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«Se la rivoluzione di ottobre, fosse stata di maggio, se tu vivessi ancora,
se io non fossi impotente di fronte al tuo assassinio, se la mia penna fosse
un'arma vincente, se la mia paura esplodesse nelle piazze...»
A Giorgiana Masi, 19 anni, coraggio nato dalla rabbia strozzata in gola. Uccisa  il 12 maggio 1977
 


    Il virgolettato qua sopra è l'inizio della poesia dedicata a Giorgiana Masi sulla lapida di ponte Garibaldi a Roma siglata con l'altra frase che abbiamo rportato.

   Il caso tragico di Giorgiana Masi è d'attualità almeno per due ragioni. 
   La prima, l'assenza di un colpevole a 23 anni dai fatti di quel 12 maggio 1977 quando una festa dei radicali nell'anniversario del vittorioso referendum sul divorzio fu proibita dalle autorità italiane e si trasformò in una giornata di terrore in una Roma blindata, come testimoniano fra l'altro le registrazioni più volta mandagte in onda in tempi recenti da Radio Radicale e da cui si evince che già nelle ore precedenti alla tragedia veniva denunciato il comportamento delle forze dell'ordine accusate poi di aver sparato alla giovane militante (siano stati poliziotti in divisa, quelli travestiti da autonomi chepre erano sul posto o altri elementi di formazioni paramilitari alla Gladio, non si sa e forse non si saprà mai vista l'aria che tira su questa ventennale inchiesta piena di insabbiamenti).

"Stronzo, spara..."

  Tra l'altro, nel libro bianco preparato dai radicali sull'uccisione di Giorgiana Masi, non bastasse il ritrovamento di bossoli riconducibili alle armi in uso alla polizia, c'è una raggelante trascrizione delle comunicazioni intercorse tra la questura di Roma e i funzionari che operavano vicino a Ponte Garibaldi il 12 maggio 1977. Una persona che ancora nessuno ha identificato ordina agli agenti per radio di usare le armi in modo più deciso ("Stronzo, figlio di puttana, fai sparare" e dopo ancora: "I cannoni, ci vogliono i cannoni.."). La parte civile chiese all'epoca, inascoltata, di individuare chi diede quell'ordine: non se n'è più saputo nulla. 

"La polizia non ha sparato"

  Del resto, in parlamento la frase storica del goveno era stata: «La Questura di Roma ha precisato che le forze di polizia impegnate nella circostanza non fecero uso di armi da fuoco...». L'aveva pronunciata il 24 ottobre 1977 il sottosegretario agli interni, Nicola Lettieri. Ed è stata usata in modo ripetuto all'ossessione, rivelandone così tutta la tragicità, come commento sonoro del filmato preparato dall'emittente vicina ai radicali Tele Roma 56 sui disordini di quel 12 maggio 1977, con le immagini dei celerini che prendono la mira e sparano, di agenti travestiti da manifestanti che danno ordini a quelli in divisa e rivoltelle che fanno fuoco più volte. Immagini forti, che confortano la teoria dell'insabbiamento quando la vicenda fu archiviata dalla magistratura (e ora il caso si è riaperto, vedremo con quali sbocchi). 

I testimoni dei colpi ad altezza d'uomo

   Da un dossier realizzato dal Centro di iniziativa giuridica Piero Calamandrei emerge che l'apparato dell'interno, ai vertici dei suoi vari livelli, si adoperò per coprire le responsabilità nell'assassinio di Giorgiana Masi, per negare ciò che altri testimoniarono: che la polizia quel giorno sparava a altezza d'uomo. Ministro degli interni era Francesco Cossiga. Quel 12 maggio, fra l'altro, a finire aggrediti e malmenati dalla polizia furono anche parlamentari della sinistra, come Mimmo Pinto, che era deputato di Lotta continua. Ma nella ricerca della verità su quei fatti si formò un muro di gomma trasversale in parlamento, in difesa di Cossiga e delle forze dell'ordine (evidentemente la ragion di stato poteva valer bene una vita inoccente...). Questo, nonostante le immagini e le testimonianze, raccolte dai radicali, di 56 persone presenti, tra cui alcuni giornalisti, che smentivano la versione ufficiale del "neanche un colpo sparato dalla polizia".

Una pistola misteriosa ma non troppo...

