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Italia, alla frontiera con
i contanti in tasca. Se non li hai, non passi
La direttiva del ministro dell'interno
fissa quote minime anche per gli ingressi "turistici"
Per una singolare coincidenza, sabato 18 febbraio, le agenzie di stampa battevano la nottizia di un alra iniziativa di ordine e pulizia del ministero dell'interno, retto con cipiglio dall'ex repubblicano Enzo Bianco, proprio mentre da una stanza bruciata di una fabbrica dismessa a Legnano si estraevano i corpi carbonizzati di due bambine (sorelle), due giovani donne (la loro mamma e sua sorella) e un giovane macedone (un ex calciatore professionista cui un infortunio in Germania aveva rovinato la carriera e la vita) uccisi nella notte da un incendio (la stufetta che usavano per scaldarsi in quel rifugio improvvisato è andata a fuoco mentre dormivano). Erano scappati dal loro paese per paura della guerra, nessuno aveva il coraggio di raccontare al telefono l'accaduto alla mamma delle due sorelle, in Macedonia. Ecco, in mezzo alle notizie su questa tragedia - cui lo stesso giorno se ne aggiungeva un'altra, di due polacchi morti nel rogo del vagone in cui bivaccavano alla stazione di Napoli - spunta la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale di una direttiva del ministero degli interni secondo la quale chi vuole fare in gresso in Italia, anche solo come turista o per lavoro, deve dimostrare di possedere mezzi minimi di sussistenza. Per una permanenza da uno a cinque giorni il ministero ha deciso che non ci si può presentare alle patrie frontiere con meno di mezzo milione di lire in tasca (400 mila in caso di viaggio di gruppo). Per dieci giorni di permanenza, quota minima giornaliera di 87 mila lire. Per venti giorni, 900 mila lire totali in contanti. A parte l'assurdo di una regola che evidentemente varrà solo per una certa categoria di "turisti" per diletto o per fame (immaginiamo l'umiliazione dei povericristi costretti dalla nazionalità del passaporto a rivoltare le tasche in un ufficio doganale mentre - tra l'altro i "furbi" avranno in tasca quel che serve) e che ignora tutta una serie di meccanismi relazionali - che a differenza delle direttive ministeriali non sono carta ma carne e ossa e anime - a volte difficili da dimostrare sopratutto se la burocrazia poliziesca è rigida come spesso accade (ospitalità di amici, lavori più o meno garantiti e redditizi eccetera), colpisce il segnale che si dà con una misura che - ci spiegano - adegua l'Italia alla prassi di molti altri paesi. Viene da eccepire che - almeno - in questi altri paesi la politica dell'asilo e dell'accoglienza per ragioni umanitarie è una cosa seria. Esistono le strutture e chi chiede aiuto non viene scoraggiato come spesso accade da noi. Allora, prima rispettiamo veramente i nostri doveri internazionali (sanciti dalle convenzioni che l'Italia si è impegnata ad applicare), poi eventualmente occupiamoci del nostro diritto (ma che razza di diritto è? Non ce ne vergognamo un po'?) di pretendere che i morti di fame stiano fuori dai piedi. Del resto, che
dire di un paese che per dare la cittadinanza a un rifugiato politico pretende
non solo che siano passati cinque anni dall'attribuzione dello status ma
anche che l'interessato abbia un reddito minimo di venti milioni? O che
per un periodo interminabile pretende continui rinnovi dei permessi di
soggiorno, di anno in anno, facendo pesare anche simbolicamente al rifugiato
(in coda negli inquietanti uffici stranieri che pure dipendono dal solerte
ministro) questo suo essere un corpo estraneo nella "nostra" terra?
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o | L'Italia
entra in Europa e dopo il cioccolato pazzo ci offre anche le quote minime
di denaro in tasca che deve avere chi vuole attraversare i confini della
repubblica.
Vuoi rimanere cinque giorni? Se non dimostri di avere 500 mila lire non passi. (20 marzo 2000) |
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