ile interviste

Moni Ovadia: i gangster del capitalismo
in un mondo che ha paura di chi sta male e deve emigrare
 

   Esiste la possibilità che, in questo periodo di bilanci, l’analisi su ciò che ha rappresentato il Novecento per l’Umanità possa essere influenzata dagli avvenimenti dell’ultimo decennio?
   Da ciò che è successo dal crollo del Muro di Berlino in poi?

   Se esiste è perché questo decennio ha la tendenza ad auto assolversi. Uno dei miei spettacoli ("Ballata di fine millennio", ndr) è esattamente in antagonismo con questa tendenza. Questo secolo ha prodotto delle grandi utopie, ci sono milioni di umili, di uomini onesti che hanno dato la propria vita per il riscatto dell’umanità. Tutto questo non può essere liquidato in questo modo frettoloso, riferendosi solamente al "crollo". È impressionante la facilità con cui si giudica la vicenda sovietica, mentre avremmo bisogno di studi approfonditi per capirla. 
   Sembra che settanta anni di vita, di storia, siano passati così, che in realtà non siano stati altro che anni in cui sono avvenuti solamente dei crimini. Sono stati, invece, anni in cui sono avvenuti fenomeni culturali e tali fenomeni hanno prodotto anche ferite profonde nei tessuti sociali o nella possibilità di scoprire l’utopia. Trovo che il grande sogno di una società di uomini liberi ed uguali non possa essere liquidato così, sostenendo che, rispetto a tutto questo, sia migliore la Società del Mercato. Oltretutto in più questa società, quella capitalistica, ha centinaia di scheletri nell’armadio. Si fanno sempre i conti con il numero delle vittime causate dallo stalinismo, ma nessuno fa i conti con quelle causate dal capitalismo. Dal depredamento dei mercati. Voglio solo dire che, se si devono fare i conti, allora questi vanno fatti fino in fondo. C’è, invece, una tendenza omologatoria per cui il giudizio su fascismo e comunismo diventa uguale.
   Questo è un secolo di grandi efferatezze, ma che ha anche prodotto una cultura impressionante. È il secolo che vede nascere la psicoanalisi, ma che ha prodotto anche la socialdemocrazia, le grandi lotte operaie, grazie alle quali noi viviamo in un mondo meno schifoso. E sono lotte onorate, sacrosante. Tutto questo è troppo facile e troppo comodo. Ma questo è un gioco che amano molto due tipi di persone. Da un lato quei conservatori venati di quelle nostalgie tipo “quando la gente del popolo stava al proprio posto”. dall’altra gli apostati, quelli che sono saltati dall’altra parte e strillano a squarciagola che i Rossi sono cattivi e infami. Tutti, nessuno escluso. Dicono così perché lo erano loro e, come tutti gli apostati, sono i  più impietosi quando si tratta di giudicare i propri vecchi compagni di strada. A volte cercano di farmi inorridire dicendomi che, forse, i più grandi antisemiti hanno avuto origini ebraiche.

  Probabilmente Torquemada, il grande Inquisitore, aveva origine ebraiche. Allora non mi dovrei stupire nemmeno se Hitler avesse avuto origini ebraiche. Dirò di più: il cosi detto fenomeno del “Selbsthass”, dell’odio verso se stessi, ha prodotto fenomeni incredibili, Il caso paradigmatico è Otto Weininger con il suo “Sesso e Società”. Si odiava perché ebreo ed ha scritto un libro di forte violenza antisemita. Poi si è suicidato. Su questo tema c’è una bellissima riflessione di un filosofo tedesco che pose l’attenzione sul fatto che Giacobbe non richieda la benedizione per il proprio figlio, ma per i nipoti. Sicuramente durante il 1800, in Germania, presi dal furore di integrazione, molti ebrei si convertirono, come è il caso del padre di Marx. Dato che i nazisti cercavano l’ebreo che è in ognuno di noi, solamente fino alla generazione dei nonni, se il bisnonno si fosse convertito, e questo è successo spesso, allora i pronipoti di quell’uomo invece di stare dalla parte delle vittime, sono stati dalla parte del carnefice. Questo può succedere quando non si fanno i conti fino in fondo. Ma questo è anche lo specifico ebraico.

  Rimane comunque il fatto che l’Occidente non ha funzionato. Se ci possiamo permettere di parlare di un “Occidente” e di un “Oriente” in Europa.

   Dipende da che cosa intende per Oriente.

   Intendo tutto l’est europeo che inizia già dall’ex-Jugoslavia la Polonia, la Repubblica Ceca, la Romania, l’ex Unione delle repubbliche sovietiche

  Sta parlando con un bulgaro.

   Appunto, ma resta la sensazione che la contrapposizione fra Occidente ed Oriente, oggi, sia più forte che mai. Maggiore di quando non ci fosse la Cortina di  ferro.
   In questo secolo di forte contrapposizione tra Est ed Ovest, tragicamente, scegliamo di consegnare alla storia un simbolo: Sarajevo.

