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Donne migranti
Una ricerca in Alto Adige fotografa un fenomeno qui ancora in fase embrionale
 

   Il fenomeno dell’immigrazione in Alto Adige presenta alcune peculiarità rispetto ai riscontri dello stesso a livello nazionale: l’incidenza sul territorio degli stranieri appartenenti all’Unione Europea, in primo luogo. E poi il ritardo del manifestarsi del fenomeno dell’immigrazione femminile, rilevante solo dopo il 1991, diversamente dalla situazione nazionale, dove l’ondata di donne “extracomunitarie” è iniziata fin dagli anni ’70. All’1.1.’97 l’incidenza degli stranieri residenti sulla popolazione locale era tra il 2 e il 4%, compresi quelli appartenenti all’Unione Europea, senza i quali si scende all’1,2%, percentuale leggermente inferiore rispetto alla media nazionale dell’1,5%. Per i primi anni (dal 1990 al 1993), infatti, le donne provenienti da paesi non appartenenti all’U.E. rappresentavano solo il 19% delle presenze straniere residenti. In seguito il fenomeno ha assunto dimensioni maggiori, per finire, nel 1997, a costituire la metà delle donne straniere in età lavorativa presenti sul territorio.

I risultati

  La donna straniera “tipo” che emerge dal campione selezionato ha un’età tra i 25 e i 39 anni, è sposata ed ha almeno un figlio. E’ immigrata direttamente a Bolzano per raggiungere la famiglia o perché attirata dalle maggiori opportunità di lavoro che offre questa provincia, in cui risiede da almeno 6 anni e dove vuole rimanere a vivere (anche se con differenze all’interno dei singoli gruppi etnici: il 91,7% delle donne maghrebine contro il 52,3% delle donne provenienti dalla ex Jugoslavia).
  La letteratura esistente a livello nazionale suddivide, secondo il percorso migratorio compiuto, le donne straniere tra “passive” (quelle che emigrano per ricongiungimento familiare) ed “attive” (quelle che migrano per motivi di lavoro), senza considerare percorsi differenti e poco conosciuti da un punto di vista so-ciologico. Un esempio: le donne dell’Africa subsahariana (originarie principalmente del Senegal e del Ghana) sono in maggioranza coniugate ed hanno in media 2 figli. Arrivate in Italia al seguito dei mariti, successivamente si sono trasferite (con la famiglia) in provincia di Bolzano, attirate dalle maggiori opportunità di lavoro. Queste donne non possono essere definite passive poiché collaborano attivamente al bilancio familiare lavorando e la pre-senza dei figli non rappresenta un ostacolo all’attività lavorativa.

La formazione

   Il livello d’istruzione delle donne intervistate risulta essere piuttosto elevato. Il 41% delle intervistate è in possesso di un diploma di scuole superiori e il 15% è in possesso di un diploma di laurea o comunque di un attestato parauniversitario. In questo caso profonde sono le differenze se si considerano i diversi paesi di origine. La maggioranza delle donne dell’ex Jugoslavia e dell’Africa sub-sahariana si orientata verso studi pro--fessionali e scuole di specializza-zione (es. parrucchiera, sarta, infermiera). Le laureate dell’Est Europa possiedono lauree e diplomi para-uni--versitari in indirizzi umani-stico/letterari (es. giornalismo, storia, lettere).
   Le maghrebine possiedono i più bassi titoli di studio e si dividono, principalmente tra chi non possiede alcun titolo di studio e chi ha terminato le scuole dell’obbligo. Tra le americane del Centro/Sud si trovano donne diplomate (prevalentemente in indirizzi amministrativo-economici) e donne che hanno terminato scuole di specializza-zio-ne (assistenti sociali, educa-trici). Le asiatiche possiedono per lo più lauree in indirizzi amministrativi e economici (legge, scienze politiche, economia e commercio). Tra la maggioranza delle albanesi troviamo, infine, le diplo-mate (magistrali e liceo) e le laureate in materie tecnico-scientifiche.
   Il fatto che il 92,7% delle intervistate abbia conseguito il proprio titolo di studio nel paese di origine, porta ad un ulteriore problema emerso per la maggioranza delle intervistate, ovvero l’esigenza del riconoscimento del titolo di studio conseguito nel paese di origine.

