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Presi per la gola...
Breve viaggio fra spezie e salse nella
storia di alcuni negozianti pakistani a Bolzano
Sabato pomeriggio, ore 13. A minuti dovrebbe arrivare Fatima con suo marito Nadeem, pakistano. Ci accompagneranno a visitare alcuni negozi di generi misti gestiti da lui e da connazionali in via Garibaldi. «E’ meglio che ci muoviamo subito perché noi dobbiamo andare a prendere i bambini fra mezz’ora » dice lei. Neanche il tempo per un caffè. Il primo negozio, venendo da via Marconi, è quello di Mahmood. Qualcuno è incuriosito quando accendo il registratore portatile, dicendo di scusarmi ma che altrimenti faccio casino. Lui ha fatto l’operaio nell’edilizia per sette anni, poi ha intrapreso l’attività privata, affittando i muri di quello che attualmente è « Mahmood Videocenter - Zakar food »: un vero esempio di flessibilità organizzativa. All’inizio la sua era un’impresa di servizi telefonici che, grazie al collegamento ad una rete satellitare, permetteva una forte riduzione (fino al 70% in meno) delle tariffe telefoniche per le chiamate internazionali. Chi chiede i servizi di Mahmood sono soprattutto cittadini immigrati, soprattutto pakistani. «C’è qualcuno che si ferma di più in negozio a fare due chiacchere ma i più vengono, comprano e vanno via ». Dice che manca un vero punto di ritrovo per la comunità mussulmana, che servirebbe una moschea. Poi che i differenti gruppi di cittadini extracomu-ni-tari di diversa nazionalità tendano ad aggregarsi e a diventare punti di riferimento privilegiati per i connazionali nella vita extralavorativa. Dai telefoni alle spezie A causa dell’andamento del mercato ha deciso di lasciare il business delle telefonia: ora vende videocassette, cibi e spezie tipici mediorientali e i quotidiani del Bangladesh. Sta preparando il bancone della carne, perché, a breve, vuole vendere anche quella. Gli dico «via Garibaldi è ormai via Pakistan, com’è questa storia dello spirito imprenditoriale dei pakistani?». Lui dice: «non so cosa pensino gli altri pakistani che aprono un’attività. Io ho sempre voluto lavorare autonomamente e l’ho fatto appena ho potuto». Fatima interviene e dice che c’è un fattore geografico: «I marocchini sono molto più vicini e vengono da un paese in via di sviluppo, dove cioè possono tornare e fare affari». Il Pakistan è molto più lontano e politicamente destabilizzato. «Il pakistano preferisce tenere i suoi soldi quà, sono più sicuri», interviene deciso il marito di Fatima. «Hanno anche più coraggio. Questo è un fatto culturale; tra loro c’ è più gente che si butta. Persone che vanno così lontane dal loro paese sono anche capaci di lanciarsi nel commercio» dice lei. Mahmood dice che, comunque sia, gli altri pakistani, quelli che non sono proprietari di un negozio, fanno i lavori più umili e faticosi. Mi fa capire che il lavoro destinato agli extracomunitari è quello duro, spesso a nero: da fare ce n’è e c’è da farsi il culo. Per questo lui ha cercato l’indipendenza nella sfera del guadagno. Dice che la competizione del mercato arriverà anche per lui e che porterà i colori del suo paese. Fatima e il marito ci salutano e se ne vanno. La famiglia di Mahmood è rimasta in Pakistan: lui non sa ancora se tornerà o se farà venire la moglie e i figli, una volta superato il « casino » burocratico che li tiene lontani. Federica chiede dei rapporti con la gente di qui: tutto bene. Dice che prima di venire a Bolzano è stato tre mesi a lavorare a Reggio Emilia ma sia il lavoro che gli ambienti di vita erano troppo degradati. Nella nostra provincia sono soprattutto gli affitti a fare paura: a Merano pagava settecentomila lire al mese per un appartamento di sedici metri quadrati, nel quale avevano tirato su anche un bagno. Poi c’erano le spese condominiali. Difficile trovare casa Adesso è
in affitto a Laives (pochi chilometri a sud di Bolzano) ad un costo sempre
troppo alto. Dice che tutti i pakistani fanno fatica a trovare casa, che
vivono addensati come sardine nei pochi appartamenti disponibili, affittati
sistematicamente a prezzi da iniquo canone.
Molti anche i clienti italiani Entriamo. Al
banco due clienti ordinano carne fresca di manzo e agnello. Naeem è
gentile. Spiega che lui macella gli animali a norma di legge ma sgozzandoli,
come vuole la tradizione musulma-na. Mentre parla, lavora. Intanto arriva
altra gente. In tutto almeno cinque clienti. Chi guarda e chi chiede. Lui
parla con me e Federica, miscelando consigli in pakistano ai clienti. Entra
uno, ha il passo deciso. Si avvicina all’unico spazio vuoto a destra del
banco. Gli chiede subito qualcosa. Naeem gli risponde mentre continua a
servire un’altro cliente e mi spiega che coi suoi fratelli ha anche un
banco di frutta e verdura in piazza Erbe. L’ultimo arrivato è insofferente
e, forse con arroganza, forse a ragione, dice che lui è venuto per
comprare e non ha voglia di rispondere alle nostre domande. Meglio guardare
gli scaffali. Dove «Creme of Nature», tinta per capelli con
bellissima ragazza pakistana che ti guarda, è collocata in posizione
dominante, ad ordinata distanza dai borlotti de Rica e dal pesce gatto
aromatizzato in una salsa indecifrabile. Intanto arriva altra gente. Meglio
andare via. Federica è d’accordo, Naeem dice che se passiamo dopo
le otto lui ha tempo. Ok, a dopo.
Farrukh dall'università al bancone «Frutta
questa attività?». Dice che hanno iniziato da poco e che va
abbastanza bene. Un pesante ostacolo sono gli affitti proibitivi. Farrukh
racconta la sua storia. Era venuto in Italia per iscriversi all’Università
di Padova ma la sua domanda era stata respinta per l’inadeguatezza del
titolo di studio acquisito in precedenza. Aveva allora abbandonato quel
programma ed era venuto a Bolzano dove ha fondato con Gilani la Società
cooperativa a responsabilità limitata «Pak International Foods»,
che ha i suoi principali fornitori in alcune imprese multinazionali.
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o | E'
la memoria del cibo e la ricderca di sapori diversi che fa proliferare
negozi dove si mescolano generi alimentari e videocassette.
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