pensieri&sentieri
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C'è ancora la sensazione di soffocamento di dodici mesi fa.La triste constatazione che la cultura della guerra sia sempre lì atentare di rimarginare le ferite che essa stessa produce. Lo si pensava un anno fa, quando ormai appariva troppo difficile individuare un come (che certo non erano le bombe). Il problema era il prima. Il non fatto. Il dominio della cultura della guerra e del suo circolo vizioso che poi uccide per "salvare". Del Kosovo e dei suoi rischi si parlava da anni. Ma qui come altrove si investe nella macchina da guerra - intesa come pensiero e prassi ai vari livelli della convivenza - e ognuno e tutti spendiamo troppo poco negli sforzi per costruire percorsi di pace. E' difficile e forse oggi presuntuoso parlare del dolore del Kosovo per chi non lo vive sulla sua pelle. Ma dobbiamo sforzarci, in punta di piedi, quasi sottovoce. Ricordando però e gridando che i Balcani sono anche lo specchio della nostra violenza, della xenofobia e dei conflitti violenti in Occidente. Qui e altrove, un giorno potrebbe essere tardi. (z. s.)
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della sezione Kosovo 24 marzo 2000 |
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