Zenone Sovilla
Sentita al bar potrebbe sembrare – a voler essere benevoli – una leggenda metropolitana; invece è realmente lo stato dell’arte del progetto per costruire un inceneritore per rifiuti solidi urbani a Trento.
Dopo un tira e molla ultradecennale, con alle spalle un bando di gara andato deserto un anno e mezzo fa e da riscrivere (si dice) in questi giorni, la Provincia autonoma non sa ancora che tipo di impianto vuole.
L’ultimo viaggio di studio del vicepresidente Alberto Pacher, ex sindaco del capoluogo, è stato in Inghilterra, questa settimana, per visitare il gassificatore di Swindon, in Gran Bretagna. Anche in questa occasione, come era accaduto in passato con le visite guidate, fra l’altro ma non solo, all’inceneritore tedesco di Karlsruhe, l’esponente del Pd ha avuto modo di apprezzare l’impianto e di favoleggiare sulle sue basse emissioni (non si sa, poi, da dove derivi e come vada contestualizzato criticamente questo dato in odor di propaganda tipica di costruttori e gestori di questi impianti).
Il vicepresidente della Provincia avrà probabilmente altri “missioni impossibili” in programma, in questo suo girovagare per l’Europa alla ricerca dell’Araba Fenice, dell’impianto perfetto da utilizzare come modello per il Trentino.
Eppure dovrebbe aver compreso, il vicepresidente e con lui gli altri “ultimi giapponesi” che difendono l’isola dell’inceneritore, che quell’impianto non esiste, che mentre a Trento si perdevano anni a stabilire che tipo di forno sia il migliore (o forse il più redditizio…) per bruciare i rifiuti, nel mondo era in atto una rivoluzione nelle tecnologie e nelle modalità organizzative di questo settore, per consentire il massimo recupero dei materiali minimizzando l’impatto ambientale e sanitario dei processi di lavorazione. Significa chiudere il ciclo dei rifiuti senza un impianto di incenerimento di qualsivoglia natura, che in ogni caso produce, oltre alle emissioni atmosferiche, ceneri e scorie tossiche che richiedono un complesso e costoso smaltimento in discarica.
Se non si vuole partire da questo dato di fatto per ridisegnare l’approccio e si continua piuttosto il tour europeo, si presta il fianco alle critiche di ipotizza che, in realtà, in Trentino non si stia cercando una soluzione razionale e aperta all’evoluzione tecnologica e industriale, bensì un modello di business che abbia ritorni economici apprezzabili (vedi la straordinaria attenzione che si ha in questi giorni in Provincia nei riguardi delle novità normative sui cosiddetti certificati verdi, cioè i denari prelevati nelle bollette elettriche di noi tutti e poi destinati anche agli inceneritori perché i rifiuti bruciati per produrre energia sono assimilati alle fonti rinnovabili: increbile ma vero).
Quanto alla versione “rigassificatore”, il lettore e il vicepresidente della Provincia non avranno difficoltà a documentarsi, consultando anche nel Web l’enorme letteratura scientifica – dagli Stati Uniti all’Europa – in materia, sulle reali emissioni di questi impianti ma anche sulla loro scarse efficienza energetica e flessibilità funzionale all’interno di una gestione innovativa.
Il punto, in ogni caso, di là dagli aspetti sanitari e epidemiologici (che pure sono rilevanti), è che oggi è assolutamente percorribile la via innovativa nel ciclo dei rifiuti, coniugando modelli orientati al massimo riciclaggio con politiche serie per la riduzione della quantità di materiali da gestire. In tutto il mondo si assiste a evoluzioni rapidissime che mettono in atto processi virtuosi aspirando progressivamente all’obiettivo “Rifiuti zero”.
Qui il dato di partenza – accanto a questa presa di coscienza – dovrebbe essere una regia operativa provinciale in grado di armonizzare i criteri adottati nei vari territori e di puntare a una raccolta differenziata spinta porta a porta e con tariffa puntuale (gli utenti più bravi nel riciclo pagano meno).
Oggi, infatti, mentre il vicepresidente Pacher visita inceneritori stranieri, in Trentino si assiste ancora a un panorama assai frammentato, con molte zone che, per esempio, praticano la raccolta con campane stradali, una modalità che espone la differenziata al rischio di un elevato tasso di impurità.
