[Comunicato di Nimby trentino]
Riportiamo all’attenzione di cittadini e amministratori, da Ragusa a Bolzano, le datate considerazioni di Marino Ruzzenenti sullo stato della situazione campana. Se fossimo in una Paese civile, oggi dovrebbero valere ancor più di ieri.
“Caso Campania: il misero fallimento della politica, tutta
Che persevera nell’errore!”
Se ci fosse qualcuno che ha accesso ai media, sarebbe bene dicesse l’unica verità che conta e che nessuno dice: in 14 anni di emergenza, se, invece di inseguire il miraggio degli inceneritori, si fosse fatta la raccolta differenziata, almeno per un 20% in più (obiettivo minimo), la Campania avrebbe avuto 7-8 milioni di tonnellate di rifiuti in meno collocati in discarica e oggi non ci sarebbe nessuna emergenza rifiuti!
Marino Ruzzenenti,
Brescia, 8 gennaio 2008
Già 4 anni fa, il fallimento attuale
era scritto in un Piano rifiuti sbagliato…
Dal Cap. 3 de L’Italia sotto i rifiuti, Jaca Book – Milano 2004, pp. 187-198
LA LEZIONE NEGATIVA DEL “CASO CAMPANIA”
E QUELLA POSITIVA DEL “CASO VENETO”
Campania: un’emergenza rifiuti che dura da dieci anni
Come non si è affrontata l’emergenza rifiuti in Campania
LA TRAPPOLA DEGLI INCENERITORI
In questo contesto, come già si accennava, nel 1994, appunto dieci anni fa, il Governo Centrale nominava il Prefetto di Napoli Commissario straordinario per fronteggiare la grave emergenza rifiuti.
Una prima proposta di Piano Regionale per lo Smaltimento dei Rifiuti fu redatta dall’Enea (Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente) (1) nell’anno 1995 e prevedeva ben 24 (dicasi ventiquattro) inceneritori, nonché 27 discariche di I categoria e 34 di II categoria. Fu approvato dalla Giunta Regionale in carica (2) ma non venne mai ratificato dal Consiglio Regione Campania per lo scioglimento della legislatura.
La seconda stesura del Piano regionale per lo Smaltimento dei Rifiuti, sempre redatta dall’Enea nell’anno 1996, su incarico della nuova Giunta, “per quanto atteneva gli impianti di smaltimento dei Rsu… proponeva la realizzazione di 9 inceneritori, 9 discariche di I Categoria, discariche di II Categoria – destinate anche ad accogliere degli impianti di termodistruzione – e 4 impianti per la produzione di compost verde” (3). Fu inviata – prima della sua approvazione – agli atti dei lavori della IV Commissione Regionale affinché esprimesse il parere di competenza.
Nelle more di tale esame, il Presidente del Consiglio dei Ministri con ordinanza n. 2425 del 18 marzo 1996 e, successivamente, il Ministro degli Interni – delegato al Coordinamento della Protezione Civile – con ordinanza n. 2470 del 31 ottobre 1996 nominavano il Presidente della Regione Campania Commissario Delegato per lo smaltimento dei Rifiuti, con l’incarico, tra l’altro, di redigere un piano d’interventi d’emergenza per lo smaltimento dei Rsu ed assimilabili, speciali, tossico-nocivi.
Il Piano regionale per lo Smaltimento dei rifiuti fu approvato e promulgato in data 31 dicembre 1996. Il piano prevedeva la delimitazione degli Ambiti Territoriali Ottimali per lo Smaltimento (Atos). Il territorio regionale viene così diviso in 6 ambiti territoriali nei quali erano previsti 6 stazioni di trasferenza, 7 impianti di compost verde, 10 stazioni di trasferenza, preselezione e produzione Rdf (combustibile derivato dai rifuti); 5 impianti di termodistruzione con produzione di energia elettrica e recupero del materiale non combustibile; 4 discariche per inerti, ceneri e scorie provenienti dalla combustione degli Rsu; 6 discariche di supporto ed emergenza (4), insomma un profluvio di inceneritori e discariche.
