[b]Zenone Sovilla[/b]
«Io so. Ma non ho le prove», scriveva Pier Paolo Pasolini in un celebre articolo, un anno prima della morte violenta, avvenuta il 28 agosto 1975. L’intellettuale friulano si riferiva allo stragismo e alle sue connessioni con un certo potere dell’epoca: le verità inconfessabili di un Paese sempre alle prese con i molti volti dell’autoritarismo oligarchico. Oggi, un autore come Massimo Carlotto, maestro del noir italiano, ci dà una mano a immaginare un sistema di dominio versione 2011, tra politica, economia e malavita. Nel suo nuovo romanzo, «Alla fine di un giorno noioso», con il consueto stile tagliente crea un’atmosfera narrativa magnetica, scandita dai fotogrammi di un film che fa paura: la normalità della vita quotidiana in un Paese corrotto. Un clima di affarismo sfrenato, volgarità, sopraffazione, disprezzo per la gente onesta, menzogna eletta a sistema, squallidi regali sessuali. Una storia in cui ritorna il criminale «riverniciato» Giorgio Pellegrini, già protagonista di «Arrivederci amore, ciao». Attorno alla vicenda dell’ex malavitoso che si ricostruisce una vita da ristoratore nel suo Nordest, con l’aiuto di un potente politico locale, prendono corpo via via le tessere di un gigantesco mosaico del malaffare, delle relazioni pericolose e necessarie, dei depistaggi e delle banali verità di un sistema fondato sulla corruzione. Insomma quel mare di fango che spesso ci passa davanti agli occhi mentre osserviamo in tv il sorriso finto di qualche politico o industriale.
[b]Carlotto, davvero siamo messi così male? [/b]
«È un dato che, oggi, le culture criminali più elevate e raffinate per poter agire hanno bisogno di agganci con imprenditoria, finanza e politica. Per guadagnare molto rischiando poco bisogna puntare ai grandi appalti, al giro dei rifiuti, alle infrastrutture… Perciò chi si trova in posizioni di governo – ai vari livelli – riceve sollecitazioni di un certo tipo. Poi, ovviamente, c’è chi è onesto e chi no. Di certo la corruzione è un fenomeno che ha continuato a espandersi di pari passo con l’estensione territoriale e con la mutazione vissute dalle organizzazioni criminali».
[b]Ancora una volta è il suo Veneto il teatro di una scena che, però, si risolve in un ritratto nazionale. [/b]
«Come narratore di noir racconto il lato oscuro della società e, oggi, il Veneto rappresenta una sorta di laboratorio – oggetto anche di indagini scientifiche – della nuova criminalità organizzata. I miei sono personaggi di fantasia, ma la vicenda criminale è lo specchio della realtà, si basa su un’accurata lettura delle cronache locali».
[b]Anche di quelle giudiziarie? [/b]
«Sì, ma a dire il vero, ciò che ancora manca è una grande inchiesta della magistratura che metta insieme tutti gli elementi emersi via via in piccole vicende penali. A Padova, per esempio, è stato scoperto un giro di usura della camorra ai danni di aziende in difficoltà per la crisi economica. Insomma, segnali forti e precisi sono arrivati ma l’eco non va molto lontano. In Lombardia, invece, l’infiltrazione malavitosa è più evidente».
[b]E secondo lei, perché non nasce questa «madre di tutte le inchieste»? [/b]
«Resta un mistero. Di certo, negli ultimi dieci anni questa zona di confine è diventata anche una terra del riciclaggio di denaro sporco, in un intreccio perverso di mafie locali e internazionali. La ‘ndrangheta è qui da tempo e recentemente lo hanno denunciato pure i rappresentanti degli industriali veneti. Una delle conseguenze più drammatiche e palpabili di quest’epoca è il consumo di territorio per speculazioni edilizie o per opere pubbliche nate all’interno di questo efficiente sistema di relazioni».
[b]Nel romanzo, descrivendo il quadro politico in cui si muove il referente locale del partito del «capo», si fa riferimento anche ai «padanos» e ai riposizionamenti sociali in atto per adeguarsi ai nuovi inquilini delle stanze che contano. Un dualismo che conosciamo bene: ma di questi «padanos» non si dice gran che. Lei che cosa pensa dei leghisti in ambiti di governo, un momento di rottura o di possibile omologazione?[/b]
«Solo ora stanno entrando nei giri che contano davvero e già hanno avuto qualche piccolo infortunio giudiziario qua e là. Se rimaniamo al Veneto, il potere economico legato ai grandi affari resta saldamente in mano ai loro alleati e alle grandi famiglie industriali di sempre. Di certo, quando si arriva a certi giochi non esiste più nessun ancoraggio, diciamo, deologico. Ma a me interessava parlare di ciò che a livello nazionale considero il motore di un certo tipo di ?politica creativa?: la corruzione è un grave problema in tutto il Paese e in alcune aree si tratta di prassi del tutto trasversali agli schieramenti partitici».
