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Romania, il liberismo
con il carro e i cavalli
La transizione in un paese in cui convivono
economia rurale e nuovi processi globali
Sulla tomba di Nicolae Ceausescu nel cimitero Ghiencia vicino a Rahova, quartiere popolare di Bucarest, c'è un'unica corona di fiori. Rossi. E' una tomba curata, pulita, senza polvere ed erbacce. Una fra le tante. La moglie Elena
non è sepolta vicino a lui. Giace sotto un cumulo di terra e pietre
a qualche decina di metri, nascosta dai cespugli e dalle altre tombe. Piccola
vendetta contro colei che era ritenuta la principale ispiratrice delle
scelte politiche del dittatore. La contadina vestita di Chanel. "Anche
le persone più indegne e terribili hanno diritto alla sepoltura",
c'è scritto su un cartello a pochi passi.
La donna anziana che mi accompagna mi domanda sorpresa se ci sono i comunisti in Italia. E' una donna di ottanta anni che il comunismo in Romania l'ha visto nascere, crescere e morire. Ricorda ancora i tempi della monarchia, il re Mihai ora in esilio, il periodo in cui dalla campagna si è trasferita a Bucarest. Abita da allora nella stessa casa che ha costruito con le sue mani insieme al marito. In strada Plivitului a Rahova. Il suo consorte è sepolto nello stesso cimitero di Ceausescu. E' morto il 22 dicembre del 1989, proprio nei giorni in cui per le strade del quartiere l'armata, passata a sostenere la causa rivoluzionaria, si scontrava con le truppe della Securitate, fedeli al dittatore. Gli episodi più cruenti si verificarono nei pressi della casa della sorella del dittatore romeno che si trova, ancora oggi, a pochi isolati dalla sua. La donna ci vive tuttora, anche se pare, mi dice la mia accompagnatrice, che sia impazzita. Molte leggende
si raccontano su quella casa, pare che fosse collegata attraverso dei passaggi
segreti al cimitero e alla chiesa. Mi dice la donna che quando il corpo
del marito aspettava di essere sepolto, tenuto provvisoriamente nella cappella
del cimitero, i soldati erano arrivati ed avevano iniziato a sparare. Pensavano
che nella cappella si rifugiassero gli agenti della securitate. Poco dopo
l'hanno incendiata, sorte patita da molte altre chiese di Bucarest, alcune
delle quali suonarono le campane per chiamare il popolo alla rivolta. Il
corpo del marito è riuscito a salvarsi per puro caso.
Le case-resistenza Undici anni fa, poco prima della rivoluzione, si stava per ultimare la riqualificazione urbanistica di Rahova. Parte del più ampio e radicale progetto di ridisegno urbano di Bucarest partito nel 1984. Essa consisteva nell'abbattimento di tutte le villette del quartiere per fare spazio a palazzi di dodici piani in un funereo grigio, colore che ancora oggi contraddistingue l'intera città. Erano rimaste non più di un centinaio di case ancora intatte. Villette autocostruite che talvolta assomigliano più a baracche e che conservano ancora oggi i tratti caratteristici delle case rurali da cui provenivano molti dei loro abitanti. Dotate di piccole corti in cui razzolano galline e crescono alberi di frutta e ortaggi, queste case non sono allacciate alla rete fognaria e sono rifornite di acqua corrente attraverso delle fontane pubbliche. I palazzi che le circondano, costruiti da poco più di dieci anni, si vanno deteriorando velocemente, le tubature si rompono quasi ogni inverno e le infiltrazioni d'acqua ghiacciandosi creano crepe profonde nei muri. Il trasferimento
nei palazzi avvenne coercitivamente, nessuna possibilità di scelta
reale fu lasciata alle persone che furono sradicate bruscamente dalle proprie
villette e dai propri modi di vita. Il ricordo della violenza subita permane
nei racconti e negli usi delle persone anziane e dei loro figli.
Le piccole case di
Rahova, resistite al sogno imperiale di Ceausescu, sono oggi rifiorite.
Il quartiere è un continuo cantiere, niente a che fare con i lavori
che ridisegnano Berlino e le grandi capitali europee, è un formicaio
di artigiani, muratori, singoli manovali che alzano piani, rifanno tetti
dalla disegno liberty, rinforzano cancelli, costruiscono box auto. Le nuove
generazioni tendono ad abbandonare, quando è possibile, i palazzi
fatiscenti e a tornare alle case mono-familiari con piccolo giardino. Chi
può apre sulla strada finestre più o meno grandi dalle quali
espone e vende decine di prodotti, da quelli per l'igiene intima alla coca
cola.