A seguito dell’approvazione del D. Lgs 5 febbraio 997, n. 22 (“decreto Ronchi”), e all’emanazione di una nuova Ordinanza n. 2560 dello 2 maggio 1997, il Commissario straordinario venne investito del compito di proceder alla revisione del Piano, per adeguarlo alla nuova normativa. La parte impiantistica venne affidata al consorzio Fibe (5), vincitore della gara per la realizzazione del sistema articolato in impianti per il Cdr, quindi per la cosiddetta “termovalorizzazione” o meglio incenerimento con recupero energetico, ed infine siti di stoccaggio definitivo per i sovvalli (scarti) derivanti dalla produzione del Cdr.
Nell’impianto Cdr arriva il rifiuto tal quale o proveniente direttamente dai circuiti di raccolta comunale o da impianti di trasferenza, ovvero impianti nel quale viene effettuato uno stoccaggio provvisorio del rifiuto che viene grossolanamente vagliato e avviato in grosse quantità all’impianto Cdr. All’interno dell’impianto Cdr su 650 kg di materiale conferito, 300 kg circa diventano Cdr, 250 kg diventano frazione organica stabilizzata e il rimanente costituisce il sovvallo, ovvero gli scarti derivanti dal trattamento, da collocare in discariche adeguate. Quest’ultimo rimane di per sé un serio problema per la difficoltà a reperire aree idonee che rispondano a caratteristiche di sicurezza e di rischio compatibili con il materiale ivi conferito. Sono quantità notevoli (per la provincia di Napoli si stima che per lo smaltimento della Fos e dei sovvalli siano necessari per lo stoccaggio definitivo circa 11.500.000 m3 e per le altre province circa 6.500.000 m3) (6).
Rispetto al quadro generale attualmente in Campania sarebbero stati realizzati sette impianti di Cdr a Caivano,Giugliano, Pianodardine, Santa Maria Capua Vetere, Tufino, Battipaglia e Casalduni.
Gli inceneritori, invece, ultimamente ridotti di numero a soli due, ma aumentati considerevolmente di dimensioni, e previsti ad Acerra e a Santa Maria la Fossa, non sono stati realizzati: anzi a tutt’oggi non è stato possibile neppure avviarne i lavori, a causa dei ricorsi legali delle comunità interessate e della resistenza irriducibile delle popolazioni. Di conseguenza la parte tecnologica ed impiantistica del sistema, che doveva occuparsi almeno del 65% per cento dei rifiuti, ma in realtà praticamente di quasi tutti i rifiuti, è andata in tilt, bloccata dal tappo finale della mancata realizzazione degli inceneritori, provocando la nuova emergenza rifiuti del 2004, aggravata anche dal contestuale fallimento della raccolta differenziata.
Infatti il cosiddetto “sistema integrato” di trattamento, sul totale prodotto in Campania di rifiuti, pari a circa 2.600.000 tonnellate anno, prevedeva che un 35% andasse nel flusso della raccolta differenziata ed il rimanente 65 % nel flusso per la produzione del Cdr (combustibile derivato dai rifiuti) e quindi dell’incenerimento con recupero energetico.
Per far fronte alla problematica dei due flussi di trattamento dei rifiuti, il Governo ha nominato un Sub Commissario per la raccolta differenziata il quale ha approntato un Piano così articolato: acquisto di attrezzature, predisposizione dell’impiantistica di trattamento e recupero della frazione umida (impianti di compostaggio) e assunzione di oltre 2000 lavoratori da impegnare nella raccolta differenziata. Il consistente investimento, che ammonterebbe a quasi 200 miliardi di vecchie lire (7), avrebbe dovuto avviare un sistema di raccolta differenziata che avrebbe reso i Consorzi di Bacino istituiti con Legge Regionale n. 10/93) artefici della gestione. Del sistema raccolta differenziata risulterebbero:oltre 100 “isole ecologiche”, 2 impianti di selezione, 2 impianti di compostaggio (Polla e Teora in corso di collaudo) oltre all’impianto in ristrutturazione di Pomigliano d’Arco e 2 impianti di trasferenza (8).
