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L’acqua come diritto dell’umanità

Zenone Sovilla

Parliamo di acqua potabile.
È sintomatico che i principi etici gettati alle ortiche dalla privatizzazione pianificata dal governo italiano non scatenino una rivolta popolare.
Ieri sera ero a Cavedine con padre Zanotelli, che inquadrava molto bene questo contesto sociale: per decenni, a colpi di pubblicità, ci hanno inculcata l’idea che l’acqua è una merce, si compra in bottiglie di plastica (che poi magari bruceremo in qualche inceneritore); adesso scatta la fase due, con una normativa, il famigerato decreto legge Ronchi approvato in via definitiva il 19 novembre scorso, che sostanzialmente obbliga gli enti territoriali ad affidare la gestione dell’acqua a imprese private o a farle entrare per almeno il 40% nelle società di servizi. Situazione, peraltro, che era già realtà da tempo in varie zone del Paese; in Trentino. per esempio, il “Comitato acqua bene comune” ricorda che Dolomiti Reti (la società del gruppo Dolomiti Energia che fra l’altro gestisce “oltre 1200 chilometri di rete idrica da cui ogni anno transitano quasi 36 milioni di metri cubi d’acqua, destinati a 81.000 clienti, in 18 Comuni trentini”, come recita il sito ufficiale della Spa) è al 60% pubblica, ma per il 40% privata, con società come la bresciana A2A che sono quotate in Borsa.

Infatti, per tornare alle parole di padre Zanotelli, con l’acqua ormai diventata l’oro blu, il diritto a dissetarsi dipenderà dalle fluttuazioni del mercato, le bollette sono già schizzate alle stelle dove il servizio è passato nelle mani delle agguerrite multinazionali del settore.
“Non è un caso se da tempo i consulenti finanziari statunitensi consigliano di orientare i grossi capitali nel settore dell’acqua”.
Ovviamente servono adeguate premesse legislative affinché nella nostra vita quotidiana entri ancora un po’ di logica mercantile, di mercificazione di tutto, acqua e aria comprese, per il benessere di pochi ricchi investitori e la sofferenza di molti che faticano a sbarcare il lunario.
I governi a volte servono principalmente a queste cose, a dare una mano ai padroni del vapore, agli avvoltoi del business più che ai lavoratori sempre appesi a un filo.

Nel caso italiano, poi, non stupirà che fra le tante menzogne utilizzate ingannevolmente per creare consenso da trasformare in voto, raccolto a chili nelle urne, si trova anche un preciso richiamo all’indifferibile adeguamento alle norme europee per quanto riguarda, appunto, l’ingresso dei privati nella gestione idrica. Insomma, si è messa una foglia di fico che quasi nessuno, specie nei grandi mass media, si è preso la briga di togliere per vedere la bugia che nascondeva: le direttive europee 92/50/CEE e 93/38/CEE riguardano, in realtà la creazione di un regime di concorrenza nell’ambito dei servizi pubblici dai quali però viene espressamente esclusa proprio l’acqua. Ogni Paese, pertanto, è libero di attribuire legislativamente al servizio idrico la “rilevanza economica” oppure di considerarlo un diritto che riguarda un bene comune cui si deve assicurare a tutti i cittadini il massimo accesso alle condizioni più favorevoli.
Qualche anno fa lo stesso Parlamento europeo ha dichiarato l’acqua un diritto dell’umanità (sconfessando peraltro la linea iperliberista  della commissione Ue emanazione di governi nazionali in larga parte al servizio del mercato più che delle persone).
Il governo Berlusconi/Bossi ha stabilito, dunque, che l’acqua ha rilevanza economica; per parte sua il Pd, in Parlamento, si è messo a cavillare per dire che, sì, l’acqua è un bene comune, ma la sua distribuzione vada pure data ai privati: qualcuno, poi, dovrebbe spiegare alla gente che differenza fa, specie ai meno abbienti che un giorno si vedranno recapitare non più la bolletta del Comune da 50 euro ma quella da 500 euro di una società con sede in Lussemburgo o di una misteriosa “partecipata multiutility” dall’acronomico simpatico con logo arcobaleno.
Per contrastare questa deriva sono in atto varie iniziative animate principalmente dai comitati acqua bene comune e da molti altri soggetti, anche istituzionali. In cima alla lista, in questo momento, c’è il referendum per l’acqua pubblica: il 24 Aprile parte in tutta Italia la raccolta firme sui tre quesiti depositati per 1) fermare la privatizzazione dell’acqua (abrogazione dell’art.23 bis L. 133/08);  2) aprire la strada della ripubblicizzazione (abrogazione dell’art. 150 del D.lgs 152/06); 3) eliminare i profitti dal bene comune acqua (abrogazione di parte del comma 1 dell’art. 154 del D.lgs 152/06).
Altre iniziative territoriali suggerite riguardano l’impegno di ogni singolo comune e di altre realtà istituzionali per conservare l’acqua pubblica o per restituirne la sovranità ai cittadini.

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