[b]Zenone Sovilla [/b]
Una famiglia decide di vivere in campagna. Lontano dal traffico, dal caos, dai rumori e dall’inquinamento.
Tutt’attorno prati, campi e soprattutto vigneti.
Sarà un paradiso. Un ottimo contesto per mettere in pratica gli ideali di uno stile di vita sobrio e sostenibile nel rapporto con la natura. Un giorno da un filare di quell’angolo di paradiso spunta un gatto.
I nuovi arrivati si informano dai vicini di casa e scoprono che trattasi di una signora gatta abbandonata qualche anno prima da proprietari sprovveduti che si trasferivano altrove.
La famiglia adotta la micetta e la battezza Raisin (uvetta), dato che è uscita da un vigneto.
Dopo un po’ di mesi la gattina è ormai una di casa. Felice e affettuosa.
Siamo nella primavera del 2008.
Una mattina Melinda porta al lavoro il marito Matt e torna a casa dove ha il suo ufficio.
Raisin si sta facendo un giretto lì attorno al giardino. Dopo un po’ Melinda sente grattare sulla porta d’ingresso: “Strano che sia Raisin, lei di solito riesce ad aprirsela con una spinta”.
La donna va ad aprire e le appare la gattina che stramazza sul pavimento in preda alle convulsioni, il volto si contrae in modo scomposto.
Che cosa sarà? Lo spavento per il passaggio di un camion? L’incontro ravvicinato con un grande rapace? Il morso di un serpente o di uno scorpione? Oppure ha mangiato qualche cosa di velenoso?
Corsa dal veterinario.
Strada facendo le condizioni della gattina peggiorano. È sempre più debole, il corpo è bollente, non riesce a stare sulle zampe.
Finalmente Raisin è tra le mani della veterinaria. Basta un breve controllo per la diagnosi: “La gattina è stata esposta ai pesticidi”.
Improvvisamente a Melinda viene in mente di aver notato quella mattina che nei campi vicino a casa stavano spruzzando sostanze chimiche sulle piantagioni.
Poi, lunghe ora di attesa, prima della telefonata rassicurante della veterinaria: l’effetto dell’avvelenamento è stato interrotto con una serie di terapie.
La gattina è debole ma salva.
L’esperta spiega a Melinda che l’effetto dei pesticidi sui gatti, così come sui cani e su altri animali, è il medesimo che si ha sui parassiti delle piante che si vogliono neutralizzare utilizzando questi veleni.
Ora Raisin sta bene ma non può più uscire di casa e per contrastare l’effetto dei pesticidi bisogna somministrarle dei farmaci per decontrarre la muscolatura.
Questa esperienza è stata, per Melinda, la conferma della dannosità intrinseca nell’uso di pesticidi: “Quei veleni non sono necessari e in ogni caso esistono alternative valide. Le conseguenze sugli animali e sugli esseri umani possono essere gravi; ma anche il terreno viene distrutto.
Nel 2004 – ricorda Melinda nel suo blog – si stima che 71 mila bambini abbiano subito l’esposizione o l’avvelenamento da pesticidi. (…) Uno studio del Journal of Pesticide Reform (estate 2006) indica che nelle coltivazioni come mele e peperoni il 95% è contaminato con almeno un tipo di pesticida. (…) Secondo l’Us Geological Survey una quota fra il 30% e il 60% dei pozzi sono contaminati, 14 milioni di americani bevono acqua contaminata con cinque dei principali erbicidi usati in agricoltura. (…) Particelle di pesticidi inquinano l’aria anche all’interno degli edifici (…)”.
E la cosa paradossale è che, a fronte di questi drammatici effetti collaterali, osserva ancora Melinda, i pesticidi non ottengono il risultato voluto: “Più di 500 specie di insetti e di 150 tipi di funghi oggi sono resistenti ai veleni”. Al massimo si possono “curare” i sintomi causati sulle piante.
Infine, sono decine di migliaia i cani e i gatti avvelenati ogni anno negli Stati Uniti; spesso gli effetti non sono immediati o riconoscibili dai proprietari, ma colpiscono a distanza causando varie malattie.
La vicenda della gattina Raisin (nella foto) è raccontata da Melinda nel suo blog (http://1greengeneration.elementsintime.com/?p=306>) dove la donna spiega anche che quell’episodio è stata una delle ragioni che hanno spinto lei e il marito a lasciare quell’angolo della California settentrionale tanto incantevole quanto inquinato.
[img width=400]http://1greengeneration.elementsintime.com/wp-content/uploads/2008/09/raisin-lookingatcamera.jpg[/img]
Melinda Briana Epler è una cineasta e scrittrice americana che si occupa anche di agricoltura biologica, stili di vita sostenibili e tutela del paesaggio.
Il suo racconto sugli effetti dei pesticidi rispecchia una drammatica realtà di cui negli Stati Uniti, a livello federale, da qualche anno si occupa in termini di prevenzione la stessa Epa (Environmental Protection Agency).
Recentemente l’Agenzia, sollecitata dal Congresso Usa, ha adottato una modifica del protocollo secondo la quale gli agricoltori e i loro famigliari saranno trattati dal punto di vista dell’indagine epidemiologica e dei correlati interventi protettivi alla stregua di quanto già avveniva per i bambini esposti a rischi generici derivanti dalla contaminazione dei cibi, delll’acqua e dell’aria.
La svolta nella politica avviene dopo anni di pressioni dal mondo dei lavoratori agricoli e di abitanti di aree rurali, affinché si tenesse conto dei maggiori rischi sanitari cui queste categorie di cittadini vanno incontro (specie i bambini e le donne in gravidanza).
Per finire, non resta che una breve osservazione: se qualcuno ritenesse che questo drammatico fenomeno sia una questione americana, sarebbe del tutto fuori strada.
Per afferrare le dimensioni di questa faccenda e per capire se ci può interessare, basta guardarsi un po’ attorno con attenzione.
Ciò fatto, ci si può chiedere quale sia il ruolo delle nostre “agenzie” e dei nostri “congressi”.
[b]Articolo tratto dal blog di Zenone Sovilla “La foresta di Sherwood” sull’edizione online del quotidiano l’Adige di Trento. [/b]
http://www.ladige.it/index.php?id_cat=80