a gonfiare i conti bancari delle multinazionali statunitensi che speculano nel settore farmaceutico. La militarizzazione e il terrore Questa strategia,
basata sul liberalismo economico, da al Paese quel tocco di modernita'
che rende felice la ristretta elite borghese soffocando nella miseria tutti
Cosi' successe ad Acteal dove vennero trucidate quarantacinque persone per la maggior parte donne, vecchi e bambini che si trovavano raccolte in preghiera. Altro metodo utilizzato in questo conflitto e' quello di creare una fitta e capillare rete di controllo territoriale: l'esercito federale messicano e' composto da centocinquantamila unita' delle quali il quaranta per cento operative in Chiapas. I posti di blocco sono innumerevoli e vengono istituiti col pretesto di combattere il traffico di armi e di droga, ma le ragioni che impongono una militarizzazione tale del territorio vanno ricercate in una politica che mira al controllo di tutta la geografia chiapaneca. Per questo si e' creata la PFP (polizia federale preventiva), un organo poliziesco che di fatto e' un distaccamento dell'esercito con funzioni e mezzi molto simili a quelli dei militari e che possiede uno statuto redatto appositamente per arrivare la dove non puo' l'esercito federale. I militari costruiscono strade per arrivare nelle roccaforti zapatiste e si instaurano nei villaggi col pretesto di sviluppare iniziative sociali mentre la PFP viene inviata nella selva per piantare alberi o spegnere incendi. Il governo vuole spaccare la comunità indigena Un altro punto cruciale
di questa strategia e' il tentativo di sgretolare l'unita' indigena offrendo
aiuti economici a chi rinnega lo zapatismo. Sono molti che si fanno comperare
da un pacchetto di riso, un po' di fagioli, un sacco di cemento per poter
finalmente calpestare qualcosa di diverso dalla terra battuta di sempre.
Come li si puo' biasimare? Quando si e' sul fondo anche una minima spinta
verso l'alto puo' risultare enorme. I villaggi si dividono: quelli che
resistono non comprendono le ragioni dei venduti oppure non le trovano
ammissibili, sufficienti. Una linea invisibile separa questi uomini.
Tutto ok. Ancora
una volta i fatti dimostrano che il denaro e' piu' importante dell'uomo.
Anche se queste cose accadono lontano dalla nostra vita agiata, non
possiamo sprofondaci i sensi in un egoismo perpetuo all'insegna del detto
occhio non vede, cuore non duole. Questa mia testimonianza e' un tentativo
per risvegliare la coscienza della gente perche' credo che in quest'epoca
di disinformazione preservare un senso critico sia essenziale quanto l'aria
che respiriamo.
Messico,
Stato del Chiapas, San Cristobal de las Casas, 11 giugno 2000
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o | Riceviamo
dal Chiapas con preghiera
di pubblicazione una toccante corrispondenza di Alex Faggioni, che, rientrato in Italia dopo questa esperienza in Messico, presterà servizio civile all'estero in zone di guerra partecipando all'Operazione Colomba dell'associazione riminese Papa Giovanni XXIII
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