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i libri

Dentro le carceri d'Italia
I volumi della psicologa Lia Viola Catalano e di Paolo Severi
 

di MARTITA FARDIN

    "Latitanza a Rebibbia" (Edizioni Beta, 136 pagine, 20.000 lire) è il diario confessione di una psicologa del famoso carcere romano, Lia Viola Catalano. È un libro semplice e duro, che fa riflettere. Sono le voci dei detenuti, raccolte durante i colloqui dell’autrice, che riempiono le pagine di questo diario-confessione. Storie di violenza, di omicidi, di pentimenti e non, di sensi di colpa, di frustrazioni represse, di infanzie infelici, di analfabetismo, di stupri e di massacri. E poi di droga, di terrorismo, di spaccio e così via.

   Queste le colpe di una popolazione carceraria che si agita dentro il penitenziario di Rebibbia, che latita dalla famiglia, dalla società, dagli affetti. Tutto è restato fuori. Il tempo scorre. Solo dentro una cella i detenuti finiscono per perdere la reale cognizione del tempo, il fluire degli eventi e i cambiamenti di fuori. Loro, i carcerati che vivono un’esistenza scandita dai tempi della coercizione, di cui la psicologa rende però la drammaticità di vite distrutte in modo asettico. Ecco alcuni esempi.  Marcello: capelli lunghi, viso magro. Uno che aveva militato nella lotta armata di sinistra, da cui poi si era dissociato, perdendo la compagna e il figlio. Marcello è l’emblema del più radicale rifiuto delle regole della casa circondariale, ma è soprattutto l’esempio più clamoroso delle difficoltà di un detenuto ad inserirsi nella società, una volta fuori. Tanti carcerati dopo vent’anni di carcere non vogliono più andarsene: hanno ormai identificato quella realtà coatta, come la loro unica realtà. Francesco, addirittura, un uomo di cinquant’anni, rinchiuso da più di venti, è la personificazione di questa ansia post-detenzione portata all’estremo. Una volta fuori, farà di tutto per essere nuovamente schiaffato in carcere. Fallito ogni tentativo e condannato agli arresti domiciliari, si suiciderà.

   Un altro libro sulle carceri italiane, fresco di stampa, è “231 giorni” di Paolo Severi, con la prefazione di Dario Fo e Franca Rame (Frontiera editore). È un diario “di prigionia” raccontato all’autore dello scritto, da Paolo Severi, ex tossico passato da S. Partigiano al carcere, sotto forma di confessione, ovvero cronaca  di un incubo 381 giorni in una cella.

   Riportiamo alcuni dei passi più significativi: “Riccione 20 novembre 1999. Benvenuti all’inferno, in pochi giorni ho ricevuto la proposta di prostituirmi, di gestire un giro di prostituzione maschile, di droga, di avere qui dei rapporti sessuali con un energumeno arabo in cambio di eroina….il carcere è probabilmente uno dei posti migliori per organizzare bande criminali. La violenza istituzionalizzata naturalmente conforta e conferma il recluso nei suoi propositi delinquenziali: rabbia e frustrazione sono il pane quotidiano del detenuto. Di fuori non gli resta altro che attuare la rapina progettata nelle passeggiate interminabili. Chi delinque dopo il carcere si sente legittimato moralmente a farlo. Se il carcere fosse umano paradossalmente non risponderebbe alle esigenze di una società che non vuole recuperare nessuno. Il carcere deve imprimere una sensazione di terrore ed oppressione..penso a chi finisce qui per errore, ai ragazzini che entrano per qualche grammo d’hascich, per loro l’impatto deve essere terribile”. Come ha fatto Paolo Severi ad uscire incolume da quell’inferno di microcriminalità?
“Mi sono aggrappato alla lettura. Studio scienze politiche all’università. Questo mi ha impedito di farmi le pere, dedicarmi all’alcol”. La tua paura, una volta fuori? “L’incapacità di affrontare la vita. Ma è una paura che tengo per me, gelosamente nascosta. Non la racconto a nessuno”. 


o Due libri per conoscere un po' meglio la realtà carceraria italiana.
"Latitanza a Rebibbia" della psicologa Lia Viola Catalano e 
"231 giorni" di Paolo Severi.

(30 marzo 2000)

Pena di morte: 
il caso di Rocco Derek Barnabei
 

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