copertina notizie percorsi interviste libri musica inchieste calendario novità scrivici
i percorsi

La fuga dal silenzio. E dal tempo della vita
La società del conformismo diventato arma impropria contro l'angoscia esistenziale
 

di FRANCESCO MERZ
    Il tempo se ne va in punta di piedi, travestito da nulla. Il progresso esasperato, strumentale al profitto, sta distruggendo anche il tempo: non c’è più tempo per fermarsi, per parlare, per inoltrarsi nel silenzio. Il silenzio è stato abbattuto. 
   E’ diventato il vero lusso, da custodire, da venerare. Il silenzio impegna e spaventa, atterrisce gli inesperti. Il silenzio rivela latitanze, svela i tradimenti e svuota il tempo. Il silenzio è carezza sconfinata, sembra cancellare idiozie e brutture, non ammette scorciatoie. Nel silenzio quieto tutto sembra vibrare. 
   Il silenzio sussurra paradossi struggenti e propone percorsi desueti. Il silenzio è per gli amanti. I giorni sono occasioni irripetibili perdute di proposito. Il silenzio non è mai banale, non omologa,  conduce verso itinerari imprevedibili, inconsueti. 
   Oggi il silenzio è un abisso stipato di rumori artificiali, di assenza e di paura.  Gli uomini sono così impegnati nel guadagnarsi da vivere che la loro stessa esistenza è permeata dal sistema produttivo. Chi rinuncia ad esistere si lascia irretire dal di dentro. Vende e compera, e ci spreca la vita. Un frigorifero non ha cuore, un computer non è amico, un televisore non è amante, un auto non mi porta con sé.

   Eppure li si ama. La vita vale più delle cose: sembrerebbe ovvio. Idoli ce ne sono stati sempre, ma ora essi hanno un aspetto onnipotente ed esclusivo. L’ufficio oggetti smarriti dei rapporti interpersonali è stato chiuso definitivamente. La stupidità è terribile, cattiva, servile e funzionale al sistema, quindi strutturalmente iniqua. Il conformismo sembra l’unico modo per evitare un’angoscia insopportabile. Chiudiamo gli occhi per non essere disturbati nella nostra quotidianità. Perché con il benessere aumenta la stupidità, l’indifferenza, l’ottusità, la noia, l’infelicità, la solitudine, l’apatia, l’ignavia, l’infingardaggine? Abbiamo imparato a mentire per poco, adattandoci all’aperta ingiustizia, pur di godere del nulla, dell’effimero, di qualcosa che è destinato a svanire, a non lasciare traccia. 

   Sappiamo bene ciò che siamo costretti a volere, poiché il mistero ci è divenuto estraneo. Siamo disposti a tutto pur di non vivere, di non scoprire cosa c’è al di là dell’ordinarietà. Tutto scorre e noi restiamo al davanzale della nostra vita, ritenendo impropria qualsiasi ambizione a viverla. 
   Non siamo disposti a percorrere sentieri difficili, dove non è passato nessuno. 
Non mi arrendo allo scacco: oltre la soglia ho sete di sentieri affollati da febbrili innamorati della vita.


o Lavoro
e tempo:
l'altra 
flessibilità

Pensare...
con i piedi

I globalizzatori
di Paolo Barnard

Le reti locali
e globali per
un'alternativa
di Alberto
Magnaghi
 
 
 
 

 

copertina
notizie
 percorsi
interviste
i libri
musica
inchieste
calendario
novità
scrivici