La presenza di materiali non riciclabili implica una doppia dissipazione di risorse, dato che i medesimi (per esempio le plastiche non separabili per ragioni “burocratiche”) vengono poi tolti dalla filiera del riciclo e restituiti agli enti conferitori che dovranno provvedere al loro smaltimento (sarebbe interessante, in proposito, capire quali siano i numeri reali della raccolta differenziata in Trentino e quanto pesi questa quota di “impurità” che esce dalla porta di casa e rientra dalla finestra per finire in discarica o nell’inceneritore/gassificatore/termovalorizzatore/arco al plasma…).
Un altro punto dolente è l’applicazione della tariffa puntuale, che a sua volta incentiva l’utenza a essere attenta alla qualità della raccolta differenziata, non solo alla quantità. Pochi anni fa uno degli enti che si occupano di Rsu in Trentino, l’Amnu in Valsugana, dapprima celebrò con enfasi la percentuale di differenziata ottenuta – usando i contenitori stradali – e solo pochi mesi dopo inviò una lettera all’intera utenza lamentando la scarsa qualità della separazione…
Passando proprio dalla Valsugana e con un viaggio meno faticoso e meno costoso della trasferta inglese, il vicepresidente Pacher potrebbe recarsi in una provincia vicina, a Ponte nelle Alpi (comune a ridosso del capoluogo Belluno), che tre giorni fa è stato nuovamente premiato da Legambiente come il più riciclone d’Italia.
Questo centro di oltre 8 mila abitanti, in un territorio montano morfologicamente assimilabile al Trentino, ha compiuto la sua rivoluzione dei rifiuti in pochissimi anni, partendo da una percentuale di differenziata “sporca” del 20% o poco più, sei anni fa (un altro comune della zona, Sedico, 10 mila abitanti, naviga tuttora a bassi livelli proprio perché resta ancorato al vecchio modello cui evidentemente alcuni amministratori sono affezionat).
Ponte nelle Alpi, quasi subito, col passaggio al porta a porta ha registrato un grande balzo e poi ha proseguito rapidamente verso l’eccellenza nazionale riconosciutagli già qualche anno fa.
L’assessore all’Ambiente che ha ispirato questa evoluzione si chiama Ezio Orzes ed è stato ospite ripetutamente anche in Trentino, invitato da realtà associative locali che da anni, col supporto di vari esperi, propongono soluzioni innovative che escludono l’incenerimento. Orzes spiega che quando è cominciata la metamorfosi (2006) i cittadini di Ponte pagavano 450 mila euro per lo smaltimento in discarica: col nuovo sistema, in tre anni i costi totali sono scesi del 14% e si è creata occupazione localmente con una società comunale che ha sei dipendenti e si appoggia anche a una cooperativa che ne conta altri quattro.
Oggi Ponte nella Alpi risparmia 40 mila euro rispetto alla situazione del 2006 e la raccolta differenziata è salita all’87,7 % (con una quota di impurità minima: solo il 2,5%). Ma questo comune si è posto anche il problema del residuo, dei rifiuti domestici non inseribili attualmente nella filiera diretta del riciclo. Così ha deciso di conferirli a un centro specializzato di Vedelago (Treviso) che è in grado di separare le ultime frazioni riciclabili e di avviarle al processo di recupero: il risultato è che anche il 61% (121 tonnellate annue) del cosiddetto indifferenziato viene riutilizzato. Dunque, alla fine, resta da trattare solo il 39% del 12,3% del totale dei rifiuti prodotti nel territorio.
E il bello è che questo sistema, adottato ormai da molti centri italiani, è aperto all’evoluzione tecnologica e dunque quella piccola parte di residuo del residuo è destinata a ridursi progressivamente, come peraltro spiega bene il professore Paul Connett nel suo progetto “Zero Waste Strategy”.
Adesso, per esempio, a Ponte nelle Alpi e dintorni è il turno dei famosi pannolini, che a loro volta entrano nel ciclo virtuoso.
Vicepresidente Pacher, venga a fare un giro a Ponte nelle Alpi, il passaggio glielo do io, sono le mie zone e ci scappa anche un piatto di crespelle di zucca alla bellunese…
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Il mio documentario “Civiltà bruciata. La terra degli inceneritori”