Vediamo, ora, quali sono i risultati ottenuti. Fino al Duemila non accadde assolutamente nulla: se si scorrono i dati ufficiali si vede che la produzione rifiuti pro capite era pari 434 kg/a nel 1998, salita a 443,10 kg/a nel 1999 (9) e a 449 nel 2000 (10), mentre la raccolta differenziata già minima, raggiunto il “picco” dell’1,9 % nel 1997 è tornata poi a diminuire attestandosi nel 1999 addirittura all’1,05% (11), per risalire di poco a 1,8% nel 2000 (12), anno in cui la Regione contava 5.782.244 abitanti con una produzione totale di rifiuti pari a 2.598.562 tonnellate (13).
Dopo sei anni di emergenza e di commissariamento il quadro era quindi quello di una produzione pro capite di rifiuti di poco superiore a 1,2 kg/g, apparentemente bassa, ma superiore alla media nazionale se rapportata al prodotto interno lordo, con una raccolta differenziata pressoché inesistente.
Solo negli ultimi anni, con lo stesso Presidente Bassolino in veste di Commissario straordinario, qualcosa si sarebbe mosso a livello di raccolta differenziata, raggiungendo nel 2003 un 12% circa (14), [NB oggi 2006 sono sotto il 10%] migliore ovviamente del tradizionale uno e rotti, ma del tutto inadeguato, sia agli standard previsti dal Decreto Ronchi, sia a quanto indicava il Piano regionale (poco più di un terzo dell’obiettivo, peraltro basso, del 35%). Effettivamente, dopo dieci anni di emergenza rifiuti, si può concludere che la raccolta differenziata sia sostanzialmente fallita, anche se si riscontra “una situazione molto frammentata in ogni provincia, con punte di eccellenza in alcune zone nel Salernitano (prevalentemente nei comuni ricadenti nei Consorzi Sa 2 e Sa1), nel Nolano (prevalentemente nei comuni ricadenti nel Consorzio Na3), nell’Avellinese (nei comuni ricadenti del consorzio Av 1 e Av 2, dove si sono avviate sperimentazioni per il compostaggio domestico, per altro mai seriamente decollate) e in alcuni comuni del Casertano” (15). Vanno segnalate, in questo contesto, “la brillante eccezione di Padula, 5.600 abitanti in provincia di Salerno, che con il 76,1% di raccolta differenziata è la prima città del Mezzogiorno e la quinta nella classifica assoluta nazionale” (16) dei “comuni ricicloni 2003” e, nel 2004, le performance di Bellizzi (68,95% di rifiuti riciclati) e di Giffoni Sei casali (66,34%) (17). Ciò dimostra come, laddove vi fosse la volontà politica, anche in Campania si possano ottenere risultati paragonabili alle situazioni più avanzate del Nord e che non esiste, “connaturata alla gente del Sud”, nessuna refrattarietà culturale ad una corretta gestione dei rifiuti, come sembrerebbero sostenere alcuni al Nord contrari a farsi carico in via straordinaria dell’emergenza rifiuti campana.
Secondo Legambiente Campania questo fallimento sarebbe imputabile ad una serie di fattori: “farraginosa gestione del sistema raccolta differenziata dovuta ad una vasta frammentazione degli investimenti, calata a pioggia su molti comuni che si sono visti improvvisamente dotati di attrezzature, ma impreparati e spesso scarsamente sensibili all’avvio di un corretto ed articolato sistema di raccolta differenziata; impossibilità di allocare impiantistica di supporto (a cominciare ad esempio dalla localizzazione degli impianti di compostaggio) fortemente ostacolata dalle amministrazioni locali; ritardo nella realizzazione del sistema impiantistico a valle del sistema di raccolta differenziata, che attualmente va a carico del settore privato, creando un sostanziale stallo del sistema che ne rallenta la crescita” (18). In conclusione, nel 2004, “in Campania si registra ancora una grave emergenza rifiuti, con una quantità incredibile di ecoballe da stoccare, altre da smaltire fuori regione e all’estero”, per cui sarebbe “la mancata realizzazione dei termovalorizzatori, dove bruciare le ecoballe in questione, che impedisce la chiusura dell’intero ciclo dei rifiuti”. Ma è proprio così?