   La vergogna dell’Europa occidentale. La vergogna con cui la si dovrebbe marchiare a fuoco. Noi tutti siamo responsabili. Ho cercato di fare quello che potevo, faccio sempre troppo poco. Ma soprattutto l’apparato di riflessione è grave.
   Visto che parliamo di Est europeo, devo fare alcune considerazioni. Gli esteuropei devono fare i conti con loro stessi. Il mondo slavo, proprio come la Bosnia ci ha dimostrato, è ancora intriso di ferocia barbarica. Ci sono dei conti da fare. Oggi l’Est è la nuova frontiera: si stanno formando delle nuove società capitalistiche e si sviluppano con le modalità delle società capitalistiche.
 Si fa un gran parlare della mafia russa, ma che cosa è stato del capitalismo americano dei primi tempi? Banditi, avventurieri, tagliagole, gangster! I capitalismi si formano così. Questo è quello che sta succedendo all’Est e in aggiunta si sta svendendo. Tutti abbiamo diritto ai soldi, al benessere e qui ha ragione chi ha studiato la logica del desiderio. E’ qui che il socialismo reale soccombe perché non sa corrispondere ai desideri materiali. I giovani polacchi o quelli cecoslovacchi avevano, come tutti, il mito degli Stati Uniti. Non so cosa si potesse invidiare ad un ragazzino del Bronx. soprattutto da parte di chi aveva la fortuna di vivere in una delle grandi capitali europee. Eppure quel socialismo reale era così aberrante che quei giovani sognavano di chiamarsi Charlie e di vivere in uno slam.
C’è la tendenza a svendersi al capitalismo. 
   E responsabilità degli intellettuali oggi è quella di pensare un ipotesi di società che si basi sui principi del libero mercato, ma capace anche di affermare una forte centralità dell’uomo, dei suoi valori e della sua libertà. Senza una forte contrapposizione etica tra questi due principi, una società è destinata ad essere iniqua e violenta. Abbiamo visto che, se l’economia di un Paese non funziona, allora possono avvenire guasti anche gravi. La storia ci insegna che i nazionalismi o i fascismi si instaurano lì dove ci sono situazioni economiche travagliate e difficili. Difficile che, in una società prospera, si possano trovare queste spinte ultra-nazionaliste. Ma non basta ancora. Questa società nuova dovrà essere anche tollerante. Noi italiani lo sappiamo bene, siamo stati un popolo di emigranti fino a ieri, non c’è angolo d’Italia da dove non siano partiti gli emigranti. Dalla Valle d’Aosta fino a Lampedusa. Per non parlare del Veneto. Il ricchissimo Veneto è stato terra di emigranti fino all’altro ieri. E nonostante questo non siamo più in grado di vedere l’albanese nella sua faccia; in quella faccia stravolta dal viaggio, impaurita, che cerca qualche cosa, non siamo più in grado di vedere la nostra faccia. Vengo da una famiglia di profughi..
 . Mio padre aveva quella faccia lì quando siamo arrivati a Milano nel ‘49. Non vediamo le nostre facce quando siamo stanchi, quando abbiamo perso il lavoro, quando abbiamo paura. Sono uguali. Un uomo infelice che cerca disperatamente di rifarsi una vita, ha la stessa faccia ovunque. Bisogna assolutamente eliminare le disincronie tra strutture tecniche e cultura. Certi Paesi raggiungono prima la libertà economica di quella culturale, Succedono degli scempi. Hanno armi potenti e cultura barbarica. Abbiamo in più il problema dell’islam. Da ebreo posso dire che i rapporti con gli arabi sono piuttosto tesi e lo sono per via della faccenda di Israele. Prima siamo sempre andati d’accordo ed ancora oggi se non si frappone l’aspetto ideologico ho una sintonia naturale con loro.

   Sta tracciando un quadro pessimista.

   Al contrario, sono ottimista e credo che il modo migliore di esserlo sia quello di rifugiarsi nel più assoluto pessimismo. In Germania nel 35-’39 si raccontava una storiella. Si diceva che esistessero due tipologie d’ebreo: gli ottimisti e i pessimisti. I pessimisti erano quelli che emigrarono negli Stati Uniti. Ecco questo mi serve anche per stabilire il compito degli intellettuali, che è quello di coprire una asincronia di questo tipo. Nel frattempo ci potrebbero essere milioni e milioni di morti. La Jugoslavia è stata del tutto inutile. Perché si è permesso che quella guerra accadesse? E una guerra che appartiene ad altri tempi. Ed il vero problema, allora, non è quello di trovare delle responsabilità, quanto quello di continuare a combattere e smettere di fare ideologia. C’è un compito di umanità necessario, quello di testimoniare che la vita di un uomo è sacra.


o Pubblichiamo un'intervista con Moni Ovadia, attore, scrittore e cantante, tratta dal volume "Dialoghi di fine millennio", edito da Artisti senza frontiere di Firenze (35 mila lire) che contiene anche le interviste a Mario Tozzi, Valentin Breitenberg, Marko Vesovic', Marino Niola, Federico Bugno, Giuliano Boaretto.

Moni Ovadia è uno dei principali esponenti della cultura ebraica europea. Di origini sefardite, è nato in Bulgaria ma da bambino si è trasferito in Italia con la famiglia.

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