[b]L’effetto di Tangentopoli si è azzerato? [/b]
«Ormai è chiaro che quello di vent’anni fa fu soltanto uno scandalo regolatore: la politica corrotta stava diventando troppo esosa, pretendeva tangenti del 10% e oltre. Così ne hanno fatto fuori una parte e gli altri si sono dati una regolata. Purtroppo, in Italia la corruzione non è percepita socialmente come un reato grave; lo stesso vale per l’evasione fiscale e altri comportamenti illeciti. Ci sono troppe persone che vanno in giro con un cartello appeso al collo: “corrompimi”. È un’area grigia che fa comodo alla criminalità organizzata con cui dialoga. Non va dimenticato che l’identikit del mafioso metropolitano tracciato dalla Direzione nazionale antimafia parla di un professionista laureato, completamente a suo agio in ambienti di un certo livello, dove gira anche molta cocaina».
[b]E il sesso, nel Paese del bunga bunga? [/b]
«Ormai è diventato un discorso diffuso: se ti fai corrompere senza ricevere in dono anche qualche escort, vuol dire che in realtà non vali niente».
[b]La cossiddetta «fine delle ideologie» ha contribuito al dilagare del malcostume? [/b]
«Ha reso la politica più permeabile. La perdita della passione civile spesso ha trasformato l’impegno istituzionale in una forma di scalata sociale che può diventare strumento dell’illegalità».
[b]Ma all’estero come vanno le cose? [/b]
«L’Italia è la punta di un iceberg in un’Europa in cui la corruzione dilaga. In Germania, per esempio, si è registrata una situazione preoccupante anche all’interno delle forze di polizia. In Russia (come in Cina) sono coinvolte fette del governo e dell’esercito. Il Mediterraneo è un’enorme lavatrice di denaro illecito. E nel resto del mondo non va meglio. La globalizzazione ha determinato una rivoluzione epocale: con l’apertura dei mercati circolano valanghe di soldi da utilizzare anche per corrompere. Nel frattempo è cambiata le geografia del crimine; si delocalizzano i regolamenti di conti: può avvenire in Grecia un omicidio apparentemente inspiegabile perché legato a fatti italiani. La mafia, poi, ha compreso che, data la reazione dell’opinione pubblica, non le conviene più colpire poliziotti e magistrati per difendere i suoi affari; allora cerca business sicuri in altri contesti. Il quadro che vediamo sui media non è uno spaccato completo: la realtà è molto più complessa e imprevedibile».
[b]Colpa anche del giornalismo? [/b]
«Mah, negli ultimi anni ha preso piede un utilizzo sistematico, a scopo preventivo, della querela per diffamazione. Perciò è molto complicato raccontare in tempo reale i fatti, le connessioni fra criminalità e politica. Bisogna attendere le sentenze. Il risultato è che il Paese fatica a sapere».
[b]Anche in Trentino si parla di infiltrazioni mafiose nel mondo degli affari. [/b]
«Non mi sorprende. Studio con attenzione le zone turistiche, perché i rapporti investigativi a livello internazionale dicono che il turismo è diventato anche uno strumento per ripulire e investire capitali sporchi. Le note inchieste sulla mafia russa in Italia hanno confermato questo scenario».
[b]Da dove comincia la battaglia contro questo andazzo? [/b]
«Il primo passo per fermare la criminalità organizzata è combattere la corruzione. E per farlo servono leggi avanzate, come si sta facendo in Francia, in Germania, in Spagna e in alcuni Paesi dell’Est; ma non in Italia».
[b]E la politica non compromessa? [/b]
«Ho parlato con molti politici onesti e mi sono reso conto che nel 99% dei casi non hanno la percezione del quadro clinico. Tutto sommato, l’Italia è un Paese di gente per bene che non può farsi un’idea concreta della dimensione di certi fenomeni. Però, poi, le scelte che avvengono all’interno di un sistema corrotto ricadono sull’intera popolazione. Per esempio, si può mettere in piedi un progetto nucleare per far piazzare a qualcuno costosissime tecnologie obsolete e incontrollabili. In proposito, il caso recentemente esploso in Giappone è eloquente. Anche la guerra in Iraq è stata un laboratorio della corruzione e privatizzazione di un evento bellico sul quale molti hanno lucrato. A certi livelli il corto circuito è sempre in agguato, forse inevitabile».
intervista pubblicata sull'[b][url=http://www.ladige.it]Adige[/url][/b] il 31 maggio 2011