Perché un decennio di emergenza in Campania
ha avuto un esito tanto disastroso?
Dopo l’esposizione del “caso Campania” sulla base dei dati oggettivi si possono avanzare alcune considerazioni, che tengano conto anche del “caso Asm” di Brescia.
I media, nell’affrontare la “nuova” emergenza dell’estate 2004, hanno dato ampio spazio al presunto ruolo della camorra e della criminalità organizzata nel fomentare le mobilitazioni popolari. Questo tipo di analisi è stato spesso ripreso a livello politico dai vari protagonisti della gestione dell’emergenza rifiuti in Campania, ed anche da alcuni settori dell’ambientalismo. L’enfasi su questo aspetto però non sembra convincente, per varie ragioni: vi si è ricorso, a volte, per mettere in cattiva luce i movimenti popolari contro gli inceneritori, con l’argomentazione che questi impianti innovativi sarebbero osteggiati dalla criminalità proprio perché eliminano gli affari illeciti delle discariche. Invece è del tutto evidente che la Campania, a causa degli ingenti rifiuti (Fos e sovvallo) rilasciati degli impianti di Cdr, ma anche delle ceneri e delle polveri degli inceneritori, avrebbe comunque sempre bisogno di discariche. Inoltre, la stessa osservazione critica è stata rivolta al movimento popolare di Montecorvino, di segno del tutto opposto, perché contrastava proprio la riapertura della discarica di Parapoti, chiusa perché gestita scorrettamente in passato e da bonificare. Possono esserci infiltrazioni criminali, come è probabile vi siano un po’ in tutta la società, non solo campana, è però difficile sostenere che il movimento popolare di Acerra contro il mega inceneritore non sia mosso da motivazioni genuine, visto che è sostenuto dal neo sindaco di Rifondazione comunista Espedito Marletta e dal vescovo Antonio Riboldi che cita un proverbio: “Dio ricicla, il diavolo brucia” (19). Del resto non si può non comprendere l’opposizione all’altro inceneritore degli abitanti di Santa Maria la Fossa, località che vede sul proprio territorio già due discariche, quelle di Parco Saurino da bonificare, nonché nei dintorni “aree oggetto di smaltimento incontrollato/accidentale dei rifiuti” (20). È la stessa situazione in sostanza degli abitanti di Montecorvino che, oltre alla discarica di Parapoti, devono fare i conti anche con quella di Colle Barone, chiusa “nel 1999 dopo vent’anni di proteste e un rapporto dell’Agenzia per la protezione del territorio che denunciava una situazione di grave pericolo” (21). Proteste, più che giustificate, quindi, che non possono essere ridotte a semplici messe in scena da parte della criminalità organizzata.
Ma questa argomentazione, dell’inquinamento della criminalità nelle resistenze popolari, è discutibile anche perché parte dal presupposto, non dimostrato, che il piano fosse e sia di per sé corretto, presupposto, come vedremo, in verità molto opinabile. Se poi ci si sposta sul piano delle responsabilità politiche, un osservatore esterno e disincantato non può non notare che centro-destra e centro-sinistra abbiano condiviso sostanzialmente la stessa gestione: il piano fu elaborato dalla Giunta di centro-destra di Rastrelli, ma poi fu gestito con convinzione da quella di centro-sinistra di Antonio Bassolino (22), finché la responsabilità è ritornata nelle mani di un funzionario nominato dal Governo, l’attuale commissario straordinario Catenacci. Del resto abbiamo visto, esaminando il “caso Asm” di Brescia, come i due schieramenti spesso esprimano su questi temi una politica bipartisan, come si usa dire. E a questo proposito dovrebbe far riflettere il fatto che anche i funzionari “non politici”, pur investiti di poteri straordinari, non abbiano conseguito sostanzialmente alcun risultato.
