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Presi per la gola...
Breve viaggio fra spezie e salse nella storia di alcuni negozianti pakistani a Bolzano
 

di PIETRO FRIGATO

   Sabato pomeriggio, ore 13. A minuti dovrebbe arrivare Fatima con suo marito Nadeem, pakistano. Ci accompagneranno a visitare alcuni negozi di generi misti gestiti da lui e da connazionali in via Garibaldi. «E’ meglio che ci muoviamo subito perché noi dobbiamo andare a prendere i bambini fra mezz’ora » dice lei. Neanche il tempo per un caffè. Il primo negozio, venendo da via Marconi, è quello di Mahmood. Qualcuno è incuriosito quando accendo il registratore portatile, dicendo di scusarmi ma che altrimenti faccio casino. Lui ha fatto l’operaio nell’edilizia per sette anni, poi ha intrapreso l’attività privata, affittando i muri di quello che attualmente è « Mahmood Videocenter - Zakar food »: un vero esempio di flessibilità organizzativa. All’inizio la sua era un’impresa di servizi telefonici che, grazie al collegamento ad una rete satellitare, permetteva una forte riduzione (fino al 70% in meno) delle tariffe telefoniche per le chiamate internazionali. Chi chiede i servizi di Mahmood sono soprattutto cittadini immigrati, soprattutto pakistani. «C’è qualcuno che si ferma di più in negozio a fare due chiacchere ma i più vengono, comprano e vanno via ». Dice che manca un vero punto di ritrovo per la comunità mussulmana, che servirebbe una moschea. Poi che i differenti gruppi di cittadini extracomu-ni-tari di diversa nazionalità tendano ad aggregarsi e a diventare punti di riferimento privilegiati per i connazionali nella vita extralavorativa.

Dai telefoni alle spezie

   A causa dell’andamento del mercato ha deciso di lasciare il business delle telefonia: ora vende videocassette, cibi e spezie tipici mediorientali e i quotidiani del Bangladesh. Sta preparando il bancone della carne, perché, a breve, vuole vendere anche quella. Gli dico «via Garibaldi è ormai via Pakistan, com’è questa storia dello spirito imprenditoriale dei pakistani?». Lui dice: «non so cosa pensino gli altri pakistani che aprono un’attività. Io ho sempre voluto lavorare autonomamente e l’ho fatto appena ho potuto». Fatima interviene e dice che c’è un fattore geografico: «I marocchini sono molto più vicini e vengono da un paese in via di sviluppo, dove cioè possono tornare e fare affari». Il Pakistan è molto più lontano e politicamente destabilizzato. «Il pakistano preferisce tenere i suoi soldi quà, sono più sicuri», interviene deciso il marito di Fatima. «Hanno anche più coraggio. Questo è un fatto culturale; tra loro c’ è più gente che si butta. Persone che vanno così lontane dal loro paese sono anche capaci di lanciarsi nel commercio» dice lei. Mahmood dice che, comunque sia, gli altri pakistani, quelli che non sono proprietari di un negozio, fanno i lavori più umili e faticosi. Mi fa capire che il lavoro destinato agli extracomunitari è quello duro, spesso a nero: da fare ce n’è e c’è da farsi il culo. Per questo lui ha cercato l’indipendenza nella sfera del guadagno. Dice che la competizione del mercato arriverà anche per lui e che porterà i colori del suo paese. Fatima e il marito ci salutano e se ne vanno.

   La famiglia di Mahmood è rimasta in Pakistan: lui non sa ancora se tornerà o se farà venire la moglie e i figli, una volta superato il « casino » burocratico che li tiene lontani. Federica chiede dei rapporti con la gente di qui: tutto bene. Dice che prima di venire a Bolzano è stato tre mesi a lavorare a Reggio Emilia ma sia il lavoro che gli ambienti di vita erano troppo degradati. Nella nostra provincia sono soprattutto gli affitti a fare paura: a Merano pagava settecentomila lire al mese per un appartamento di sedici metri quadrati, nel quale avevano tirato su anche un bagno. Poi c’erano le spese condominiali.

Difficile trovare casa

   Adesso è in affitto a Laives (pochi chilometri a sud di Bolzano) ad un costo sempre troppo alto. Dice che tutti i pakistani fanno fatica a trovare casa, che vivono addensati come sardine nei pochi appartamenti disponibili, affittati sistematicamente a prezzi da iniquo canone. 
Usciamo dal suo negozio. Mahmood ci accompagna dalla concorrenza. Il negozio subito a fianco del suo, procedendo in direzione Stazione dei treni o delle autocorriere, è « Pak International Foods». Apre la porta: i due soci che gestiscono l’esercizio stanno pranzando. Meglio passare dopo. Mahmood ci accompagna da « Naeem Spezie» e ci saluta.

