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"La mia vita distrutta in carcere"
L'Associazione Africa Insieme diffonde il racconto di Ihmed, sette anni nelle prigioni sarde
 

   Ihmed e' uscito dal carcere di Isili, Sardegna, 15 mesi fa.
Dopo sette anni di carcere si e' trovato libero in mezzo alla campagna sarda.
Dai 21 ai 28 anni ha percorso undici istituti di pena, per finire nelle colonie di Mamone, Fiaccavento, Isili.
   Nessuna visita, nessun permesso, nessun beneficio: gli anni, che potevano
essere cinque, sono diventati sette.
   La prima condanna, per droga, da incensurato ancora ragazzo, si e' portata
via un quarto della sua vita. Il 'trattamento' (cosi' chiamano il percorso penitenziario individualizzato per favorire la rieducazione e il reinserimento) per lui non ha funzionato: o forse si', a rovescio.
   Dai suoi racconti non voluti, spezzoni di frasi, domande ripetute e continue in momenti diversi, emerge una realta' conficcata nella mente: la violenza continua, la reazione immediata di difesa, l'orgoglio di aver resistito, di essere uscito uomo, a fronte alta, senza diventare mai un "infame".
   Ma non ride e non scherza piu'. 
   Si porta a ricordo un ciuffo di capelli diventati bianchi in una delle tante notti di solitudine e paura.
   Il suo corpo e' segnato di tagli e bruciature. Un linguaggio che nessuno ha cercato di capire. Dopo tanto tempo l'educatrice del carcere di San Gimignano ricordava ancora Ihmed: "esprimeva una grande sofferenza", mi ha detto un giorno.
   In quel carcere Ihmed aveva espresso la sua sofferenza dando fuoco alla
cella, con se stesso chiuso dentro. Risultato: ancora isolamento e poi trasferimenti, in carceri sempre piu' punitivi.
  Un po' di psichiatri della colonia di Mamone hanno lasciato, anche loro, cicatrici e ferite. Nel vuoto delle relazioni e degli affetti "l'osservazione scientifica della personalita" costruisce il proprio oggetto, cosi' come l'istituzione ha deciso.

   Ihmed, alla notizia degli arresti di guardie e dirigenti dei carceri sardi, non ha brindato e non ha neppure sorriso.
 Ricorda Mamone e dice: "Quel carcere deve chiudere, fanno del male e basta.
Uno esce troppo peggiorato. E' un carcere di punizione. Eravamo obbligati a portare pantaloni tutti uguali, dati dal carcere, anche per andare a parlare con l'educatore o il medico o con la criminologa. Dicevano che erano pantaloni da lavoro, ma era una scusa, pochi lavoravano, gli altri sempre chiusi in cella. Nelle celle stavamo anche in dieci-quindici, in letti a castello. All'aria camminavamo in tanti in un piccolo spazio, con le guardie. In terra c'era il cemento e le pareti di muro.
   "Una scatola senza coperchio. Tanti sono stranieri, lontani, abbandonati da tutti.
Le guardie trafficano. Il medico e' come un secondino. Ha un mare di segreti dentro di se'. Non dice quello che ha visto. Quando sono arrivato mi hanno detto che un marocchino era morto: lo avevano picchiato e mandato in isolamento.
Li' lo hanno trovato impiccato, gli mancava poco a fine pena. Tutti dicevano che era morto di botte e che poi lo avevano impiccato. Non so se sia vero, non so se hanno fatto un'inchiesta. Ma quando tutti dicono cosi' vuol dire che la cosa e' possibile.
   "Una volta ero tutto ferito di colpi, pugni e manganellate: hanno detto che
ero caduto dalle scale e il medico ha finto di crederci. Poi mi hanno messo in isolamento. Ero nudo e faceva molto freddo. A Mamone anche nelle celle sembra di essere in mezzo al vento. Io cercavo di ripararmi e riposarmi dietro un tavolo fissato alla parete. Il secondino entrava e mi faceva rimettere in piedi al centro.
Poi, dall'alto, mi faceva arrivare addosso acqua gelida.

   "Mi avevano picchiato in undici, in particolare uno, grosso. Mentre mi picchiavano dicevano che non sarei uscito vivo. Ma io dicevo non muoio, ho la pelle dura e non dimentichero' la faccia di chi mi picchia.
   "Sono stato mandato a Fiaccavento: mi hanno trattato male. Era un carcere di internati. Li' la gente pensa che non uscira' piu'. La pena si ripete e si raddoppia.
Poi sono tornato alla centrale, a Mamone. Poi sono stato trasferito a Isili. Tanti episodi non li ricordo bene. Ricordo a Pianosa, verso il 94/95. So che il carcere poi e' stato chiuso, quelli del 41 bis o del 416 stavano molto male. Io una volta avevo bevuto, troppo. Le guardie mi hanno detto di seguirle che mi avrebbero portato in
infermieria per farmi passare l'effetto dell'alcool. Sono andato con loro e loro hanno chiesto al medico di farmi un'iniezione. Subito dopo non avevo piu' la forza di muovermi, cosi' hanno potuto sfogarsi su di me che ero come incollato.
Si sono divertiti, perche' io non potevo rispondere.

   "Tante volte avevo chiesto un permesso. Non ho mai avuto neppure un'ora, in sette anni. Non avevo parenti che mi venissero a trovare, dalla Sardegna non ho mai
potuto telefonare. A Livorno quando ho chiesto un risposta alla mia domanda di permesso (mi avrebbe ospitato una suora) l'educatrice mi ha chiamato e con il mio
fascicolo davanti mi ha detto "ma come si permette, lei e' un delinquente....".
   Altri, direttori, brigadieri, educatori mi promettevano dei permessi, per tenermi buono, ma lo sapevano che non me li avrebbero dati. A Isili, poco prima di uscire - fine pena - mi e' arrivato ancora un rifiuto alla mia domanda di permesso.
Ho buttato in terra il foglio davanti al Direttore. Lui mi ha ordinato di raccoglierlo.
Ho rifiutato, ho detto che non avevo piu' bisogno di niente e l'ho ringraziato.
   "Poi, sono uscito. Ho lasciato la porta del carcere di Isili il 20 Gennaio.
Ero in mezzo ad una campagna di pietre, fredda e lontana. Avevo trecentomila lire, e nessun documento. Non mi hanno mai restituito i documenti personali che avevo al momento dell'arresto, ad Arezzo, sette anni prima. Uscendo dalla colonia di Isili avevo solo l'ordinanza di liberta' controllata a Pisa, con obbligo di dimora ad un indirizzo datomi da un compagno di cella.
   "Senza quell'indirizzo sarei rimasto dentro ancora un anno: debbo 40.000.000
allo Stato italiano per la lunga ospitalita' dentro le sue carceri".
 

Isa Ciani - Giuliano Campioni
Associazione Africa insieme

o Riportiamo la testimonianza
di un ex detenuto 
nelle carceri 
sarde, già pubblicata
in Internet
dall'associazione Africa Insieme
di Pisa,
che abbiamo ricevuto
attraverso la mailing list di Peacelink

Africa Insieme
Via Garibaldi 190 56100 Pisa 
tel.050544277
fax 050973697 
Info e-mail
 

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