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Kosovo, le case in fiamme
e la fine della convivenza
I guasti del dopoguerra e le prospettive
di nuove tensioni etniche in Serbia e Montenegro
Gli avvenimenti
di Mitrovica evidenziano in tutta la loro crudezza e drammaticità
il groviglio di contraddizioni del dopoguerra in Kosovo. I morti e gli
attentati, le marce e gli scontri sul ponte che invocano all'unità
del Kosovo, ma dietro ai quali c'è anche la pulizia etnica di ritorno
ad opera di bande estremiste dell'Uck, testimoniano la fine della convivenza
o della binazionalità del Kosovo, la progressiva affermazione del
nazionalismo etnico albanese, l'instabilità di un'area foriera di
nuove violenze e pulizie etniche: si pensi alle prospettive del conflitto
con il Montenegro e alla Serbia sudoccidentale, dove vivono decine di migliaia
di albanesi e dove il governo di Milosevic ha spostato 4 reparti di polizia
speciale. E Milosevic - che
Nove mesi di falsa pace Eppure l'azione della Nato aveva lo scopo dichiarato di avviare una prospettiva di stabilità e di sicurezza per la regione. E non sono bastati 9 mesi di una falsa pace, le (poche) generiche riunioni e i documenti (scarni e senza costrutto) del Patto di Stabilità a costruire l'inizio di un processo democratico, di cooperazione e integrazione per i Balcani. Le prospettive della ricostruzione sono incerte e in larga parte effimere: in Kosovo mancano ancora i soldi per avviare un'effettiva ripresa economica e di riassetto delle infrastrutture, in Serbia il fondamentalismo anglo-americano - assecondato dai paesi europei - mette sempre più in ginocchio il paese, nei Balcani manca una qualunque idea diversa (da quella praticata in questi anni in Bosnia, dove sono stati alla fine premiati i gruppi affaristico-nazionalistici) di una ricostruzione sociale, civile e democratica fondata su un impatto integrativo e sul ruolo della società civile e delle comunità locali. Per fortuna ora nei Balcani s'affacciano anche novità positive: l'evoluzione antinazionalista di parte della società e della politica bosniaca e il trionfo democratico in Croazia indicano segnali di rinnovamento, che potrebbero portare ad una progressiva emarginazione delle elite nazionaliste nell'area. Verso nuovi conflitti Ma, sciaguratamente
l'intervento della Nato in Serbia (a quasi un anno dal suo inizio, e ci
sarà ben poco da festeggiare), pur mettendo fine ad una odiosa e
criminale pulizia etnica a danno degli albanesi del Kosovo, ha invece posto
le basi per quello che è accaduto in questi mesi e sta ancora succedendo
nell'area e così bene evidenziato dai fatti di Mitrovica: la completa
etnicizzazione (il Kosovo ai kosovaro-albanesi), l'espulsione dei serbi
e delle altre etnie e la progressiva indipendenza de facto della regione.
Tutte condizioni per nuovi conflitti e tensioni. La comunità internazionale,
anche con le scelte fatte dopo l'azione della Nato, ha ulteriormente soffiato
sul fuoco, dimostrando di non avere un realizzabile obiettivo, un'idea
positiva, un piano concreto sul da farsi dopo la fine della guerra, alimentando
aspettative irredentiste e rinfocolando odi, tensioni, conflitti. Gli avvenimenti
di questi giorni evidenziano in Kosovo la delusione determinata dal contrasto
tra le speranze (degli albanesi) di indipendenza e la realtà di
un lungo protettorato ipermilitarizzato e sgangherato, tra le aspettative
di una ricostruzione economica e civile e la lentezza della ripresa produttiva
nonché la commistione con gli interessi affaristico-mafiosi, tra
le prospettive deluse di un rinnovamento democratico e il controllo del
territorio ad
Lo slogan del
governo italiano per reclamizzare sotto i bombardamenti la sua campagna
umanitaria - così tanto contestata da varie organizzazioni pacifiste
e del volontariato - ricordava che "dopo la tempesta viene l'arcobaleno".
L'Arcobaleno italiano è stato assai poco sgargiante e macchiato
dal malaffare; in compenso nei Balcani piove ancora tanto e la tempesta
è sempre in agguato.
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o | La
guerra umanitaria della Nato ha fallito nella prospettiva di costruire
una convivenza civile in Kosovo e di aprire una rapida evoluzione democratica
in Jugoslavia. Sulle contraddizioni del dopoguerra e sui rischi di inasprimento
delle nuove violenze etniche (ora le vittime sono soprattutto i serbi e
i rom), pubblichiamo un intervento di Giulio Marcon, presidente dell'Ics,
uscito anche sul Manifesto del 23 febbraio 2000.
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