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La sinistra che non c’è

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Partiamo da lontano: per esempio dal giugno 2000, quando questo sito pubblicò, per gentile concessione dell’autore, Paolo Barnard, il testo completo dell’inchiesta tv “I globalizzatori” (realizzata per Report, Raitre). Si trattava di un lavoro che svelava dinamiche e retroscena di ciò che da tempo denunciavano i cosiddetti movimenti no global, vale a dire il progressivo insediarsi del pensiero unico neoliberista, l’imporsi del dominio del mercato, della logica dell’impresa e del profitto a ogni costo. Il tutto con conseguenze nefaste per persone e gruppi sociali (salvo i ricchi che lo diventeranno ancora di più).
Di quell’inchiesta mi colpì, fra l’altro, l’atteggiamento dell’ex ministro Piero Fassino (all’epoca il suo partito era stato ribattezzato da poco Democratici di sinistra, poi levarono anche quel “di sinistra” e negli anni seguenti si è ben compreso il perché).

Di fronte alle incalzanti domande dell’intervistatore sui pesanti rischi sociali delle deregolamentazioni stabilite dalle nuove intese sul commercio mondiale, Fassino si mostrò via via sempre più irritato.  Il giornalista, sottolineando gli effetti negativi per i consumatori europei, ricordava che “questi accordi di globalizzazione hanno nomi difficili per noi, Accordo Sanitario e Fitosanitario, Barriere Tecniche al Commercio, Diritti di Proprietà Intellettuale e via discorrendo. In tutto formano 27.000 pagine di regole e codici, che hanno un potere pari al loro incredibile volume…”.
Fassino replicava a muso duro: “No! no! Il suo compito non è di indagare sui punti dolenti… In questa intervista lei enfatizza i rischi, lei fa il protezionista, io cerco di esaltare le opportunità della globalizzazione!”. Infine il ministro decise di rifiutare ulteriori domande, perché il giornalista aveva, a suo dire, “un approccio folle”.

All’epoca Nonluoghi era un sito nato da pochi mesi, soprattutto per riflettere sul ruolo democratico dei media e sul rischio crescente di un’agenda setting fuorviante e ingannevole, orientata da centri di potere economico o da alcune entità politiche con essi conniventi.

La pubblicazione nel nostro sito dell’inchiesta sui globalizzatori fu introdotta da poche righe nelle quali si leggeva, fra l’altro, “Parlare di globalizzazione neoliberista e dei suoi effetti maligni implica sempre di più la conoscenza dei meccanismi perversi (venduti per ineluttabile destino dei rapporti umani/economici), delle clientele, della disinformazione e delle bugie che caratterizzano il grande baraccone delle aziende, soprattutto transnazionali, delle istituzioni ai vari livelli e dei centri di mediazione che fanno lavoro di lobbing per ottenere per via legislativa mano libera ai cercatori di profitto sulla pelle dei cittadini consumatori (che, per esempio, grazie alla idolatrata concorrenza di mercato potranno pagare sempre meno prodotti, però, sempre più schifosi e pericolosi il cui vero prezzo pagheranno in seguito…).”

Ora, quasi vent’anni dopo, si potrebbe dire che quell’atteggiamento di Piero Fassino (poi eletto segretario del partito democratico senza sinistra nonché sindaco di Torino), rappresenta plasticamente la pervicace arroganza politica di una parte degli eredi del movimento operaio, di fronte alle avvisaglie di un modello economico fallimentare e autoritario.

Un modello che anche con il sostegno della sinistra di governo ha generato via via una crescente precarietà nella vita di gran parte delle persone (sempre più sfruttate e meno rispettate nel lavoro), mentre le classi agiate padrone del business diventano sempre più ricche (come indicano da anni tutte le indagini sulla distribuzione dei patrimoni e dei redditi) e mentre la corsa sfrenata al profitto in chiave liberista consuma smisuratamente la natura provocando malattia e morte a causa dell’inquinamento dell’aria, dell’acqua, del suolo.

La menzogna della fine delle ideologie e il grande smarrimento degli ex comunisti aveva condotto gran parte della fu sinistra su posizioni di destra (il più forte/furbo vince sempre), anziché indurla a moltiplicare gli sforzi di elaborazione teorica e di sperimentazione pratica di un altro mondo possibile. Era più semplice accomodarsi alla tavola neoliberista imbadita.

Da decenni la sinistra di governo fa troppe cose di destra, ha accolto il modello neoliberista che aveva prevedibili conseguenze sociali negative. Oggi si vedono i risultati del vuoto di rielaborazione politica alternativa. Anche nelle “roccaforti rosse”…

Troppo complicato mettersi a ragionare su come costruire tutti insieme un mondo basato non più sulla libertà tout-court per le imprese mercantili ma sul rispetto della dignità di ogni essere vivente, sull’accesso a condizioni “massime” di benessere materiale e intellettuale (compreso il diritto alla conoscenza e a una partecipazione reale, cioè non solo formale o facilmente manipolabile, ai processi decisionali democratici); su un rapporto accettabile con l’ambiente in cui viviamo (ovvero la consapevolezza politica di essere noi stessi parte della natura, oggi se va bene la viviamo come un’alterità da rispettare, se va male, cioè quasi sempre, la danneggiamo).

A farsi carico di gran parte dell’impianto critico e della faticosa elaborazione di un’alternativa sono stati solamente i vari movimenti dell’arcipelago anti-liberista, abbandonati e spesso attaccati anche da quella sinistra di governo che ha insistito a non voler capire anche dopo l’implosione liberista realizzatasi tragicamente con la crisi del 2008.