A Bucarest le temperature estive quest'anno hanno spesso superato i 40° C. E' un caldo secco che induce all'immobilità. Per le strade del centro non c'è molto movimento e, pure se ci fosse, sarebbe forse difficile accorgersene vista la grandiosità degli spazi. I boulevard, così si chiamano le principali arterie della rete viaria cittadina, furono costruiti sul modello della capitale francese intorno alla fine del XIX secolo. Sono strade per parate militari, strade destinate a ben altre folle. Il numero di auto che le percorre oggi è certo aumentato dai tempi del comunismo ma, ciò nonostante, è raro che ci si trovi imbottigliati nel traffico. La Dacia, la casa automobilistica nazionale, continua a riprodurre infinite variazioni della stessa auto. Le auto straniere sono aumentate negli ultimi due tre anni. Si vedono soprattutto auto asiatiche di media cilindrata, ma non sono rare le Mercedes dei nuovi ricchi. Ai semafori tra le poche auto in attesa del verde è facile vedere ancora i carri tirati dai cavalli, tipici delle zone rurali del paese e che in città sono spesso guidati dagli zingari che vendono angurie o raccolgono ferro. L'influenza francese non è stata solo di tipo urbanistico. Numerosi sono i termini nella lingua romena che rimandano direttamente al francese. Molti dei quali sono frutto di un atteggiamento tipico della borghesia romena di fine secolo scorso che amava ricorrere a francesismi per impreziosire il suo linguaggio e riavvicinarlo alla matrice latina e occidentale. Questo vezzo ci è stato tramandato magnificamente, e con ironia, dal maggiore commediografo romeno di questo secolo, Caragiale, che nelle sue opere fa parlare i suoi personaggi in un vernacolo infarcito di neologismi e strampalate contaminazioni. "Caldura mare, mon chere". Ecologicamente sostenibile In strada Plivitului
il camion per la raccolta dei rifiuti passa una volta a settimana. Se ciò
accadesse in una città italiana i rifiuti raggiungerebbero il primo
piano dei palazzi e i ratti festeggerebbero, tra i sacchetti dai colori
variopinti ed ogni sorta di suppellettili, la loro dea dell'abbondanza.
La produzione di rifiuti urbani è lontana dai nostri standard. Non è solo una questione di povertà materiale. Intervengono anche altri elementi legati in modo diverso alla storia comunista e rurale del paese. Le file per acquistare il cibo scarso, la perenne mancanza di ogni cosa hanno segnato profondamente le persone. Lo si sente nei racconti ma anche più semplicemente nella curiosità e meraviglia che ancora destano negli anziani i grandi supermercati, le pubblicità variopinte, le confezioni luccicanti. Bisogna anche tenere presente l'importanza che nell'educazione e formazione dei giovani durante il comunismo aveva il rapporto diretto con la natura, le visite ai parchi, le colonie estive. Ma, forse più di ogni altra cosa, merita attenzione il forte legame con la campagna e i suoi ritmi, da cui deriva un rispetto e una cura per la natura che non sono generici ma personali e spesso legati all'acquisizione delle risorse per il proprio sostentamento. Lo si vede andando nei mercati e per strada dove centinaia di contadini, provenienti dai paesi intorno alla capitale, tutte le mattine vendono direttamente i loro prodotti: pomodori, peperoni, formaggio fresco, smintina, yogurt, farina di mais. La limitata produzione di rifiuti è strettamente legata al riutilizzo sistematico dei materiali. Riutilizzo, quindi, piuttosto che un riciclaggio come quello in voga da noi, dove si raccolgono, con i sacchetti colorati, tonnellate di immondizia e si cerca con i contenitori differenziati di tenere pulita la coscienza. Money, money, money Un impiegato
di medio livello guadagna in un mese circa duecentomila lire. Poco o molto
non ha senso dirlo senza un raffronto con i costi della vita. La cosa è
meno semplice di quanto si potrebbe pensare. Esistono in una città
come Bucarest disparità economiche e di modelli di vita tali che
non si può, senza individuare chiaramente quello che è il
proprio modello di riferimento, scegliere degli indicatori accettabili
e sufficientemente validi per poter operare il raffronto.
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o | Camminare
per le strade di un quartiere popolare di Bucarest può aiutare il visitatore a comprendere la transizione della Romania fra la caduta del comunismo e la costruzione di una nuova convivenza. In questo reportage Nando Sigona fotografa un paese in cui convivono le accelerazioni neoliberiste e l'eredità della cultura e dell'economia della tradizione rurale, che conserva una sua dignità. (15
settembre 2000)
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