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Zingaro, chi sei?
Un popolo in diaspora, perseguitato e
violentato, che ha forti tradizioni letterarie e artistiche
Oggi molti sono sedentari, studiano o
lavorano. Ma i più poveri sono costretti ai campi
E' certamente un popolo strano quello che non ha un verbo per tradurre il termine «avere», che designa il ieri e il domani con la stessa parola, un popolo senza patria e senza guerre. E' un popolo, quello degli zingari, che suscita, dovunque si presenti, fortissime reazioni: di benigna curiosità o di categorico rifiuto. Zingaro barone - o
zingaro di strada? Non c'è al mondo un altro popolo attorno al quale
opinioni e giudizi si dividano come attorno agli zingari. Mitizzati e invidiati
dagli uni, vengono disprezzati e perseguitati dagli altri, per cui è
sempre difficile distinguere la verità dall'invenzione, la realtà
dalla romanticizzazione o dallo spregio. Per tanta divergenza di opinioni
c'è, probabilmente, una spiegazione: il non conoscere gli zingari,
il non sapere niente della loro origine, della loro storia, della loro
vita.
Le similitudini linguistiche con il sanscrito Per secoli erano state formulate le teorie più fantasiose sull'origine degli zingari, quando nell'Ottocento alcuni linguisti cominciarono ad osservare notevoli similitudini tra la lingua zingara e il sanscrito. Basti citare qualche esempio: la parola zingara kalo «nero» deriva dal sanscrito kala, rat «sangue» da rakta, rup «argento» da rupya, bal «capelli» da vala. E si potrebbero trovare molte altre similitudini, anche con dialetti dell'odierna India nord-occidentale e del Pakistan. Partendo dalla
linguistica, si è potuto concludere che la terra d'origine degli
zingari sia l'India. Si presume che attorno all'anno 1000, ma forse anche
prima, abbiano cominciato il loro lungo viaggio verso occidente, per motivi
finora mai chiariti. Prestiti linguistici, raccolti «per strada»
e tuttora presente nel romanes, cioè nella lingua degli zingari,
ci permettono di seguire la loro rotta di viaggio: attraverso l'Afghanistan,
l'Iran, l'Armenia, la Turchia e la Grecia giunsero ai Balcani, per apparire
in Italia ai primi anni del Quattrocento.
Una storia di persecuzioni La storia degli
zingari, infatti, è una storia di scontri continui con la società
non-zingara, maggioritaria, che ha opposto e oppone a loro, gli eterni
«altri», divieti, proibizioni e rifiuti. A cominciare dal XVI
secolo gli zingari furono, assieme agli ebrei, espulsi e perseguitati dai
grandi stati nazionali che si stavano formando, perché considerati,
nella loro «diversità», elementi di disturbo nella unificazione
e nel senso di unità dei popoli. In certe epoche gli zingari potevano
essere uccisi impunemente, in Romania furono schiavizzati per 400 anni
(fino ad oltre la metà del secolo scorso). Ma nessuna persecuzione
fu così sistematica come quella nazista quando nei campi di concentramento
tedeschi morirono mezzo milione e forse più di zingari: a Dachau
e a Ravensbrück, dove donne e bambine zingare furono sterilizzate,
a Auschwitz-Birkenau, dove fu tenuto un libro che riporta, annotati con
incredibile acribia, i nomi di 20.946 zingari, a Natzweiler-Struthof, nell'Alsazia
francese, dove furono sottoposti a vari e mortali esperimenti medici, a
Buchenwald da dove furono ceduti alle grandi società farmaceutiche
per 170 marchi per «capo»: un olocausto troppo spesso dimenticato.
I rom artigiani e commercianti, i sinti artisti di strada Mentre i Rom
(che di prevalenza si trovano al centro e al sud dell'Italia) sono abilissimi
artigiani del rame e commercianti, una volta di cavalli, ora di macchine,
i Sinti erano da sempre dediti allo spettacolo di strada, ai circhi (sono
di origine sinta le grandi famiglie di circensi come gli Orfei e i Togni),
alla musica.
La tradizione letteraria E' facile trovare nella letteratura colta figure di zingari: la «Gitanilla» di Cervantes e la «Carmen» di Prosper Mérimée sono solo due degli esempi più famosi del passato. Nel nostro secolo è Federico Garcia Lorca che, con il «Romancero gitano» e il «Poema del cante jondo», dà voce e corpo agli zingari. Fino a poco tempo fa era invece raro, se non impossibile, incontrare tra i Sinti e i Rom autori di testi letterari. Da quando però gli zingari - o meglio: una ristrettissima élite tra di loro - hanno cominciato a confrontarsi con il mondo dei gage (come sono chiamati da loro i non-zingari), hanno imparato ad usare anche le loro forme di espressione artistica e poetica. Scrivono romanzi
e poesie: delle volte in romanes, più spesso però nella lingua
del paese che li ospita.
Un popolo in diaspora Gli zingari sono, come gli
ebrei, un popolo in diaspora, senza precisa dislocazione geografica: un
popolo senza patria, l'unico popolo del mondo senza patria - e quindi anche
l'unico popolo al mondo che non abbia mai combattuto una guerra. Ma come
avrebbe potuto svilupparsi il concetto di patria in un popolo continuamente
espulso e cacciato?
In Europa molti diventano sedentari e hanno una casa Parecchie cose sono cambiate negli ultimi tempi. Tra gli zingari europei vi sono oggi stimati professionisti, valenti artisti, scrittori e musicisti - e ultimamente anche un santo: il gitano Zeffirino Giménez Malla, detto El Pelé, fucilato nel 1936 in Spagna, è stato beatificato nel 1997 da Papa Giovanni Paolo II. Anche in Italia vi sono molti che, senza negare il loro essere zingari, si sono sedentarizzati, studiano e lavorano. Vivono in modo totalmente diverso da quello, tanto enfatizzato da certa televisione e stampa, dei grandi campi zingari, degradati, disumani e umilianti, alle periferie delle città - campi dove si sono insediati soprattutto gli «ultimi arrivati» e quindi i più poveri: quelli scappati, nel corso degli ultimi decenni, da paesi dell'Europa orientale. Ma lo zingaro resta un outsider Anche oggi,
comunque, lo zingaro è ancora un outsider. E' accettato e diverte
quando si presenta, con la sua ammiccante furbizia e la sua secolare saggezza,
nei film, come nel «Tempo dei gitani» e nel «Gatto bianco,
gatto nero» di Emir Kusturica, oppure quando si esibisce, come i
Gipsy Kings o i Tekameli, sui grandi palcoscenici. Ma nella realtà
quotidiana rimane tuttora, e solo raramente per propria scelta, fuori dalla
società che lo circonda: rimane «alle porte della città»,
come dice Olimpio Cari, zingaro, in una sua poesia.
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Per
gentile concessione della rivista PleinAir, che l'ha pubblicato nel numero
di novembre 1999, proponiamo un articolo sulle origini, il percorso
(13
aprile 2000)
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i percorsi |
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