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pensieri
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L'Italia è il Far
West. Gli immigrati i banditi, noi lo sceriffo
Indagine Censis: delinquenza comune nemico
numero uno. Grazie a politica e mass media
Ci siamo. Ormai, stando all'ultima indagine diffusa oggi dal Censis, gli italiani si sono convinti di vivere nel Far West più profondo e che la colpa è soprattutto degli immigrati. Politica e mass media hanno ottenuto il risultato di catalizzare le inquietudini e le paure che, in realtà, trovano solo una parziale giustificazione nello stato delle cose in fatto di (micro) criminalità. E' facile alimentare quelle paure, cavalcarle per vendere giornali o comprare voti. E' più faticoso fare ragionamenti sulla complessità sociale, disaggregare i dati, riportare un fenomeno alle sue dimensioni vere piuttosto che lasciarlo alla lente d'ingrandimento dell'immaginario utile a distrarre l'opinione pubblica da altre e assai più reali emergenze. Le perdite da microcrimine in termini di vita umana - malattia e morte - oltre che pecuniari e psicosociali non sono paragonabili a quelle sistemiche derivanti dal modo in cui si produce, si consuma, ci si muove nella nostra società. Stiamo parlando di decine di migliaia di morti evitabili derivanti da precisi meccanismi del "libero" mercato. Questo solo per porre in evidenza la sproporzione dell'allarme microcriminalità rispetto ad un quadro di aggressioni sociali assai più generalizzate, subdole e maligne, che sono però taciute o quando vengono raramente denunciate sono trattate quasi con fatalismo, come se non ci fosse nulla da fare (certo, c'è poco da fare se non si mette in discussione il paradigma liberista). Non staremo qui a dilungarci sul tema: in Nonluoghi il lettore può trovare abbondante materiale in proposito. Vogliamo solo osservare che la microcriminalità nemico numero uno degli italiani (ma delle mafie com'è che si parla sempre meno?) sembra presentare anche un aspetto grottesco: le diseguaglianze sociali (di reddito innanzitutto) alimentano la microcriminalità che colpisce e induce le vittime potenziali ad attrezzarsi (il Censis segnala anche il boom di allarmi, porte blindate, bunker casalinghi eccetera) alimentando il business del settore e dunque il libero mercato che con i suoi meccanismi di esclusione ai vari livelli catalizza la microcriminalità. Nel frattempo il ministro Bianco potrà insistere sulla tolleranza zero. Fini potrà ripetere che il clandestino va buttato fuori perché potenzialmente criminale. E poi un giorno il ministro Fassino ci spiegherà che l'impresa privata potrebbe rendere più razionale la gestione dei servizi nelle carceri. E così la criminalità si inserisce a buon "diritto", come altri fenomeni, nel circolo vizioso del libero mercato e dei suoi "effetti collaterali". Intelligenza e onestà intellettuale vorrebbero che sulla criminalità si portasse il dibattito politico e massmediatico fuori del polverone da Far West per analizzare seriamente la reale entità del fenomeno, il profilo sociale dei criminali e delle vittime, i rapporti causali fra le diseguaglianze di reddito/esclusione sociale e la propensione al crimine, le strategie di intervento per prevenire tali condizioni a rischio. Questo non significa sottovalutare un fenomeno o negarne la rilevanza sociale. Significa tentare di prenderne le misure precise, evitare le dilaganti strumentalizzazioni, allargare il dibattito sulle eventuali contromisure oltre la sterile e semplicistica tolleranza zero ormai cara a destra, sinistra e gran parte degli opinion leader nazionali. E' inimmaginabile proiettare nel nostro futuro un cammino sociale sulle premesse della tolleranza zero. E' urgente costruire proposte e politiche di riduzione della sofferenza umana di ogni genere da cui dipendono anche fenomeni come la "delinquenza comune". Significa intervenire nei meccanismi economici che producono malattia, morte ed esclusione (si vedano gli approfondimenti segnalati a lato); percorrere altre strade nella lotta alla tossicodipendenza (il proibizionismo sembra favorire le narcomafie e costringere al crimine i soggetti in difficoltà che devono procurarsi le sostanze da cui dipendono); riconsiderare la questione della pena, dato che le carceri diventano per molti - scontata la pena - una prigione definitiva nell'ambiente della criminalità; smetterla di ignorare anche statisticamente i danni sociali derivanti dai meccanismi del mercato; individuare o codificare come reati comportamenti oggi "non perseguibili" che producono sofferenza psicologica, sociale ed economica, malattia e morte. Temi ostici,
problemi difficili ma obbligati. Sorvolare sulla complicazione delle cose,
invece, vuol dire far rotta verso il precipizio.
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o | La
tolleranza zero
della sinistra Il
business penitenziario
La
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I
costi sociali
Cancro
Quanto
costa
Morire
Le
retate
(20
luglio 2000)
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