Proviamo allora ad azzardare una possibile spiegazione, apparentemente paradossale: forse il piano della Regione Campania è fallito, non perché non si sono costruiti gli inceneritori, ma proprio perché prevedeva gli inceneritori come soluzione portante.
Abbiamo descritto diffusamente, nel caso di Brescia, il corto circuito provocato dall’inceneritore rispetto alla raccolta differenziata ed alla produzione dei rifiuti: una realtà che pure nel passato vantava un’esperienza avanzata, ha registrato negli ultimi anni, con l’inceneritore, una crescita continua del rifiuto non differenziato (23) da mandare allo smaltimento, cioè all’inceneritore, nonostante si prevedesse nel programma originario che ad esso dovesse essere destinato solo il 30% dei rifiuti . Si può immaginare quale può essere stato l’effetto annuncio di un Piano regionale per i rifiuti della Campania che esplicitamente indicava nell’incenerimento la via prioritaria e di gran lunga prevalente: già mancava una tradizione e una cultura di raccolta differenziata, ma di fronte ad una simile prospettiva sia gli operatori istituzionali che i singoli cittadini non potevano non caricare di ogni aspettativa la soluzione “magica” e definitiva dell’incenerimento per la fuoriuscita dell’emergenza rifiuti. Esplicitamente il Piano regionale della Campania sembra voler dissuadere dalla raccolta differenziata laddove sostiene che gli impianti per il Cdr la possono adeguatamente sostituire: “Un impianto con elevata capacità di cernita e separazione dei vari materiali può certamente prescindere da una raccolta differenziata molto estesa sul territorio poiché, di fatto, presso l’impianto stesso, ed ai fini del suo buon funzionamento, una forma di differenziazione delle varie componenti del rifiuto va attuata recuperando tutte quelle parti poco interessanti la combustione. Sulla base di quanto prima detto, e non potendo prevedere con sicurezza che in tempi brevi una politica di ‘educazione e sensibilizzazione’ porti ad una elevata efficienza della raccolta differenziata, è opportuno che le soluzioni impiantistiche a tempi brevi prevedano comunque le fasi di prelavorazione dei rifiuti e del recupero di quanto non convenientemente combustibile” (24).
Ciò ha ulteriormente deresponsabilizzato sia i singoli comuni, che la popolazione, determinando le condizioni per l’inevitabile fallimento della raccolta differenziata e perché non venisse neppure abbozzata una politica di riduzione del rifiuto alla fonte. Si potrebbe inoltre adombrare un certo conflitto non certo salutare: il Commissariato, per realizzare il “ciclo integrato dei rifiuti”, ha un contratto con la Fibe (azienda affidataria della realizzazione degli impianti di Cdr e degli inceneritori), che però non contempla la raccolta differenziata, la quale resta in capo alle amministrazioni pubbliche. La Fibe non avrebbe alcun interesse a promuovere la differenziata, perché riceve dai Comuni un pagamento per ogni kg di rifiuto “tal quale” conferito alla filiera Cdr-inceneritori, esattamente come nel caso di Asm a Brescia. Lo dimostra anche il fatto che il primo convegno per affrontare di petto il tema della raccolta differenziata è stato convocato solo a fine maggio 2004 (25), dopo un decennio sostanzialmente perduto ad inseguire la chimera degli inceneritori.
Insomma, l’incenerimento, come ampiamente dimostrato nell’esperienza bresciana, si rivela ancora una volta irriducibilmente nemico della riduzione e della raccolta differenziata. Peraltro, nel “caso Campania”, lo stesso Piano presentava, anche nell’impostazione teorica, un evidente squilibrio, laddove prevedeva per l’incenerimento un quantitativo di rifiuti pressoché doppio di quello destinato alla raccolta differenziata; quindi, dopo l’approvazione del Decreto Ronchi, si sarebbe dovuto procedere ad una radicale revisione dello stesso Piano anche per renderlo in sintonia con le direttive comunitarie che prevedono la possibilità di un recupero energetico della parte residua non altrimenti riciclabile, solo se sono state rispettate le priorità (anche quantitative) della riduzione del rifiuto e della raccolta differenziata (26).
