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"Un capitalismo sempre più sordo e aggressivo"
Parla un prete operaio: "Per i lavoratori aumentano l'incertezza, i ritmi e tempi del lavoro"
 

di LUCA FREGONA

   "Essere prete operaio ha a che fare con la spiritualità. E' un  modo di vedere il mondo, la realtà e anche il cristianesimo e la chiesa". 

    Un asse potente e inossidabile tra politica ed economia. Il mondo del lavoro messo ai margini e sottovalutato. La scomparsa dal dibattito pubblico delle grandi questioni sociali. Questo il quadro che traccia Josef Stricker, prete operaio e sindacalista. Alle spalle, quattro anni di lavoro in fabbrica e venticinque nella Cisl a difendere i diritti dei metalmeccanici. Pochi in Alto Adige conoscono come lui la realtà economica, sia imprenditoriale che lavorativa.
   "A me - esordisce - nessuno può raccontare storielle. Sono trent'anni che giro per le fabbriche e che ho rapporti con la politica e con gli industriali. So come vanno le cose. E quello che vedo, non mi piace per niente".

   Stricker, come sono cambiati il mondo del lavoro e il ruolo delle organizzazioni sindacali?

   Le trasformazioni più pesanti si sono avute a partire dagli anni Ottanta con i processi di ristrutturazione che hanno coinvolto gran parte delle aziende industriali della provincia.

   Come vengono vissuti questi cambiamenti radicali dagli operai?

   In modo traumatico. La mobilità, la paura dei licenziamento, la flessibilità dei turni, i tempi di lavoro che aumentano sempre di più, sono tutti fattori che comportano stress e ansia. Le aziende stanno rendendo i ritmi sempre più frenetici e impongono gli straordinari o il lavoro di notte. Gli operai vivono sotto tensione, sono stanchi e stufi. Il sindacato cerca di salvaguardare i diritti acquisiti e di introdurre dei freni. Ma è una battaglia dura, perché oggi in Alto Adige abbiamo una scarsa cultura delle conseguenze sociali che possono comportare le grandi trasformazioni.

  Che rapporti avete con gli imprenditori?

   Non buoni. Il mondo imprenditoriale non vuole nemmeno sentir parlare di concertazione. Si rifiuta di mettersi intorno a un tavolo coi lavoratori per gestire insieme i cambiamenti. Oggi se un settore economico ha un problema, non tratta col mondo del lavoro. Va direttamente dal "suo" assessore, o dal presidente della Provincia autonoma Durnwalder. Ripeto: non c'è concertazione. E questo non è degno di una società evoluta. 

   Insomma, lei sostiene che gli imprenditori snobbano sindacati e lavoratori?

   Esattamente. Ed è un grave deficit di democrazia economica. Non si riesce nemmeno a discutere del ruolo, e dell'importanza, che il lavoro ha all'interno della società altoatesina. Ormai si è realizzato una potentissima alleanza tra economia e politica che esclude di fatto il lavoro dalla stanza dei bottoni.

   Lei allora condivide chi dice che la politica della Svp* si sta spostando sempre più verso destra?

  Questo cambiamento di rotta è stato molto evidente negli ultimi anni. Ma rientra in una tendenza più generale della società sudtirolese, di cui la Svp è un'espressione. Abbiamo una provincia opulenta in cui il sociale, come dimensione reale della vita, ha perso la sua importanza. Non esiste più nell'opinione pubblica come tema di discussione. Quindi, anche i partiti non ne tengono più conto. Il neoliberismo è ormai l'ideologia dominante sia nella politica sia nell'economia. 

   Però si dice sempre che, nei servizi sociali, la provincia di Bolzano è all'avanguardia.

   Il sociale non è solo una questione di distribuzione di soldi. Riguarda il modo di pensare, la Weltanschauung, come viene percepita la società. Su questo punto la classe dirigente sudtirolese dimostra ancora gravi lacune.

   Secondo lei esiste dunque un asse di ferro esclusivo tra politica ed economia.

   Si, e in modo sempre più forte e arrogante. I settori economici hanno un eccessivo peso nella vita politica e pubblica sudtirolese. I sindacati vengono percepiti come un elemento di disturbo e non come un partner col quale si deve dialogare perché rappresentano gli interessi legittimi dei lavoratori. Rendiamoci conto che qui, per esempio, non esiste ancora la contrattazione decentrata, che nel resto d'Italia permette di valutare meglio le specificità locali in termini di orario, flessibilità e salari rispetto ad un accordo nazionale. Uno strumento fondamentale per influire sulla politica dei redditi, adeguando le retribuzioni agli standard di una provincia ad alto benessere, dove si sta sempre più allargando la forbice tra i redditi medio alti e quelli medio bassi. Ma l'imprenditoria locale non vuole sentirne parlare, visto che l'unica cosa a cui pensa è come tagliare ancora il costo del lavoro.

   Beh, è logico che un imprenditore voglia ridurre le spese...

   Potrebbe essere logico in una realtà "normale", ma qui no. Abbiamo un tasso di disoccupazione inesistente, fisiologico. Una situazione anomala rispetto al resto del paese. Ma gli imprenditori si ostinano a voler applicare forme contrattuali nazionali pensate dal governo e dal parlamento per realtà dove il tasso di disoccupazione è del 25,30%. Non c'è alcun motivo reale per chiedere di abbassare ancora il costo del lavoro. Si può benissimo andare avanti con le forme tradizionali di contratto. 

   Quindi, quello altoatesino è un capitalismo aggressivo?

   Aggressivo e anche dominante culturalmente. Ormai si assiste all'apologia continua e ripetitiva della privatizzazione. Il privato è bene, il pubblico è sempre male, vedi le ultime dichiarazioni strumentali e inaccettabili sulla sanità di Christian Masten. Anche se poi, questi signori vivono una grande contraddizione, perché vanno a prendersi i soldi pubblici ogni volta che possono oppure chiedono l'intervento della provincia per tutelarli. Per non parlare dei costi sociali enormi, in termine di salute e impatto ambientale, che l'economia produce nel lungo periodo. Costi che, ovviamente, vanno a carico del pubblico, e non certo di chi li ha causati.

   Ma di questa emarginazione dei temi sociali dal dibattito politico, i sindacati non hanno alcuna responsabilità?

   Sicuramente anche i sindacati hanno una parte di colpa: siamo deboli, a volte non riusciamo a stare dietro alle innovazioni. Questo è vero. Siamo diventati un po' troppo il sindacato dell'assistenza e dei servizi, e abbiamo trascurato l'altro grande filone: non siamo riusciti a influire sui grandi processi di cambiamento della società. Dobbiamo darci una mossa, altrimenti conteremo sempre meno.



* Il partito popolare sudtirolese, formazione di raccolta del voto
etnico tedesco, che governa la Provincia autonoma.
o  Siamo a Bolzano. Josef Stricker è nato nel 1939 a Martello, val Venosta. Ha studiato filosofia e teologia al seminario maggiore di Trento. Negli anni sessanta è entrato nel Kvw, le acli di lingua tedesca. E' stato a lungo segretario dei metalmeccanici della Cisl (1900 iscritti), e membro della segretaria confederale, dove si è occupato di contrattazione e politiche del mercato del lavoro.

 

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