Stanno facendo discutere le conclusioni rassicuranti presentate la settimana scorsa dal’Azienda sanitaria e dall’assessore provinciale trentino Ugo Rossi, sull’impatto dei pesticidi utilizzati nel’agricoltura in valle di Non.
Si evince che si tratterebbe di un’analisi epidemiologica su base comparativa fra due distinte zone della valle, una – secondo gli autori dello studio – più esposta agli eventuali effetti collaterali dell’irrorazione dei meleti, l’altra assai meno, perché ospita poche piantagioni.
Ora, si potrebbe pensare che la valle di Non sia un caso raro o forse unico di area caratterizzata da colture intensive, con utilizzo significativo di pesticidi chimici (non dunque agricoltura biologica o biodinamica), nella quale sarebbero del tutto irrilevanti i riflessi sulla salute umana.
Dell’argomento ho già parlato in passato in questo stesso blog raccontando la storia di una gattina, riferivo di una vicenda emblematica di cui ha scritto la proprietaria dell’animale. In linea generale, reputo ragionevole ricordare che l’incidenza dei fitofarmaci sugli indicatori di mortalità e morbilità nella popolazione (impiegata in agricoltura e non) è un dato acquisito in letteratura.
Nel caso specifico della valle di Non, peraltro già oggetto da tempo dell’attenzione sociale, sarebbe utile conoscere metodologie e risultanze dettagliate di quello che, a quanto pare, è soltanto uno studio comparativo fra due territori selezionati. Se fosse davvero tutto qui, sarebbe poco e i potenziali fattori di confondimento di un simile modello basterebbero da soli per dubitare di conclusioni sommarie del tipo “tutto Ok, tutto sotto controllo”.
Se poi si considera che in questo modo si trasmette all’opinione pubblica l’ennesimo messaggio rassicurante in tema di inquinamento, qualcuno potrebbe fare due più due e iniziare a diffidare, come capita quando per rassicurare sulle polveri sottili si diffondono dati medi che risultano entro la soglia di attenzione, mentre se andiamo a vedere i picchi nelle ore di punta o nelle stagioni più a rischio – quanto molta gente respira nei medesimi luoghi “puliti” di notte o nei mesi estivi – il quadro cambia radicalmente.
I decisori pubblici e i tecnocrati spesso troppo zelanti nei riguardi dei primi sono chiamati a un svolgere ruolo di supporto alla popolazione, devono monitorare, prevenire o eliminare i fattori di rischio, non preoccuparsi se la gente si allarma e orientarsi verso interventi formalmente rassicuranti.
Non ammettere che l’agricoltura intensiva con largo uso di fitofarmaci – cioè pesticidi – è un modello problematico rischia di per sé di confondere il cittadino e di manipolarlo invece di informarlo.
Come commentava il compianto professor Renzo Tomatis (luminare dell’oncologia), il tempo di latenza di un tumore può essere di decine di anni, cioè ben più di una legislatura o due…
Perciò l’unica risorsa di fronte alle contraddizioni istituzionali è l’indignazione popolare che può produrre anche eventi straordinari, per esempio che vengono avviati meccanismi seri di controllo laddove magari erano troppo deboli.
In ogni modo, per chi vive vicino alle nuvole di pesticidi e vuole informarsi e difendersi, ecco un ottimo manuale del Wwf veneto: http://www.veramente.org/wp/?p=8505
zenone sovilla