Come se quel disastro sociale non fosse stata una delle conseguenze più ovvie di un modello spietato. Come se non fosse stato ancora più urgente di dieci anni prima impegnarsi con tutte le forze per disegnare un nuovo percorso, invertire la rotta, salvare vite umane piuttosto che abbruttirle assecondando o incoraggiando i processi di precarietà e impoverimento.

Non c’è dunque gran che di cui sorprendersi se dieci anni dopo quel 2008, anni segnati da politiche di privazione che hanno favorito i ricchi, la crisi ha prodotto elettoralmente (e forse non solo) svolte a destra, neonazionaliste, individualiste, rabbiose, tanto false quanto pericolose.

In Italia a completare l’opera è stato il renzismo, fenomeno di rara insipienza e arroganza politica, completamente appiattito sul modello liberista, un modus operandi sposato con giubilo da buona parte dell’establishment della fu sinistra (anche perché l’ex sindaco di Firenze portava tanti voti, ricordate il mitico quanto effimero 40,8% alle europee 2014?). Fa niente se era tutto fumo negli occhi.

Altro che elaborare una visione di sinistra. Un orizzonte alternativo. Una rotta da proporre a cittadini sempre più smarriti e increduli.
Si è proceduto nel solco segnato dai “globalizzatori”, teorizzando una surreale equiparazione gerarchica fra l’impresa di mercato e l’essere umano, indebolendo ancora la condizione dei lavoratori, ma con qualche colpo a effetto per il “popolo” (vedi gli ottanta euro e altri bonus).
Il governo Renzi ha messo in campo politiche chiaramente di destra (dalla scuola all’ambiente passando per l’immigrazione), etichettandole come (più o meno…) di sinistra.

Altro che il cavallo vincente della sinistra. Era il cavallo vincente della destra. E ora non vince più ma si ostina a rimanere in pista, attorniato da allegri “rivali” interni che disquisiscono di astrazioni politiche mentre sul pianeta Terra c’è un ministro dell’interno che col suo alleato di governo (sedicente “post-ideologico”, enorme panzana) sta mettendo in atto politiche propriamente di destra desertificando cioè che rimaneva di una visione minimamente solidale delle cose del mondo.

Lo stesso succederà sul piano interno, con politiche ovviamente di destra (non solo la flat tax) che favoriranno ancora una volta le classi agiate in cambio di un contentino ai poveracci (cioè la maggioranza), tipo qualche decina di centesimi in più per una pizza trasporta rapidamente di notte in bicicletta da ragazzi con la laurea nel cassetto.

Di tutto ciò, dunque, porta una pesantissima responsabilità la fu sinistra, che ieri ha perso anche alcune delle cosiddette roccaforti rosse.

I cittadini che ancora ragionano alla ricerca di una via nuova e di sinistra non capiscono e probabilmente non votano più.

In crisi c’è una dimensione di democrazia e di rappresentanza, di accesso alla conoscenza e alla partecipazione legislativa.

Se Salvini ci sta vendendo tragicamente la storia folle che la grande emergenza quotidiana siano gli sbarchi di disperati sulle coste italiane, Renzi ci ha venduto per anni l’idea pericolosamente elitaria che il malessere della Repubblica dipendesse da alcune istituzioni rappresentative dei cittadini, dalle Province al Senato, che dunque andavano abolite mentre andava rafforzato il potere del governo (cui peraltro da tempo piace sostituirsi sistematicamente al legislatore).

Entrambi stanno comunque dalla parte dei globalizzatori, sia il populista che con toni da bar parla alla pancia dei poveracci (le brioches per loro sono i migranti che non sbarcano più) sia l’altro populista che con toni da televendita convinceva i deboli a tifare per i forti (le brioches erano i bonus e i selfie mentre si depistava parlando di “decisive” riforme costituzionali).

Davanti a questo scenario sconfortante ci saremmo aspettati finalmente un po’ di autocritica e di riorganizzazione del pensiero e dell’azione, specie dopo il tonfo elettorale del 4 marzo (che ha accomunato il Pd e tutto ciò che confusamente e/o ipocritamente si muoveva alla sua sinistra).

Invece, mentre Salvini predica borioso a reti unificate, il Pd non si capisce bene che cosa stia facendo.

L’unica certezza è che Renzi non si schioda di un centimetro, che non  è mai colpa sua e che non molla l’osso.
Gli altri intanto si confrontano sulle “dinamiche” interne al partito e sulla leadership.

Nel frattempo i cittadini – quelli non del tutto assuefatti ma forse rassegnati – attendono qualche proposta e visione politica innovativa che sia un po’ più seria, credibile e meno rozza di ciò che ci impone il governo di destra Lega/M5S.

Insomma, molti cittadini attendono qualcosa di sinistra. Va a finire che si organizzeranno da soli. Forse.

P. S. Fassino è proprio quello stesso che nel 2012, intervistato da Repubblica.tv, ebbe a dire con toni piuttosto supponenti: “Se Grillo vuol far politica fondi un partito, metta in piedi un’organizzazione, si presenti alle elezioni e vediamo quanti voti prende)”.

Zenone Sovilla

Zenone Sovilla

Giornalista e videomaker, creatore di Nonluoghi nel 1999, ha lavorato in Italia e all'estero per giornali e stazioni radiofoniche. È redattore Web del quotidiano l'Adige.

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