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"Extracomunitario? Una
parolaccia che denota l'esclusione..."
La ricercatrice Geneviéve Makaping:
l'Italia soffre l'ignoranza sull'immigrazione
«Mi premeva fare una precisazione: la parola “extracomunitario” a questo punto del mio percorso la considero proprio una parolaccia. Perché nel mondo ci sono varie comunità, e nessuno ha la prerogativa di pensare di essere l’unica comunità esistente. Per cui definire gli altri extracomunitari serve soltanto a connotare la loro esclusione». Esordisce così Geneviéve Makaping, ricercatrice in tecnologia e didattica multimediale e sistemi di comunicazione all’università di Cosenza. Sappiamo
che lei ha lavorato a una ricerca sul razzismo, negli ultimi tempi.
«È emerso che nel Bel Paese si è razzisti, e più secco di così non si può dire. Però voglio anche premettere una cosa importantissima: il razzismo non è un gene. Non è che noi nasciamo razzisti, e continuiamo necessariamente ad esserlo per tutta la vita. Il razzismo è qualche cosa che si impara e come si impara si può anche disimparare, ovviamente. Certo, per disimpararlo ci vogliono degli strumenti. Strumenti che vanno dalla famiglia, agli enti, a tutte le agenzie educative. Insomma tutti dovrebbero contribuire intanto a prendere coscienza che il fatto esiste, perché se non si sa che un problema esiste non si può neppure affrontarlo». Ma ragionando sulla base del senso comune verrebbe da pensare che gli italiani, più che avere un rifiuto verso le persone di un altro colore, abbiano piuttosto un rifiuto nei confronti dei poveri. «Certo, il discorso ruota proprio lì perché il punto non è tanto il colore della pelle o il colore degli occhi. Il punto è il potere. E quando parlo del potere non intendo solo il potere politico, non solo il potere di dominare gli altri o il potere dell’informazione, ma il potere economico». Quindi da che tipo di razzismo sono affetti gli italiani? «Gli italiani sono affetti da razzismo da ignoranza, e quando dico ignoranza non lo dico come un insulto. L’Italia è uno dei paesi che ha dato più emigranti al mondo. Basta pensare che nell’America Latina ci sono più calabresi che nella stessa Calabria. Allora se gli italiani sapessero che le persone che arrivano in realtà non gli tolgono niente, potrebbero anche capire che è necessario interagire insieme». Cosa significa, allora, che l’Italia non è ancora pronta per la costruzione di una società multietnica? «Al contrario. L’Italia, per la sua storia, costituisce il terreno più fertile per fare un discorso sull’immigrazione. Ma bisogna educare le persone, e se cominciamo a farlo da ora penso che già la prossima generazione sarà molto più aperta e consapevole di quella che l’ha preceduta».
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o | Questo
articolo
è stato pubblicato sulla Rivista del volontariato Vai
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