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Kosovo, le case in fiamme e la fine della convivenza
I guasti del dopoguerra e le prospettive di nuove tensioni etniche in Serbia e Montenegro
 

   di GIULIO MARCON

   Gli avvenimenti di Mitrovica evidenziano in tutta la loro crudezza e drammaticità il groviglio di contraddizioni del dopoguerra in Kosovo. I morti e gli attentati, le marce e gli scontri sul ponte che invocano all'unità del Kosovo, ma dietro ai quali c'è anche la pulizia etnica di ritorno ad opera di bande estremiste dell'Uck, testimoniano la fine della convivenza o della binazionalità del Kosovo, la progressiva affermazione del nazionalismo etnico albanese, l'instabilità di un'area foriera di nuove violenze e pulizie etniche: si pensi alle prospettive del conflitto con il Montenegro e alla Serbia sudoccidentale, dove vivono decine di migliaia di albanesi e dove il governo di Milosevic ha spostato 4 reparti di polizia speciale. E Milosevic - che
l'intervento della Nato voleva scalzare dal potere - è ancora saldamente al governo in una Serbia sempre di più piegata dal peso delle sanzioni e da una situazione economica e umanitaria drammatica.

Nove mesi di falsa pace

   Eppure l'azione della Nato aveva lo scopo dichiarato di avviare una prospettiva di stabilità e di sicurezza per la regione. E non sono bastati 9 mesi di una falsa pace, le (poche) generiche riunioni e i documenti (scarni e senza costrutto) del Patto di Stabilità a costruire l'inizio di un processo democratico, di cooperazione e integrazione per i Balcani. Le prospettive della ricostruzione sono incerte e in larga parte effimere: in Kosovo mancano ancora i soldi per avviare un'effettiva ripresa economica e di riassetto delle infrastrutture, in Serbia il fondamentalismo anglo-americano - assecondato dai paesi europei - mette sempre più in ginocchio il paese, nei Balcani manca una qualunque idea diversa (da quella praticata in questi anni in Bosnia, dove sono stati alla fine premiati i gruppi affaristico-nazionalistici) di una ricostruzione sociale, civile e democratica fondata su un impatto integrativo e sul ruolo della società civile e delle comunità locali. Per fortuna ora nei Balcani s'affacciano anche novità positive: l'evoluzione antinazionalista di parte della società e della politica bosniaca e il trionfo democratico in Croazia indicano segnali di rinnovamento, che potrebbero portare ad una progressiva emarginazione delle elite nazionaliste nell'area.

Verso nuovi conflitti

   Ma, sciaguratamente l'intervento della Nato in Serbia (a quasi un anno dal suo inizio, e ci sarà ben poco da festeggiare), pur mettendo fine ad una odiosa e criminale pulizia etnica a danno degli albanesi del Kosovo, ha invece posto le basi per quello che è accaduto in questi mesi e sta ancora succedendo nell'area e così bene evidenziato dai fatti di Mitrovica: la completa etnicizzazione (il Kosovo ai kosovaro-albanesi), l'espulsione dei serbi e delle altre etnie e la progressiva indipendenza de facto della regione. Tutte condizioni per nuovi conflitti e tensioni. La comunità internazionale, anche con le scelte fatte dopo l'azione della Nato, ha ulteriormente soffiato sul fuoco, dimostrando di non avere un realizzabile obiettivo, un'idea positiva, un piano concreto sul da farsi dopo la fine della guerra, alimentando aspettative irredentiste e rinfocolando odi, tensioni, conflitti. Gli avvenimenti di questi giorni evidenziano in Kosovo la delusione determinata dal contrasto tra le speranze (degli albanesi) di indipendenza e la realtà di un lungo protettorato ipermilitarizzato e sgangherato, tra le aspettative di una ricostruzione economica e civile e la lentezza della ripresa produttiva nonché la commistione con gli interessi affaristico-mafiosi, tra le prospettive deluse di un rinnovamento democratico e il controllo del territorio ad
opera di potentati e clan politico-militari (v. Uck) che hanno annichilito la rete di autogoverno locale creata, sotto la repressione serba, dalla Lega democratica di Rugova.

   Lo slogan del governo italiano per reclamizzare sotto i bombardamenti la sua campagna umanitaria - così tanto contestata da varie organizzazioni pacifiste e del volontariato - ricordava che "dopo la tempesta viene l'arcobaleno". L'Arcobaleno italiano è stato assai poco sgargiante e macchiato dal malaffare; in compenso nei Balcani piove ancora tanto e la tempesta è sempre in agguato.


o La guerra umanitaria della Nato ha fallito nella prospettiva di costruire una convivenza civile in Kosovo e di aprire una rapida evoluzione democratica in Jugoslavia. Sulle contraddizioni del dopoguerra e sui rischi di inasprimento delle nuove violenze etniche (ora le vittime sono soprattutto i serbi e i rom), pubblichiamo un intervento di Giulio Marcon, presidente dell'Ics, uscito anche sul Manifesto del 23 febbraio 2000.
 

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Kosovo
24 marzo 2000
 
 
 

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