Ma i tecnocrati dell’incenerimento a tutti i costi nel “caso Campania” hanno commesso anche un altro errore, che è proprio di una mentalità manageriale e tecnicistica che prescinde totalmente dalle persone e dalla specificità del territorio inteso come storia, ambiente e cultura.
Se si ha a che fare con un territorio eccezionalmente saturo di rifiuti, scorie e liquami disseminati scriteriatamente un po’ dovunque, si dovrebbe implementare una politica orientata al “prosciugamento dei flussi di rifiuti diretti a smaltimento” (riduzione e raccolta differenziata spinta) associando e responsabilizzando i cittadini in questa impresa, magari assecondata da un riorientamento delle risorse disponibili per i cosiddetti “impianti a tecnologia complessa” verso un’azione efficace di messa in sicurezza e di bonifica degli scempi commessi in passato. Invece è stata proposta una soluzione con impianti di incenerimento, comunque intrinsecamente ad elevato impatto ambientale, che peraltro sono destinati a riprodurre all’infinito discariche, sia per conferirvi il 65% di rifiuto, originato dallo scarto della lavorazione del Cdr (Fos -frazione organica stabilizzata- contaminata e sovvalli), sia per collocarvi le ceneri e le polveri pericolose prodotte dall’incenerimento di un Cdr che risulterebbe, peraltro, di qualità scadente perché contaminato dall’organico e da altri residui anche pericolosi (27). Ma vi è un altro errore di valutazione da parte dei vari Commissari e tecnici che li hanno affiancati. Probabilmente suggestionati dal “modello Asm”, hanno ritenuto non particolarmente problematico ottenere il consenso delle popolazioni interessate ad ospitare gli impianti di incenerimento. Non hanno tenuto in conto però due fattori decisivi nel “caso Brescia” che non si possono realizzare nel “caso Campania”: innanzitutto la cultura industrialista radicata nel bresciano che vede in un impianto tecnologico capace di produrre profitto un fattore comunque altamente positivo; in secondo luogo il fatto che il comune di Brescia, destinato ad ospitare l’impianto perché dotato di teleriscaldamento, fosse anche l’esclusivo beneficiario degli utili prodotti dall’inceneritore in quanto proprietario di Asm.
All’interno di Napoli città, produttrice da sola di circa un terzo dei rifiuti campani, è ingiustificabile ed impensabile collocare un inceneritore (anche perché manca il teleriscaldamento), ma del resto è difficile convincere altri piccoli Comuni a farsi carico dell’impatto ambientale di tutti i rifiuti della Regione, per di più senza un particolare vantaggio economico.
Insomma l’illusione dell’incenerimento sembra essersi rivelata una vera “trappola” che ha condotto in un vicolo cieco il “sistema integrato di smaltimento” della Campania. E per uscirne non sembra di buon auspicio, per le ragioni sin qui esposte, il supporto dell’Asm di Brescia a cui starebbe pensando la Regione Campania per superare l’emergenza e “far fare una salto di qualità al sistema attuale di smaltimento” (28); come, alla luce di quanto sopra argomentato, sembrano soldi sprecati quelli che intenderebbe investire la Regione Campania con fondi comunitari in uno spot di 45 secondi da trasmettere su tutte le emittenti televisive per convincere le popolazioni riluttanti della bontà dell’incenerimento, spot che appunto illustrerebbe l’impianto di termovalorizzazione di Brescia con l’obiettivo – dicono all’assessorato regionale all’Ambiente – di “modificare convinzioni preconcette e avversità profonde dell’opinione pubblica”(29).
Piuttosto sembrerebbe necessario riprendere in mano il piano del 1996 e, con coraggio, rivoltarlo come un calzino per ridefinire una strategia capace davvero di “liberare” tendenzialmente la Campania dai rifiuti.