   Successe, anche, e qui vi risparmiamo per ragioni di spazio i particolari, che qualche giorno dopo la morte di Giorgiana Masi un netturbino trovò, guarda caso, una borsa di juta come quelle di moda fra i giovani militanti di sinistra con dentro una pistola Smith & Wesson calibro 22 e meno di un anno dopo una zelante perizia disse che, sì, poteva essere l'arma che uccise la ragazza. Poi, nel '98, per ragioni misteriose, ma non troppo visto che si riapriva l'inchiesta, ecco spuntare nel porto delle nebbie un rapporto dei servizi segreti che stabilisce l'appartenenza di quell'arma al fratello di una brigatista rossa sul quale, ovviamente, i servizi tendevano a far ricadere la responsabilità dell'omicidio (il giovane, dunque, che nel fratempo è morto, avrebbe sparato, chissà perché, a una compagna che manifestava con lui). La controperizia di parte civile, all'epoca, concluse che quell'arma non avrebbe potuto causare lesioni come quelle che hanno ucciso Giorgiana Masi, trapassata da un proiettile. Si tornava, dunque, a insistere sulla evidenza che a sparare erano stati uomini ricollegabili direttamente o indirettamente al ministero dell'Interno. Probabilmente, come hanno denunciato per anni i radicali parlando di piazza piena di fomentatori che pilotavano l'intervento violento contro una manifestazione non autorizzata ma pacifica (e qui si riparla di "strategia della tensione"), qualcuno di quegli uomini che quella sera alle otto stavano a una trentina di metri da Giorgiana Masi (poliziotti travestiti da autonomi e carabinieri in divisa) e inseguivano i manifestanti.
   Dell'ipotesi insabbiameto e menzogne nel caso Giorgiana Masi si occupa anche la commissione parlamentare sulle stragi e una ricostruzione è fatta anche nel libro dell'ex senatore Pci Sergio Flamigni "Convergenze parallele".

I manganelli del 2000 evocano quei momenti  brutali

   Fin qui, un po' di cronaca e una domanda di verità. Ma dicevamo che le ragioni per occuparsi della morte violenta di Giorgiana Masi sono almeno due. Se la prima è la fame di verità storica, la seconda è un monito sul presente, in tempi in cui al primo levar di fronti in piazza la polizia non esita a far largo uso di manganelli, idranti e spari di lacrimogeni (e pensare che forse, oggi, al governo c'è anche almeno qualcuno che allora stava in piazza con Giorgiana Masi).

  In proposito, riportiamo un breve brano di un articolo del senatore verde Luigi Manconi pubblicato dal Manifesto: "(...)  Per questo tanti giovani del "movimento del '77", diventati adulti - e diversi, magari assai diversi, da ciò che furono - continuarono a ricordare Giorgiana Masi; ma non il fatto che Giorgiana Masi di quel movimento era partecipe e che aderì a quell'appuntamento anche per motivi diversi dalla campagna per i referendum. Vi aderì per sottrarsi al divieto di manifestare, decretato dal ministro degli Interni, che aveva fatto di Roma una città chiusa ai cortei e a ogni manifestazione pubblica. E vi aderì con la generosità (e l'ingenuità) di chi riteneva la convocazione da parte del Partito Radicale, nonviolento per vocazione e prassi, una garanzia nei confronti delle operazioni di polizia (fermi collettivi e blindati a presidiare l'università). Fatto sta che, in quell'occasione, i giovani del "movimento del '77" incontrarono, seppure con una certa diffidenza, il movimento e i temi dei diritti civili. (...) Chi oggi ama "contestualizzare" la storia, per attenuare antagonismi e responsabilità, non ha avuto attenzione (caso unico negli ultimi decenni) verso quel movimento e quell'anno. Eppure sta tutto lì, sta simbolicamente tutto lì - in quel divieto assoluto di manifestare, anche per raccogliere le firme dei referendum - e in quella morte violenta (in ciò che l'ha preceduta e che l'ha seguita), la cesura che ha separato quella generazione e quel movimento dalle generazioni e dai movimenti successivi. Un anno dopo, pochi di quei giovani e di quegli studenti andarono, senza convocazioni pubbliche e quasi alla spicciolata, a depositare un fiore a Ponte Garibaldi. E, negli anni successivi, quella parte di generazione entrò in un silenzio che rivelava risentimento e senso di spossessamento".


o Ci sono molte buone ragioni, di verità e giustizia storica e di proiezione nella convivenza civile oggi, per ricordare la tragica morte di Giorgiana Masi e le accuse documentate ma lasciate cadere nella giungla degli
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