    Va fatta, a questo punto, un ‘importante differenziazione tra la diversa percezione che queste donne hanno nei confronti del lavoro e delle esigenze formative. Da un lato le africane (Nord e Sud) insieme alle donne provenienti dall’ex Jugoslavia sembrano avere percezione del lavoro meramente strumentale, vissuto solo in funzione del guadagno. Esse cercano continuamente, anche le occupate, un lavoro che permetta loro di guadagnare se-mpre di più. Interessante rilevare che le donne appartenenti a queste etnie non possiedono dei titoli di studio elevati e desiderano frequentare corsi di formazione brevi per ottenere una qualifica professionale in funzione di un lavoro maggiormente professionale.
   Dall’altro vi sono le donne provenienti dall’Europa dell’est, dalla America centromeridionale, dall’Albania e dall’Asia, anche se in questi due ultimi casi in misura me-no sensibile. Queste donne danno più valore alla professionalità. L’attività occupazionale è vissuta quale luogo per poter esplicare ed esprimere le proprie conoscenze e competenze professionali. Non è un ca-so, infatti, che queste donne hanno in media dei titoli di studio elevati. Le esigenze formative espres-se sono rivolte alla possibilità di acquisire nuove competenze e/o specia-lizza-zioni in attività dove già si possiede una certa esperienza.

Il collocamento

   L’iscrizione alle liste di collocamento, ad esempio, è uno strumento utilizzato dal 70% delle donne nord Africane e dal 63% delle donne dell’Africa subsahariana. E’ invece poco utilizzato dalle donne asiatiche, da quelle provenienti dall’est Europa, dalle americane del Centro Sud e dalle albanesi. Più precisamente sembra vi sia, in latenza, un sentimento di inadeguatezza, nell’affrontare certi ambiti pubblici ed istituzionali e che, quindi, si preferisca ricorrere a canali informativi più informali. Questo anche tenendo conto del limite oggettivo rappresentato dalla scarsa conoscenza delle lingue locali (in particolare della lingua tedesca).  A ciò si deve aggiungere la scarsa informazione che queste donne hanno dimostrato in riferimento ai servizi pubblici e privati esistenti sul territorio provinciale, dato che fa emergere l’impellente necessità di un’adeguata e mirata informazione sulle iniziative, sui luoghi e sulle op--portunità che queste persone hanno per migliorare il loro inserimento non solo in quanto lavoratrici ma in quanto madri, mogli e, soprattutto donne.

Alcune conclusioni

   In sintesi, senza dimenticare situazioni personali di estremo bisogno e marginalità sociale che ancora oggi molte donne straniere vivono, la condizione occupazionale attuale delle donne immigrate in Alto Adige è in termini numerici soddisfacente, ma tuttavia ancora INVISIBILE come vera e propria realtà umana e professionale delineata.
Da un lato, infatti, la donna si inserisce con forza e determinazione in settori occupazionali sommersi e dequalificanti, dall’altra non avendo il riconoscimento dei propri titoli di studio e delle proprie competenze professionali, preferisce rimanere esclusa dal mercato del lavoro, intraprendendo, di tanto in tanto, una esperienza lavorativa occasionale.
   Sebbene la formazione rappresenti un momento fondamentale, le politiche sociali non si possono ridurre a questo solo. Per una donna straniera gli ostacoli burocratici, culturali e di comunicazione sono tali che ottenere un servizio o difendere i propri diritti (o conoscere tali diritti) sono percepiti come imprese superiori alle proprie capacità. Tra le maggiori richieste avanzate dalle donne nel campo della formazione professionale vi sono i seguenti corsi: alfabetizzazione per donne non scolarizzate, corsi di lingua e corsi di qualifica professionale. E la progettazione di corsi di formazione non può prescindere dai bisogni reali e da un’attenzione particolare alla specificità femminile. Un’ulteriore importante richiesta è il riconoscimento dei titoli di studio posseduti.
 

Sintesi delle Donne Nissà elaborata da Elena Fabiani



o Lo studio del'associazione Donne-Nissà
di Bolzano "Solidarietà con le donne straniere"
sulla situazione
lavorativa
delle immigrate
provenienti da Paesi non membri dell'Unione europea

Questo articolo 
è uscito anche
in "Bz1999"
 

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immigrazione
 
 
 

 

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