di
IOLE PINTO
"Dopo una lunga ed approfondita discussione la Camera
dei Deputati ha approvato, nonostante il parere negativo del Governo,
una risoluzione proposta dal presidente della commissione esteri Occhetto
e sottoscritta da deputati di tutte le parti politiche che colloca inequivocabilmente
l'Italia tra i paesi che richiedono la revoca immediata delle sanzioni
all'Iraq e che prevede atti unilaterali di rottura dell'embargo come lo
sblocco immediato dei beni iracheni congelati nelle banche italiane e la
riapertura della ambasciata".
Così
esordisce un comunicato stampa del 21 giugno, che nei suoi toni lascia
trapelare fiducia verso un'iniziativa "buona e giusta" promossa dal
nostro parlamento.
Vado oltre,
cerco in Internet il testo della risoluzione approvato dai nostri deputati
"di tutte le parti politiche" e rimango allibita nel constatare che
quella risoluzione è incentrata unicamente sullo "scongelamento"
dei beni iracheni e la ripresa delle relazioni con il regime di Saddam
Hussein, senza che sia chiesta alcuna garanzia per l'utilizzo umanitario
di questi fondi, né sia espressa alcuna censura nei confronti di
un regime che continua a distinguersi per le sue atrocità.
In altri paesi
del mondo occidentale molte organizzazioni umanitarie che si impegnano
per la revoca dell'embargo all'Iraq si mobilitano con forza
per richiedere che Saddam Hussein ed i suoi complici vengano
processati per crimini contro l'umanità.
Uno di questi
complici, tra l'altro, è stato di recente in visita in Italia, in
occasione dell'approvazione della risoluzione parlamentare. Accolto
a Roma, ospitato da politici e giornalisti "progressisti". Accolto
persino in Vaticano. Si tratta del sig. Hammadi, uno dei responsabili
dell'eccidio di Halabja, la Hiroshima kurda, a quei tempi primo ministro
del governo di Saddam. La cittadina di 25 mila abitanti, un tempo fiorente
centro agricolo, venne bombardata per tre giorni - nel marzo del
1988 - con armi chimiche fornite dalle nostre multinazionali: iprite, sarin,
tabun, fosforo bianco: 6500 persone morirono all'istante. Gli effetti devastanti
di quei bombardamenti segnano ancora oggi tragicamente i sopravvissuti.
I nomi delle
multinazionali che fornirono quei veleni a Saddam Hussein non sono mai
stati resi pubblici dall'ONU.
Continuo l'approfondimento
in Internet, e scopro che in totale la questione kurda è stata citata
solo quattro volte nel corso della discussione, da Vito Leccese (Verdi),
Giovanni Bianchi (Popolari e Democratici - Ulivo), Marco Pezzoni (Ds),
Pietro Armani (AN).
Mi accorgo con raccapriccio
che quegli interventi sul genocidio dei kurdi iracheni sono caduti nel
nulla e se ne è persa l'eco nel testo della risoluzione che
è poi stata approvata. Ciò significa che quell'enorme tragedia
umana è considerata tutto sommato "irrilevante" dai nostri deputati
"di tutte le parti politiche".
Tragicamente
dimenticate nella risoluzione -.che pure esprime intenti di solidarietà
verso i civili iracheni - i venti milioni di mine antiuomo, per il
90% di produzione italiana (Valmara) presenti ancora oggi nel territorio
del Kurdistan iracheno: vennero qui disseminate nel corso della atroce
campagna di sterminio perpetrata dal 1975 da Saddam Hussein contro i kurdi.
Campagna che fu poi dal 1987 legittimata come guerra santa contro gli infedeli
e battezzata con nome sacro tratto dal Corano: "Al Anfal" (il bottino:
ti interrogheranno riguardo al bottino e tu rispondi loro: il bottino appartiene
a Dio).
I 20 milioni
di mine antiuomo sono rimaste lì, a mutilare orrendamente i bambini
che giocano nei campi, i contadini che cercano di ripiantare il grano,
gli animali al pascolo.
Più
di duecento di civili al mese sono le vittime, curate negli ospedali di
Emergency, l' organizzazione fondata dal chirurgo italiano Gino Strada.
Non una parola sullo sminamento:
la risoluzione ritiene di maggior rilevanza sotto il profilo della solidarietà
la costituzione di un istituto di cultura italiana a Baghad, che viene
invece espressamente citato nel testo!
Preoccupante il testo
di questa risoluzione, perché preoccupante è ogni strage
passata sotto silenzio, perché preoccupante è la perdita
di memoria storica per vicende così vicine.
Non dimentichiamo
che dopo la guerra del golfo il genocidio dei Kurdi è continuato
in silenzio nella regione "autonoma" del Kurdistan iracheno, dove le armi
fornite dal nostro occidente ad uno dei regimi più sanguinari che
la storia dell'umanità ricordi hanno continuato a colpire la popolazione
civile, dove è continuata ed è ancora in corso l'atroce
pulizia etnica della provincia petrolifera kurda di Kirkuk, rimasta sotto
il ferreo controllo del governo iracheno, con l'espulsione degli abitanti
di interi villaggi, rastrellamenti, impiccagioni.
Non dimentichiamo
che fu l'italiana BNL a fornire al regime iracheno i "prestiti all'agricoltura"
costati migliaia di miliardi ai contribuenti italiani e utilizzati per
continuare a fornire micidiali armamenti a Baghdad, con l'attivo interessamento
del governo degli USA, quando, dopo le stragi chimiche di Halabja e del
Badinan, il Congresso americano aveva deciso di sospendere i finanziamenti
al dittatore iracheno.
Non dimentichiamo
che quando nel 1975 l'Italia vendeva mine antiuomo a Saddam Hussein si
sapeva benissimo che quelle mine sarebbero state usate per lo sterminio
dei Kurdi: la guerra Iran-Iraq cominciò tre anni dopo.
' Su troppe stragi
comporta il silenzio la falsa solidarietà espressa da questa raccapricciante
risoluzione.
Me ne scuso
con Karovan, partorito durante l'esodo da Halabja da una madre che non
ce l'ha fatta, avvelenata dai gas nervini delle nostre multinazionali.
Oggi Karovan ha 12 anni e vive nell'orfanotrofio di Arbil.
Me ne scuso con le
migliaia di Karovan che sono stati dimenticati e che vivono oggi nel nord
dell'Iraq, isolato ed inaccessibile, dove il silenzio ammazza ancor più
delle mine e dell'embargo.
Per loro, forse,
nessuna voce si alzerà mai per chiedere scusa.
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o |
L'appello
al Parlamento
Il
viaggio
in
Kurdistan
La Hiroshima
curda oggi
La
città di Halabja
fu
bombardata
nel
1988:
la
morte
continua
ora
nel
silenzio
con
danni
genetici
che
mettono
a
rischio
la
riproduzione
ma
che
sono
ignorati
dalla
comunità
internazionale
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