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Brindisi, riapre la centrale che fu chiusa per emissioni cangerogene
Termoelettrico: stanziati 640 miliardi per un progetto impossibile di repowering
 

di GIUSEPPE D'AMBROSIO

    Si riapre la vertenza energetica a Brindisi. A più riprese, sia con la stampa locale indipendente, sia con iniziative pubbliche delle associazioni ambientaliste, la città ritrova la forza di confrontarsi con i due colossi del Polo energetico Enel, situati sulle rive di Costa Morena e di lido Cerano. L’insediamento termoelettrico più grande d’Europa, (da solo produce più del doppio del fabbisogno annuo d’energia elettrica di tutta la Puglia), torna a far parlare di sé alla luce degli ultimi provvedimenti legislativi del Governo D’Alema e delle manovre ai danni dei lavoratori compiute dalle due società coinvolte, Enel ed Eurogen. 

   Le ricadute occupazionali dei due mega-impianti brindisini, irrimediabilmente esaurite nell’arco di dieci anni, a tal punto che la centrale Nord (Costa Morena) è tuttora esercita a “riserva fredda (il minimo per tenere in funzione gli impianti), non hanno inciso minimamente nelle decisioni del legislatore. Si prepara un’ulteriore iniezione di fondi, ben 640 miliardi, per “restaurare” i relitti industriali di Costa Morena e cercare, in qualche modo, di mettere in moto quella procedura che i redattori del Decreto D’Alema del 4 agosto scorso hanno chiamato repowering. 

   L’incubo della riapertura della Centrale nord dunque (altamente inquinante e gestita da Eurogen), chiusa per l’impossibilità di contenere i limiti delle emissioni massice di sostanze cancerogene, diventa inequivocabilmente legge. La Convenzione Enel-Enti locali, stipulata con la firma del Ministero dell’ambiente e del Ministero dell’industria nel 1996 è rimasta quasi totalmente inapplicata e attorno ad essa si sono concentrate le inadempienze più evidenti della società elettrica. Il caso più significativo dello strapotere dell’Enel a Brindisi è costituito dalle vicende del Comitato tecnico-scientifico di controllo sull’Enel (eletto secondo l’ex art. 20 della Convenzione). Dopo due anni di lavoro, di segnalazioni puntuali di ogni inadempienza, all’unanimità il Comitato ha scelto di rassegnare le dimissioni perché nessun Ente, dal Comune alla Provincia, dal Ministero dell’Ambiente a quello dell’Industria, ha mai prestato attenzione e fornito risposte ai suoi esposti. Livio Stefanelli, autorevole deputato Pci negli anni Settanta e presidente dimissionario del Comitato, così riferisce in un’intervista a Sottosopra, una rivista provinciale di inchieste: “l’Enel ha cominciato a sabotare la Convenzione col Comune dal giorno stesso in cui è stata sottoscritta. Si è mostrata inadempiente su tutti i livelli”. La rabbia del presidente Stefanelli, oltre che verso la società elettrica, si volge anche contro il Governo e le autorità di controllo: “con la centrale termoelettrica fra le più grandi del mondo, la città non dispone di un organo pubblico di controllo. Avendo uno stabilimento di siffatte dimensioni, lo Stato non sente l’esigenza di nessuna forma autonoma di controllo”. 

   Le parti politiche invece, dalla destra alla sinistra più dichiarata, non seguono più la vertenza energetica da anni. La città, in bilico fra gli equilibrismi politici del proprio sindaco, Giovanni Antonino, ha perso ogni capacità di riflettere su se stessa e sulle questioni del territorio. E’ bene ricordare che Antonino, eletto in un’alleanza di destra, nell’estate passata ha pensato bene voltar pagina e diventare di sinistra. Cosicché ha mandato all’opposizione tutta la sua Giunta ed è passato, armi e bagagli, al centrosinistra. Su questa tragica operazione di potere sono state pochissime le voci di dissenso nella sinistra: è bastata la poltrona di vicesindaco ai Ds e un bottino d’assessorati per dare l’anima ad un politico di destra, Antonino, dalla personalità fondamentalmente populista. E tra le avventure politiche della città, sempre le prime e le uniche ad aprire il dibattito, si consumano manovre di portata mondiale, spesso agevolate dalla storica propensione della politica e della stampa di seguire sempre e solo i sentimenti della piazza e non le questioni di sviluppo.

