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Curdi a Roma: "Ma allora
era meglio non venire in Italia..."
La testimonianza e la dignità di
esuli accolti malamente
fuori dalla città lungo via Boccea ma la strada è trafficata, come sempre. I lavori della metropolitana che raggiungeranno la zona e, si spera, decongestioneranno il traffico vanno a rilento. Alle dieci ci aspettano degli esuli curdi. Arriviamo nel la casa di accoglienza che il Comune gli ha messo a disposizione. Si tratta di un edificio in cortina rossa dall’aspetto dignitoso. Qui ci sono circa 51 curdi e occupano delle ampie camerate con i letti a castello rossi, I loro profili mediterranei pelli scure come al sud dell’Italia rivelano aria serena e modi urbani, nonostante l’etichetta livoglia montanari. Il marocchino che traduce in italiano l’arabo è la voce fissa della nostra conversazione che inizia sempre con un «dice». Sono arrivati da Lecce, erano 500. Da lì alcuni li hanno speditia. Quasi tutti hanno trova to alloggio qui nella casa di prima accoglienza di Casalotti. Vanno in giro a cercare lavoro. «Dice lui che qui a Roma è difficile e che su. invece al Nord altri hanno già trovato lavoro e sono stati messi in regola». S’informano per il lavoro e così gli scrivo su un pezzo di carta l’indirizzo di qualche smorzo (vendite di laterizi e materiali per l’edilizia) e gli consiglio di farsi trovare la mattina presto lì davanti per chiedere se servono operai. Poi iniziano a parlare della loro storia per spiegare l’oggi. «Nel 1946 è nato il partito democratico del Kurdistan (Pdk) di Mustafà Barzaui. Nel 1961 c’è stata la prima rivoluzione poi dal marzo 1970 le trattative. Nel 1974 è stata negata l’autonomia e di seguito ancora una rivoluzione. NeI 1975 è venuto meno l’appoggio dell’Iran a causa degli accordi Iran-Iraq e così la questione curda non ha avuto più protezione». Traccia le tappe di una storia fatta da subito di contrasti. Faccio confusione. Ma il Pdk e il Pkk in che cosa sono diversi? “Il primo chiede all’iraq e il secondo alla Turchia e pur chiedendo tutti e due l’autonomia fanno battaglie separate, politiche assolutamente divergenti”. Prendono le distanze, perché il Pkk di Ocalan (partito dei lavoratori del Kurdistan) ha fama di violenze. Ma su che basi poggia la richiesta di autonomia? «Prima di tutto sulla lingua. Noi parliamo il curdo comè prima lingua. Poi la forma dl governo. Noi vogliamo avere un governo non dittatoriale ma democratico». Raccontano di Saddam e della morte. “La strage del gas nervino ai tempi della guerra del Golfo non era niente al confronto delle tante altre sofferenze. Ci sono villaggi dove sono sopravvissuti solo donne e bambini. Ci sono 182.000 persone che sono sparite nel nulla». Si tratta di tragedie simili a quanto avvenne in Argentina o in Cile. Persone prelevate a casa un giorno e mai più ritornate. Un uomo basso e tarchiato che poi rivelerà di essere cattolico non sta nella pelle: «Gli americani ci hanno sempre sfruttato, quella loro è una guerra interessata, una guerra del petrolio. Di noi non frega niente a nessuno». Oggi è saltata
la lezione d’italiano. “Non è per niente facile”, ci dice l’operatrice
del Comunedi Roma, Fedenica Di Pietrantonio, “ perché loro non hanno
il nostro stessi sistema di segni».
Poi ci legge una poesie.
Su Roma: «Bella che Roma», ripete ogni tanto, I versi
vengono traslati dal curdo all’arabo e da lì all’italiano grazie
al nostro amico «di Marocco».
Roma, marzo
1998
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o | Una
mattina a farsi raccontare la vita da profughi di un gruppo di curdi a
Roma. Il dolore dell'esilio, la rabbia di una acco-
glienza insufficiente |
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