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Vite altrove
A
mezzogiorno suona la sirena. Mario dice che era la stessa quarant’anni
fa. Quando per lui cominciava la lunga stagione in fornace. Mario ha vissuto
in presa diretta l’evoluzione del laterizio, l’anima delle nostre case.
Come in una sfilata di moda. Dal vecchio mattone, piccolo rettangolare
e massiccio, ai più complicati cubi giganti termogarantiti e supertraspiranti
di oggi. Fino al ritorno del mattoncino in forma di sua imitazione termogarantita
e supertraspirante. Come nella moda, il passato torna sempre.
D’estate, al nastro si muore di caldo; cubi incandescenti appena sfornati vanno impacchettati al più presto, siamo nella stagione dell’edilizia, si gira a pieno ritmo. D’inverno, là fuori si muore di freddo ma quelli come Mario, temprati dal tempo e dal vino, si coprono poco e non usano i guanti. Le loro mani hanno come una seconda pelle; guanti naturali. Mario ha sessant’anni; altri come lui sono morti prima. Cancro, cirrosi epatica, infarto. In quindici anni ne ho visti parecchi sparire. La polvere, il fumo, il vino, il freddo, la noia. Quando suona la sirena loro non sono più qui. Non vengono in mensa con la Nazionale che pende da un angolo della bocca. Non tornano al nastro con una bottiglia da due soldi, tappo corona, sottobraccio. Una volta era
così, non pensavano tanto alla salute. O forse se ci avessero pensato
sarebbero morti prima, di disperazione. Se a quelle giornate di merda avessero
dovuto togliere anche il vino e il fumo per vivere con la paura di morire…
Io no, non ci riesco. Quando si alza troppo la polvere mi metto una mascherina bianca che il sindacato ci ha fatto dare dopo un anno di bestemmie. Ogni tanto innaffio il nastro per migliorare il nostro clima. In mensa bevo acqua minerale o al massimo un po’ di birra d’estate quando i mattoni mi bruciano in gola. Non fumo e appena torno a casa, alle 5, monto sulla bicicletta e mi faccio un’ora nel bosco sopra casa; estate inverno vento pioggia: non cambia. Mia moglie lo capisce. Sa anche che le mie non sono paranoie. Vorrebbe vedermi cambiare lavoro ma io sono cresciuto alla fornace. Che questa non è una buona ragione per morirci, però, lo so anch’io. In fornace sono finito perché ci lavorava mio padre e perché la scuola non mi è mai piaciuta. Anzi, smise di piacermi il giorno che la maestra mi dette uno scapaccione sulla nuca dicendomi che non capivo niente, perché avevo raccontato che a casa mia c’era un gallo che saltava addosso a tutte le galline, una specie di Rocco Siffredi del pollaio. “Tu e quelli come te non capite niente della vita”, mi dissi quel giorno guardandole le mani. E poi continuai a ripetermelo. La domenica io e Lisa,
mia moglie, andiamo spesso in montagna. Per i miei quarant’anni me la cavo
bene. In montagna si parla e si legge. Una volta ci fermammo a metà
strada fra il passo Duran e il Monte Pelmo, una quiete immensa, sulle Dolomiti,
vicino casa, e mi lessi un’intero romanzo di Moravia. Non ricordo più
quale ma so che mi sembrò pieno di inutili elucubrazioni. Eppure
questo Moravia mi avevano detto che è un grande. C’è una
canzone di Bertoli in cui dice “masturbazioni cerebrali” e a me piace canticchiarla
ogni tanto; mi tornò in mente anche quel giorno. Bertoli è
un compagno. Mio padre era socialista. Non di quelli di Craxi. Alla fine
votava Pci per disperazione e io come lui. Poi tutto è finito e
non so più che cosa votare. In fornace di politica non si parla,
fuori nemmeno. Un anno votai Lega Nord perché gli altri mi sembravano
tutti una banda di ladri e anche maldestri. Ma sono tutti uguali. Saremo
noi italiani… O la globalizzazione che dicono.
Mi capita anche
di chiedermi che tipo di uomo sono. A volte mi domando di me che cosa pensino
gli altri, quelli della fornace, i miei amici. Ma più o meno so
che loro pensano bene. In fondo un po’ mi conoscono. Sanno che penso, leggo,
parlo, rido, do una mano quando serve. Mi preoccupa di più l’idea
di chi non mi conosce. Che cosa penseranno gli estranei di me? Di uno che
lavora in fornace. Quando mi viene in mente mi sento rimpicciolire. Penso
a ciò che sono io nelle statistiche o agli occhi di un professore
dell’università. Penso a mio figlio, a quel che diranno i suoi compagni
di scuola. Penso al mio medico di base che mi tratta sempre come un bambino
però forse lui Moravia non l’ha neanche letto.
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o | Zenone
Sovilla (Belluno, 1964), giornalista,
è il coordinatore di Nonluoghi. (28 agosto 2000) I
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