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"Con la conoscenza reciproca calano i pregiudizi"
Testimonianze dal Veneto di una operaia marocchina e di un lavoratore senegalese
 

di STEFANO GALIERI E ANTONELLA PATETE

   Nizha Marni ha 32 anni, in Italia soltanto da due, si preoccupa ingiustamente di non parlare bene e di non comprendere altrettanto la nostra lingua.
   La sua è una tra le tante storie del Nord Est laborioso e industriale, una storia di fabbrica.
   «Vivo a Conegliano con mio marito che è italiano e che ho conosciuto quando lavoravo in Libia. Io sono marocchina. In Italia per me è stato tutto molto facile, mi sono rivolta ad un amico del sindacato e in capo a pochi giorni ho avuto tre proposte di lavoro. Su consiglio di mio marito ho scelto di andare in fabbrica dove ho maggiori possibilità di veder rispettati i miei diritti di lavoratrice. Sono stata assunta per sei mesi alla Zanussi, scaduti i quali ho ottenuto un contratto a tempo indeterminato. Nel frattempo ero rimasta incinta e ho temuto di perdere il lavoro ma così non è stato. Tuttora sono in maternità. Il mio compito è di montare le guarnizioni dei frigoriferi, la maggior parte delle mie colleghe sono italiane ma con loro non ho mai avuto problemi. Se lavori e lavori bene nessuno ti tratta male. Forse sono stata fortunata  ad incontrare le persone giuste e a venire nel posto giusto. Qui si lavora, gli straordinari non sono obbligatori ma si fanno perché tutti abbiamo gli stessi problemi e gli stessi bisogni.
   Problemi di integrazione? Io sono musulmana e mio marito è cristiano, io non mangio maiale ma non impedisco a lui di mangiarlo. Ci si rispetta. Anche questa è integrazione. Qualche volta ho nostalgia del mio paese e della mia famiglia, quando posso ci torno, magari per le vacanze ma intanto ho chiesto la cittadinanza italiana. I vicini? Non mi piacciono i pettegolezzi ma questo è tutto».

   Jidibe Abdulaje, invece, è arrivato nel 1989 dal Senegal. Tunisi, poi Palermo, poi il lavoro nelle campagne di Villa Literno.
    «Nel 1990, dopo l’approvazione della Legge Martelli ho ottenuto il permesso di soggiorno e sono venuto in Veneto. All’inizio è stata dura e le difficoltà erano tante, dal problema dell’alloggio a quello della lingua, allo scontro con mentalità diverse. Ho trovato lavoro in una ditta di metalmeccanica. In questi anni ho cambiato quattro volte il posto di lavoro ma solo perché potevo scegliere di migliorare le mie condizioni. Ora sono alla Star, dove lavoro al montaggio di cucine e forni, un compito impegnativo ma ho un contratto a tempo indeterminato. La maggior parte dei miei colleghi sono italiani».
   Jidibe Abdulaje vive in provincia di Treviso, è riuscito ad acquistare la sua abitazione e attende di potersi far raggiungere dai due suoi figli.
   «A me è andata bene ma per molti è dura, spesso non si viene rispettati e si chiede all’immigrato di lavorare più degli altri. Molti italiani poi hanno verso di noi forti pregiudizi che diminuiscono man mano che ci conoscono. Io sono rispettato dai miei colleghi e ho molti amici italiani che mi hanno aiutato ma molte cose devono ancora cambiare. Veniamo da Paesi che hanno leggi e culture come voi, siamo venuti per lavorare e non per fare gli schiavi. Io svolgo anche lavoro sindacale, perché credo  sia necessario rendere ancora più forte la solidarietà fra i lavoratori per costruire un Paese migliore».


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immigrazione
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