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editoriali
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Immigrazione, le crociate
dei possessori della Verità. E la via del dialogo?
Politici, preti, giornali: si fanno strada
i rètori della minaccia straniera in Italia
«I musulmani tra poco in Italia saranno il 10-15% della popolazione e metteranno a rischio la purezza dei nostri valori. Un tempo venivano per predare le nostre città, oggi hanno una parola d'ordine: sposare le donne cattoliche per convertirle all'Islam. Bisogna bloccare questo germe» (*dal Corriere della Sera del 5 marzo 2000) Haider? No. Un prete italiano, don Pierino Gelmini. Davanti a un nutrito uditorio. Lo hanno fischiato? No, applaudito a più non posso. A un incontro elettorale per la presentazione della "Carta dei valori di An", presente Fini. Le altre parole d'ordine, oltre all'allarme islamico, sostenute dal sacerdote erano colpi di motosega a ogni ipotesi di legalizzazione delle droghe: «No alla logica della riduzione del danno, no alla distribuzione di metadone e siringhe pulite» (*idem). Una linea ribadita da An, assieme ad altri snodi centrali della politica della "nuova" destra, temi-simbolo affidati ad altrettanti testimonial per presentare la Carta: centralità della famiglia e del matrimonio, lotta all'interruzione volontaria della gravidanza, legalità e ordine pubblico, Europa delle patrie, presidenzialismo, referendum propositivi eccetera. Allora, sulla questione islamica fa venire i brividi sentire quel che ha detto fra gli applausi don Gelmini. In verità, fa venire i brividi anche vedere che ancora ci si ostina nel nome di una tragica morale proibizionista a negare la necessità di politiche di riduzione del danno per strappare alla morte moltissimi tossicodipendenti; ma questo è un altro argomento che comunque può aiutarci a inquadrare il concetto di devianza, recupero, tolleranza, convivenza e diversità che si ha in certi ambienti politici e religiosi. E' possibile che mentre lo stesso Papa va in Egitto anche per dare un segnale di dialogo con l'Islam moderato, in Italia ci siano preti che si permettono invettive di tale veemenza? E per giunta applaudite? Possibile che ancora si separi con raggelante sicurezza il bianco dal nero, il bene dal male, il noi dal loro? E' quasi fuori dalla portata mentale di chi scrive una semplificazione così brutale e fuorviante delle cose: possibile che si immagini la realtà storica come proiezione di una staticità che impaurisce, che non se ne vedano i flussi dinamici, la libertà di costruire il futuro? Don Gelmini e i suoi dovranno mettersi il cuore in pace: nel futuro ci saranno in Italia sempre più matrimoni misti, ci saranno musulmani che non saranno musulmani alla maniera dei loro padri e madri e cristiani che non lo saranno alla maniera dei loro padri e madri. Tutto si muove, tutto si trasforma (per fortuna). Anche noi ci siamo lasciati alle spalle ormai con vasta indignazione le Crociate e l'Inquisizione e anche le vergognose benedizioni alle camice nere (tuttavia, mettere all'indice sembra ancora una comoda occupazione per alcuni, piuttosto che cercare di comprendere in profondità e di aiutare nell'incontro - faticoso e rischioso, certo, ma inevitabile - per scongiurare isolamenti sociali e chiusure nei fanatismi). Le logiche di don Gelmini applaudito da An sono quelle di chi, avendo un orticello prezioso a valle, davanti a una piena imprevista del fiume risponde erigendo una diga gigantesca, per salvare la sua terra e il suo sostentamento. Il risultato è che il fiume ingrossato sbatte e sbatte sulla diga fino a travolgerla in un'enorme esplosione di acqua che spazza via il contadino con il suo orto. Se invece il contadino avesse prima pensato - certo, sudando né più né meno - a costruirsi una barca sicura, a più modeste protezioni per i suoi ortaggi e al limite a far fruttare l'acqua del fiume, seguendo il cui corso magari poteva finalmente scoprire una radura più fertile a valle o un po' più lontano dagli argini... Suonare l'allarme generale al modo di don Gelmini è pretendere di risolvere con la diga il problema del contadino - innescando, in realtà, una spirale di violenza dialettica poco incoraggiante per la convivenza fra gli esseri umani presenti sul medesimo territorio - e insieme significa deresponsabilizzare ognuno di noi - cristiani e musulmani, atei e agnostici, buddisti e quant'altri - chiamati oggi alla sfida della convivenza, all'incontro e al dialogo per costruire una società aperta e pacifica. Ognuno di noi, guardandoci negli occhi e aprendo la bocca alle parole dell'incontro può assumersi la responsabilità che don Gelmini ci sottrae con i suoi anatemi. Con il suo proclama anti-Islam (che ricorda tanto la centralità nazionale del cristianesimo così cara ai partiti di destra in giro per l'Europa presente e passata) rinuncia evidentemente a ogni fiducia sull'Altro che non sia cristiano (e forse anche un po' di destra...). E sembra quasi lasciar intendere che musulmano sia sinonimo di integralista; cosa che non è. Sappiamo bene che il mondo islamico è attraversato da modi fra loro anche molto lontani di vivere la religione e il rapporto con le altre religioni. Ciò non