Le esperienze virtuose che di seguito andremo ad esporre potrebbero essere di grande aiuto, se in Campania i decisori politici, che sembrano voler riprendere in mano la questione (30), avranno l’umiltà dell’autocritica e di apprendere dagli errori compiuti, ma anche da ciò che di positivo altri hanno realizzato.
Note
1. L’Enea è, come noto, un ente che si occupa di energia, programmaticamente orientato all’incenerimento con recupero energetico: rivolgersi a questo ente significa compiere pregiudizialmente una scelta pro inceneritori, come insegna anche l’esperienza di Brescia, il cui super consulente, Paolo Degli Espinosa, proveniva appunto dall’Enea.
2. Giunta Regionale della Campania, delibera n. 050 del 3 marzo 1995.
3. Commissario straordinario per l’emergenza rifiuti della Regione Campania, Il Piano di smaltimento rifiuti della Regione Campania, parte I, item 1.7, La seconda stesura del Piano regionale di Smaltimento dei Rifiuti, www.rifiutinforma.campania.it
4. Commissario straordinario per l’emergenza rifiuti della Regione Campania Il Piano di smaltimento rifiuti della Regione Campania, 1996, www.rifiutinforma.campania.it
5. Più esattamente: Ati – Fisia impianti spa (mandataria) – Babcock kommunal Gmbh (mandante) – Deutsche Babcock anlagen Gmbh (mandante) – Evo Oberhausen Ag (mandante) – Impregilo Spa (mandante), consorzio denominato Fibe, Cfr. Ordinanza Commissariale nr. 54 del 20 marzo 2000.
6. “Il materiale conferito sul piano qualitativo non è assimilabile a rifiuto tal quale, in quanto è fortemente trattato nella fase di selezione e d’altronde i siti sono progettati, per eccesso di sicurezza, come discariche di 2a categoria quindi con tutti i presidi ambientali necessari allo stoccaggio definitivo di rifiuti (impianto di biogas, percolato, rete di monitoraggio e quanto previsto in materia dalle direttive tecniche)” .Legambiente Campania, Il sistema raccolta differenziata, Napoli, 2002, www.legambiente.campania.it.
7. “Il costo di questa operazione è quantificabile in oltre 132 miliardi per l’acquisto di attrezzature (automezzi, cassonetti, bidoni ecc), a cui si aggiungono oltre 18 miliardi per la realizzazione di 18 impianti di compostaggio, di 12 miliardi per la realizzazione del compostaggio domestico, di 12 miliardi per l’acquisto di 5 impianti mobili per il trattamento e il recupero degli inerti”. Legambiente Campania, Il sistema raccolta differenziata, Napoli, 2002, www.legambiente.campania.it.
8. Ibidem.
9. Ministero dell’ambiente e Anpa, La produzione e gestione dei rifiuti urbani. Rapporto 2001, p. 23
10. Ministero dell’ambiente e Anpa, La produzione e gestione dei rifiuti urbani. Rapporto 2002, p. 15
11. Ministero dell’ambiente e Anpa, … Rapporto 2001, cit., p. 39
12. Ministero dell’ambiente e Anpa, … Rapporto 2002, cit.,p. 24.
13. Ibidem, p. 19.
14. “Fonti del Commissario di governo riferiscono che in generale nel 2003 in Campania sono stati circa 130 i comuni che hanno attivato la raccolta secco umido per un totale di 1.200.000 abitanti. In Regione si è passati da uno zero spaccato al 12%, mentre a Napoli, secondo quanto ha annunciato Biondi, presidente di Asia, l’azienda ambientale cittadina, ‘con la collaborazione dei cittadini entro dicembre è possibile arrivare al 20% di raccolta differenziata’”. “Ecosportellonews”, Anno 3 Nr. 50, 29 marzo 2004.