   A dare forza alla vertenza energetica c’è stato, l’otto maggio, un incontro con Massimo Scalia, presidente della Commissione sulle ecomafie: “Brindisi è il sacramento negativo dell’errore pratico, teorico e realizzativo delle megacentrali” ha detto il fisico dei verdi, invitando a riaprire con indignazione rinnovata la questione delle megacentrali alla luce della probabile riapertura di Brindisi nord. La Legambiente, unica associazione che segue con serietà e costanza la questione energetica fin dagli anni Ottanta, nelle parole del coordinatore Marinazzo ha espresso una posizione precisa: “Brindisi nord da esercire a olio Stz (senza tenore di zolfo) e Brindisi sud a metano, attenendosi al pieno rispetto della Convenzione del 1996”. Nel merito di tutte le inadempienze, la Legambiente brindisina si è esposta notevolmente, consegnando nelle mani della Procura della Repubblica una denuncia di venti pagine che attende ancora di essere giudicata.

   Un capitolo importante della medesima Convenzione era costituito dall’adduzione di metano mediante una bretella metanifera fino alla Centrale sud a partire dal 1998, al fine di ridurre al minimo la combustione di materiali inquinanti. L’art. 1 della Convenzione infatti prevede: “la costruzione, a iniziativa e spese dell’Enel, entro due anni dalla stipula della convenzione (entro il 98 ndr) di una bretella di collegamento per l’adduzione di metano alle centrali di Brindisi nord e Brindisi sud”. Importantissimo, il comma 10 prevede che, dal primo gennaio 2001, nella centrale nord non potranno essere usati combustibili diversi dal metano e che comunque, i due gruppi da esercire a metano, dovranno chiudere entro il 2007. Gli altri due gruppi invece, da esercire a carbone fino al 1998, devono chiudere entro il 2000, dopo due anni di funzionamento a metano e a olio Stz. Queste clausole, ancora valide, non sono mai state applicate e Brindisi non ha mai visto nemmeno un metro cubo di metano, dato che la bretella non è mai stata costruita. Ora, l’agognato combustibile rischia di arrivare con procedure e insediamenti di ben altra portata. Infatti, più volte il presidente dell’Autorità portuale, Mario Ravedati, ha annunciato l’attesa di un progetto della londinese British gas, per la costruzione a Brindisi di un mega-impianto di rigasificazione da installare sulla terra ferma. Da più parti, se il progetto diverrà realtà, si annuncia la catastrofe ambientale. Addirittura l’ex assessore regionale all’industria, Gualtiero Gualtieri, nella conferenza sulla vertenza energetica dell’otto maggio, oltre a dare conferma alle parole di Ravedati, ha annunciato che il progetto è ad “alto rischio ambientale” e che comporta la movimentazione annua di sei miliardi di metri cubi di gas metano mediante enormi navi gasiere provenienti dai giacimenti del nord Africa. 

   Chi ha la capacità di guardare oltre questi processi, parla di futuro insostenibile, e sente, nella corsa al repowering dei mostri industriali, il sapore della beffa e della fine. Senza dubbio, la questione si riapre nella rabbia e nell’amarezza di molti, soprattutto per la consapevolezza della forza distruttiva che sono in grado di generare siffatte creature industriali. È sempre più evidente che, la strapotenza oggettiva dell’insediamento di Brindisi si è rivelata un’arma a doppio taglio, sia per i costi di gestione, sia per le ricadute occupazionali e ambientali. Cosicché oggi, di fronte al fallimento della logica industrialista nel territorio, la presenza di insediamenti industriali dalle dimensioni impensabili per una zona così povera, s’impone come dato di fatto a partire dal quale bisogna aprire ogni discorso di sviluppo. La vecchia, eppur tanto nuova logica di monetarizzare il rischio per stendere il velo sulle violazioni di legge, sulle violenze perpetrate ai danni dell’ambiente e della salute, diventa il ricatto per fare fronte, con scarso risultato, alle emergenze occupazionali e alle esigenze di riconversione delle vecchie centrali. La città appare inequivocabilmente e per la seconda volta, distratta dalle sue vocazioni naturali (il mare, l’agricoltura, il turismo e il porto) e consegnata, inerme e priva di tutela, al cosiddetto Polo energetico. Uno sviluppo deviato, non compatibile con la morfologia del territorio, irrispettoso di una fascia costiera che da più tempo invoca il risanamento e lo sviluppo turistico. Nessuna di queste richieste tuttavia, raggiunge la classi dirigenti, sempre più propense a gestire macro-interessi industriali più che a progettare una qualsiasi forma di sviluppo sostenibile.

   Intanto l’occupazione più triste rimane quella di misurare lo scarto fra chi vede nel futuro l’immagine del disastro e chi invece, dai banchi del potere, non riesce a guardare oltre il naso. In questo si riassume il destino di una città poverissima, smarrita dietro ambizioni smodate e vocazioni incomprese.


  o Finanziato dal governo D'Alema
il repowering dell'impianto termoelettrico di Brindisi senza alcuna garanzia né sul piano occupazionale,
né su quello ambientale. 
Una pioggia di miliardi che sarebbe invece andata
bene altrove. 
Sempre a Brindisi, ma in altri settori.

Questo articolo
è tratto da Sottosopra
giornale
nonviolento
di Brindisi
 
 

 

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