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Botte globali
 

di MARIO MARTONE

Una parte di noi sta nel corteo perché è l’unica possibilità.
Rido e scherzo con S. per mascherare la mia nauseante sensazione di non sapere assolutamente cosa fare. 
Esaurito il mio concentrato silenzio ho camminato distrattamente per un po’, poi ho finto di cercare qualcuno. 
Poi ho finto di trovare qualcuno.
Poi ho finto di conoscere qualcuno.
Ora siamo alla fase battutesuglisbirri.
Fingo per un po’ di guardarmi attorno preoccupato. Gli sbirri sono davvero tanti. 
I miei genitori chiacchierano tranquilli con gli amici. Fingo di metterli in allarme sulla situazione della piazza. In realtà spero con sano fatalismo che i loro anni facciano effetto sugli sbirri e favoriscano la fuga.
Ricomincio il mio corrucciato andirivieni tra strette di mano e ciniche considerazioni.
Per fortuna ora sono solo e posso badare a me stesso.
Salgo sul praticello. Facce giovani e coperte si spalmano di limone. Sorrido con il paternalismo di un partigiano ottantenne. Ai miei tempi altro che limone e facce coperte, il culo lo rischiavamo veramente. 
Poi mi ricordo di avere ventotto anni. E i miei tempi non so neanche quali sono.
Intravedo G. di rifondazione tra la folla. Vado vergognosamente verso di lui. Sicuramente saprà dove andare tra le botte, e io mi ci nascondo dietro. Il dibattito sul voto lo mettiamo un attimo da parte. Vicino alla coerenza.
Mi chiedo se poi le botte ci saranno sicuramente. Perché dovrebbero esserci per forza scontri? Potremmo stare un po’ qui, cantare qualche simpatico stornello antiglobalizzazione, contrattare per una delegazione che  sia ammessa al convegno, aspettare qualche ora e poi tornarcene a casuccia a montare i mobili dell’Ikea…
…per fortuna si stanno mettendo i caschi.
Scavo nel mio repertorio di pensieri da manifestazione per ingannare un po’ il tempo. C’è quello sull’impossibilità della militanza  a tempo pieno…no l’ho già usato ieri. E il fatto che i cori sono inutili e che sarebbe bello fare delle manifestazioni totalmente silenziose? No, questo l’ho rubato da mio cugino e non mi ha neanche convinto tanto. 
Esaurita la lista passo a ripromettermi che questa volta mi impegno per un po’, non è il solito corteo e basta, bisogna dargli un senso, e la cosa funziona come al solito, una catena di pensieri da quindici minuti almeno.
Sono arrivato appena a dirmi che in fondo ora voglio fare altro nella vita e una folla scalmanata che corre verso di me scarica la tanto amata adrenalina nelle vene: la carica!
Tre metri di corsa e vedo i rifondaroli con le mani basse che incitano a calmarsi. Mi volto ed effettivamente tra la folla riesco a vedere solo altra folla. Dei caschi blu nemmeno l’ombra.
Era una finta, solo panico. Riprendo il controllo e invito tutti alla calma. Sono un veterano io, cosa credete, mica scappo alla prima avvisaglia. 
Tenere d’occhio il cordone che ti permette almeno dieci secondi di vantaggio. 
Mi guardo attorno. La nebbia a mezzogiorno di marzo non è normale, quindi questi sono lacrimogeni quindi quelli lì dietro sono sbirri, quindi devi correre dietro al cordone, voltati ancora a controllare, e poi scappa.
Quelli sono D. e F. meglio stare con loro che da soli. Ma perché si sono schiacciati contro una saracinesca? Non lo so, ma faccio lo stesso. A quattro metri davanti a me gli sbirri si accaniscono. Mi volto. È la saracinesca a fianco alla nostra.
Ma siamo pazzi?
Io sto contro una saracinesca con le mani alzate, senza respirare, abbracciando due ragazzine che piangono a fianco a me con la testa nel muro e gli sbirri mi urlano VIA VIA!!
Ma VIA dove?
Ci sono sbirri ovunque, a destra a sinistra davanti dietro ma dove volete che vada?
Non credo di averglielo chiesto, ma cinque secondi dopo sono in un vicolo dove facce di ragazzi e ragazze mi rimandano la stessa muta domanda che ho stampata sul viso: Dove? Dove andiamo? 
F. si regge una spalla. Hanno preso lei e non me. Puro accidente. Era quaranta centimetri alla mi sinistra.
Corro sull’altra strada. Ci avranno lasciato la strada libera di là, verso il mare. Un cazzo di posto dove scappare devono pure avercelo lasciato siamo a Napoli non in Indonesia!!
Mi trovo a sette metri da una camionetta dei finanzieri che ingaggia una specie di corrida con un manifestante. Avanti, marcia indietro, preso, ancora marcia indietro, sterzata, mancato. Attorno a loro una cerchia di dieci sbirri chiude la fuga del toro umano. Quando alla fine scivola e si accascia ci si avventano sopra per finirlo.
Non so quanto è durato, non so più che fare, non so dove andare.
D. e F. mi chiedono che fare.
Vedo un pezzo di corteo più avanti. Faccio due passi nella strada per veder se ci sono sbirri in quella direzione. A destra ho i finanzieri che stanno badando alla loro preda. A sinistra, a trenta metri, un cordone enorme che sta avanzando per chiudere il passaggio, con le camionette dietro. Al corteo non ci si arriva. 
D. indica un vicoletto di fronte, verso il mare. Guardo i finanzieri. Alzo le mani verso di loro e corro di fianco fino al vicolo, poi senza voltarmi fino alla marina.
Il sole, il porto, il mare, volti distrutti e increduli che si cercano, si assicurano delle condizioni dell’altro, chiedono notizie di lui, di lei, degli amici.
Mi fa male la gamba, me ne accorgo ora. Mi chiedo come ho fatto a correre.
Comincia l’appello. Presente, presente, assente, no l’ho visto io, sta in piazza. Pare che ci siano tutti. 
Ci troviamo sotto alla facoltà mezz’ora dopo. Gli assenti sono molti almeno cinquanta e le cifre salgono. Si fa il giro degli ospedali, i legali fanno il loro mestiere.
Da più di mezz’ora non fingo. Non ricordo bene il momento esatto in cui ho smesso, ma giurerei che è stata la vista di un manganello a meno di un metro da me. Deve essere stato quello.
Un manganello che piomba a quaranta centimetri alla mia sinistra sulla spalla di una ragazza. 
Un manganello impugnato contro sette persone con le mani alzate e la schiena su una saracinesca. 
Un manganello cieco e sordo. 
Nessuno ha provocato quel manganello.
 
 


o Mario Martone, 
28 anni, 
laureato 
in fisica, 
vive a Napoli. 

Il sommario
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(18 aprile  2001)

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