Allora, riscopriamo che le città italiane soffocano nello smog, mentre il premier inauguratore seriale di opere pubbliche (uguale uguale, anzi, più dei “rottamati”: tunnel, libri di Vespa o domus pompeiane, fa lo stesso) si esibisce ormai quasi a reti unificate nelle quotidiane celebrazioni di sé e del Paese figo a immagine, ripresa e somiglianza.
Il ministro dell’ambiente scopre il 27 dicembre 2015 che ci vorrebbe un piano nazionale per la mobilità sostenibile, meno automobili e più mezzi collettivi. Tradotto, in realtà, si tratta della promessa di qualche milione per rinnovare il parco macchine del trasporto pubblico.
Ora, mi rendo conto che viviamo in un contesto di distrazione e superficialità generale, auspicato e indotto da una classe politica decadente/disperata e da mass media scarsamente disposti a fare il cane da guardia della democrazia e a imporre una diversa agenda delle priorità (tipo prima la salute delle persone e dell’ambiente naturale, poi – se proprio insistite – il monocameralismo imperfetto, l’ennesimo stravolgimento al ribasso del mercato del lavoro, la riforma che consolida il potere dei governi sul servizio pubblico radio-tv, giusto per citare un po’ di roba a caso).
Tuttavia, un governo che nel 2015 invita i cittadini a non usare l’automobile e che annuncia (annuncia) che bisogna fare qualcosa per favorire la mobilità sostenibile, è un governo inadeguato alle sfide dell’epoca in cui viviamo.
Un governo che preferisce occuparsi di trivellazioni petrolifere in Adriatico o di incentivare la costruzione di nuove autostrade, inceneritori, cementificazioni varie nel peggiore stile novecentesco.
Un governo che di fronte alla tragedia di una città come Taranto (e alle tante piccole Taranto d’Italia) non ha imposto una conversione industriale nemmeno per il passaggio dal carbone al gas.
Un governo che come quelli precedenti parla dell’inquinamento nelle città italiane come di un feniomeno quasi mistico, non della precisa conseguenza di politiche industriali, energetiche e dei trasporti che da decenni ignorano le richiesta dei cittadini, delle organizzazioni, degli studiosi che indicano precisi interventi legislativi per introdurre correttivi in grado di invertire la rotta tutelando così la salute e l’ambiente (e avviando pure cicli economici virtuosi in ambiti innovativi e di basso impatto sul territorio).
La classe dirigente italiana ha una responsabilità grave.
O vogliamo dire che è colpa delle belle giornate e dell’orografia?