Molti anche i clienti italiani

   Entriamo. Al banco due clienti ordinano carne fresca di manzo e agnello. Naeem è gentile. Spiega che lui macella gli animali a norma di legge ma sgozzandoli, come vuole la tradizione musulma-na. Mentre parla, lavora. Intanto arriva altra gente. In tutto almeno cinque clienti. Chi guarda e chi chiede. Lui parla con me e Federica, miscelando consigli in pakistano ai clienti. Entra uno, ha il passo deciso. Si avvicina all’unico spazio vuoto a destra del banco. Gli chiede subito qualcosa. Naeem gli risponde mentre continua a servire un’altro cliente e mi spiega che coi suoi fratelli ha anche un banco di frutta e verdura in piazza Erbe. L’ultimo arrivato è insofferente e, forse con arroganza, forse a ragione, dice che lui è venuto per comprare e non ha voglia di rispondere alle nostre domande. Meglio guardare gli scaffali. Dove «Creme of Nature», tinta per capelli con bellissima ragazza pakistana che ti guarda, è collocata in posizione dominante, ad ordinata distanza dai borlotti de Rica e dal pesce gatto aromatizzato in una salsa indecifrabile. Intanto arriva altra gente. Meglio andare via. Federica è d’accordo, Naeem dice che se passiamo dopo le otto lui ha tempo. Ok, a dopo.
Da «Pak International Foods», nel frattempo, hanno finito di mangiare. Gilani e Farrukh ci accolgono molto cordialmente. Seduti, alcuni pakistani leggono i giornali quotidiani del loro paese stampati da Internet. Il negozio presenta un vasto assortimento di cibi, spezie e bibite tipiche del Pakistan ma anche della Tailandia, dell’India, della Cina e dell’Africa, confuso con prodotti tipicamente occidentali come la Coca Cola.
Gli chiedo se capita, per motivi culturali legati alla pratica della contrattazione nei bazar, di dover stare a negoziare sui prezzi. Farrukh dice che i prezzi sono fissi, poi «capita di fare uno sconto di cinquecento lire». Dice che oltretutto un discreto numero dei suoi clienti sono italiani, curiosi di conoscere nuove cibarie e poco abituati a discutere i prezzi. 

Farrukh dall'università al bancone

   «Frutta questa attività?». Dice che hanno iniziato da poco e che va abbastanza bene. Un pesante ostacolo sono gli affitti proibitivi. Farrukh racconta la sua storia. Era venuto in Italia per iscriversi all’Università di Padova ma la sua domanda era stata respinta per l’inadeguatezza del titolo di studio acquisito in precedenza. Aveva allora abbandonato quel programma ed era venuto a Bolzano dove ha fondato con Gilani la Società cooperativa a responsabilità limitata «Pak International Foods», che ha i suoi principali fornitori in alcune imprese multinazionali. 
Gli chiedo: «C’è un’etica pakistana che ospita volentieri lo spirito del capitalismo? Di fatto, i pakistani controllano l’offerta di beni alimentari esotici a Bolzano. I marocchini, gli albanesi e altri gruppi extracomunitari non sembrano così brillanti nell’iniziativa privata ». Lui dice che da imprenditore lavori con un «senso di libertà» e che questo è determinante per la scelta. Poi esiste anche un altro motivo: «I pakistani sono arrivati a Bolzano verso al fine del ‘90. Fino al ‘95 è stato molto difficile trovare la nostra roba, i beni che normalmente compravamo in Pakistan. L’unico negozio era a Roma. Anche questo è un motivo. Poi non sono solo i pakistani ad aprire attività commerciali, so di marocchini che hanno aperto ditte di pulizia. Nei nostri negozi i pakistani spesso si fermano, chiacchierano tra loro e con noi. Non essendoci un punto di ritrovo per noi immigrati, le nostre botteghe sono anche dei luoghi di incontro. Anche per questo stampiamo i nostri giornali da Internet e molti si fermano a leggere». 
 Gli chiedo se altri pakistani stanno aprendo aziende?. «So di un altro pakistano che aprirà un videonoleggio e di uno del Bangladesh che aprirà un alimentari ».
« Che difficoltà avete incontrato per aprire questo esercizio? ». 
«La burocrazia», afferma sicuro Farrukh e prosegue: « non siamo stati aiutati molto dai funzionari dei vari uffici pubblici, mentre una mano è venuta dalla Lega delle cooperative. Purtroppo la Provincia non ti agevola finanziariamente se non compri i muri. E noi siamo in affitto. Naeem è l’unico pakistano ad aver comprato i muri ». Dico io: « Ma Naeem è organizzatissimo! Il banchetto di piazza Erbe, il negozio-macelleria, i muri suoi. E’ il Berlusconi dei pakistani!». Farrukh sorride e ci saluta.


o E' la memoria del cibo e la ricderca di sapori diversi che fa proliferare negozi dove si mescolano generi alimentari e videocassette.
 

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