15. Legambiente Campania, Il sistema raccolta differenziata, cit.
16. Comuni ricicloni 2003, “Legambiente news”, 18 settembre 2003. www.legambiente.it.
17. Ricicloni 1 – Villafranca d’Asti è leader, Legambiente “Ecosportello news”, a. 3, n. 58, 19 luglio 2004.
18. Legambiente Campania, Il sistema raccolta differenziata, cit.
19. F. Bufi, Acerra. Parola di vescovo: “Dio ricicla, ma… il diavolo brucia”, “Gaia”, a. V, n. 17, autunno 2003, p. 27.
20. Commissario di Governo per l’emergenza rifiuti, bonifiche e tutela delle acque della regione Campania, Piano regionale di bonifica…cit., p. 81 e p. 97
21. (a. cian), Il caso Campania. Veleni e mafie, la guerra delle discariche, “la Repubblica”, 27 giungo 2004.
22. Bassolino, in verità, rivendica il merito di aver attivato gli impianti di Cdr e di aver portato la raccolta differenziata al 12%. Su quest’ultimo punto siamo nel campo dell’opinabile o meglio del “bicchiere per un quarto pieno o per tre quarti vuoto”, ma sugli impianti di Cdr non si può non rilevare il persistere in un macroscopico errore di strategia che affida sostanzialmente al solo incenerimento la soluzione dell’emergenza rifiuti in Campania. Cfr. Bassolino alla commissione d’inchiesta sulle ecomafie. Collaborazione e senso di responsabilità per superare l’emergenza rifiuti, Regione Campania, comunicato del 25 marzo 2004.
23. Una quantità pro capite, praticamente equivalente a quanto viene prodotto in Campania.
24. Commissario straordinario per l’emergenza rifiuti della Regione Campania Il Piano di smaltimento rifiuti della Regione Campania, parte XIII, item 13.1. Le tecnologie per la termodistruzione dei rifiuti, cit.
25. Commissario straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania, Convegno sulla raccolta differenziata, Napoli, 27 maggio 2004.
26. Comma 8 delle premesse, Direttiva 2001/77/CEE del Parlamento e Consiglio del 27 settembre 2001, sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità, cit.
27. Ciò sembra aver sollevato non poche proteste da parte delle comunità ospitanti che le autorità hanno cercato di tranquillizzare. Cdr. Impianti di c.d.r. (combustibile derivato dai rifiuti) di Caivano e S. Maria C. Vetere – Simoncelli: è necessario approntare urgenti soluzioni tecniche per garantire sicurezza e qualità degli impianti, Regione Campania, Comunicato Stampa n° 384 del 6 agosto 2002. Ciò sarebbe da imputare ad un funzionamento non corretto degli impianti, per cui la procura di Napoli avrebbe disposto a partire dal 25 agosto 2004 la chiusura dei sette impianti di Cdr della Campania, bloccando anche quel poco di “sistema integrato” che si era avviato. Cfr. P. Mainiero, L’emergenza rifiuti, “Il mattino on line”, 20 agosto 2004.
28. “Nel progetto alternativo allo studio della Regione potrebbero entrare a fianco di società locali aziende del nord, come l’Asm, l’azienda ambientale di Brescia e Hera, ex municipalizzata dell’Emilia Romagna”. Cfr. Legambiente, “Ecosportello news”, Anno 3, n. 55 del 7 giugno 2004.
29. Uno spot contro la paura, Legambiente, “Ecosportello news”, anno 3, n. 57, 5 luglio 2004. Va anche annotato, a questo proposito, un curioso paradosso: si utilizzano soldi dell’Ue per pubblicizzare un inceneritore che la stessa Ue sta sottoponendo a procedura di infrazione della normativa comunitaria per la mancata valutazione di impatto ambientale! (Si veda l’Appendice).
30. Con il 2004 dovrebbe aver termine la gestione straordinaria e la politica dei rifiuti dovrebbe tornare alle competenze ordinarie delle istituzioni locali. “Quanto all’emergenza, Catenacci ha rivelato che la gestione dei rifiuti in Campania tornerà ordinaria entro l’inizio del prossimo anno. Catenacci ha anche lasciato intendere che il passaggio alla gestione potrà però avvenire non appena saranno avviati i lavori per i tre termovalorizzatori”. Cfr. Uno spot contro la paura,cit.