toglie, ovviamente, che l'inserimento soprattutto della prima generazione di immigrati implichi momenti di tensione e di incomprensioni reciproche che, però, solo il confronto serio e faticoso può condurre ad approdi più o meno indolori e duraturi. L'approccio di don Gelmini, invece, è evidentemente strumentale a un più vasto discorso sul tema delle migrazioni, la religione come catalizzatore delle paure ataviche, del sangue e del suolo intesi come difesa della nostra cultura, quasi che si potesse spazzare via dall'oggi al domani o che comunque non fosse destinata a trasformarsi - interagendo all'inteno e all'esterno come già fa - nel trascorrere del tempo su questo pianeta con momenti di accelerazione e altri di stasi. Ghettizzare l'immigrato dentro l'immaginario della minaccia islamica è gravissimo. Serve solamente a alimentare le paure foriere di incomprensione e tensione, malessere e violenza (a volte, purtroppo, non solo verbale). Fa specie immaginare che don Gelmini e altre intelligenze non si avvedano della pericolosità di questa corsa all'emergenza (cui contribuiscono parecchio molti politici e mass media) che non fa che rendere più complicate le cose, getta benzina sul fuoco. E dunque anche tutti quei cittadini che dall'immigrazione e dal volto dello straniero sono più impauriti di altri, dovrebbero chiedersi se veramente l'allarme e i muri rendano la loro vita quotidiana migliore e più simile alla loro idea di normalità, o se piuttosto non sia proprio questo l'atteggiamento che rischia di scaraventare nella mischia anche il più "pacifico" e indifferente degli individui - non solo cristiani e di destra... - in difesa di un campicello che comunque sarà travolto dall'acqua. Tanto vale preparare la barca, aggiustare gli argini per quanto possibile, salvare il raccolto e seguire la corrente. Per capire che, in fondo, siamo tutti sulla stessa barca e che se chi arriva in Italia ne ha bisogno, l'Italia - economica e non solo - ha bisogno di lui (come manopera, ma sempre più spesso come intelligenza per creare o dirigere nei settori più avanzati, come l'informatica, e anche come forza propulsiva di momenti generatori del nuovo che verrà) . Resta preoccupante,
in definitiva, che una parte del mondo politico insegua queste pericolose
scorciatoie che, messe insieme con l'atteggiamento nei riguardi dei tossicodipendenti
e di altri gruppi sociali deboli o comunque devianti da una morale propugnata
a gran voce, ci aiutano a tracciare i nuovi percorsi dell'intolleranza
e dell'esclusione che a volte può assumere anche volti e atteggiamenti
all'apparenza innocui. Diversamente da quello che sembra credere la stessa
sinistra di governo, infatti, xenofobia (selettiva, ovviamente a seconda
soprattutto del censo) e intolleranza non hanno il passaporto e sono atteggiamenti
condannabili tanto nell'Austria nazionalromantica di Haider quanto nell'Italia
del disinfettante padano nei vagoni pieni di immigrati, dei calchi dei
piedi o di altre frivolezze di simil tenore. Ma una volta emessa la nostra
bella condanna - propriamente etica - chiediamoci come aiutare altri ragionamenti
e altri percorsi. Fuori dal buio della paura ma anche da un certo buonismo
sbrigativo che rischia di essere controproducente. Che cosa ci resta? La
strada dell'invito all'autoresponsabità umana, alla necessità
dell'incontro faticoso.
(Zenone
Sovilla)
(6 marzo 2000) |
o | In
Italia si ricomincia a parlare di "purezza dei valori" nazionali. La cosa
è preoccupante. Tanto più se si osserva, sui principali giornali
(anche il 6 marzo in riferimento alle sparate di don Gelmini) , una deriva
di molti editorialisti che sembrano accettare il confronto sul terreno
proposto dai rètori della minaccia. Allora ecco che l'Italia, paese
che ha a che fare con numeri sull'immigrazione che impallidiscono al cospetto
di altre situazioni europee (come Germania, Francia, Austria, Inghilterra),
viene chiamata dalle colonne di grandi giornali a riflettere sul da farsi,
sulle barriere possibili, sulla selezione degli immigrati in base alla
loro compatibilità culturale con l'Italia e così via rimasticando
le logiche del pensiero dominante e della morale unica. Ci piace, invece,
immaginare una società dove il punto fermo sia l'etica della responsabilità
prima di tutto individuale, l'obbligo per tutti del rispetto della libertà
altrui di vivere secondo le sue aspirazioni in un quadro di reciproca tolleranza.
Posto questo limite etico invalicabile del rispetto di tutti, ognuno sia libero - se lo crede - di percorrere i sentieri della sua morale, senza pretendere di imporla agli altri e senza volgerla a loro danno. Ogni discussione che ammicca alla morale unica, invece, fatta magari anche con richiami al pensiero liberale (qualcuno oggi sui giornali ha parlato per esempio di libera scelta di emigrare da una società democratica ma non di un'altrettanto dovuta disponibilità a ricevere immigrati, cosa tra l'altro logicamente incoerente: dove si emigrerebbe se tutti la pensassero così?), appare una debole e forse anche comoda connivenza con chi, alla ricerca di scorciatoie fuori dallo smarrimento, indica la tragica via delle nuove crociate. |
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