Un Manifesto oltre il Manifesto. Perché i novelli Prometeo si liberino dello spettro del Duemila, il lavoro, quello alienante, ripetitivo, indotto dai consumi.
Autore? Ermanno Bencivenga. Filosofo, di nascita e studi italiani, cattedra all’università di California. Bencivenga non vuole ora scimmiottare Marx ed Engels. Ma solo lanciare una sfida: facciamo della creatività l’arma per liberare il lavoro e per liberarci. Il lavoro è come il fuoco di Prometeo. Impariamo ad usarlo per vivere e non per bruciare la casa, l’ambiente, la vita.
Stiamo sfogliando il “Manifesto per un mondo senza lavoro” (Feltrinelli), l’anelito di Bencivenga a una nuova rivoluzione copernicana. Il giovane filosofo vuole capovolgere e mettere con i piedi per terra economia, etica, antropologia e politica. Articolato in due parti, le tesi e le obiezioni, nella seconda il filosofo dribbla le antitesi. Un mondo senza lavoro, professore. Ma chi produce? E cosa? La creatività elevata a sistema,
professore? Ma come campiamo? E poi, chi alimenta i produttori di creatività?
Replica Bencivenga: nel mio Manifesto «il punto di partenza è la trappola assurda che ci siamo costruiti seguendo proprio la logica inflessibile del mercato. Una logica che gradualmente ci ha espropriato – così come accade per alcuni dei protagonisti folli dei delitti della logica – di ogni partecipazione, di ogni ricchezza interiore.
Alla fine ci ha tolto proprio quel lavoro che, nella logica del mercato, è l’unica forma possibile di autostima e dignità».
E invece cosa c’è oggi al suo posto?<(b>
Una giostra tragicomica di acquisti indiscriminati, di beni che sono in parte inutili. Il mio invito è di riprenderci il senso della nostra vita, reinterrogarci su quello che conta davvero, sui motivi fondamentali delle nostre scelte, riscoprire la solidarietà, il piacere nel fare e nell’essere, invece che soltanto nel possedere.
Il suo Manifesto e questa conversazione non sarebbero possibili se non ci fosse un mondo di lavoro. Perché allora un mondo «senza lavoro»?
Il mondo del quale lei parla, fatto di progresso scientifico, si è costruito attraverso la creatività, la passione, la gioia di alcuni. Io propongo di aumentare questa creatività. E’ oggi una gioia negata alla maggior parte delle persone, asservita in compititi di riproduzione dell’esistente. Solo ad alcuni fortunati…
È consentito di essere fortunati attraverso il lavoro. Può precisare che significa mondo senza lavoro?
Non è senza lavoro, ma reinterpreta il concetto stesso di lavoro. Che cosa vuol dire oggi lavoro? Per lo piú ripetizione di compiti imposti da altri per poter poi andare sul mercato e comprare cose che l’industria della pubblicità ci ha imposto di comprare. Il lavoro può anche essere altro, dedizione passione, cose cui siamo profondamente interessati. Il lavoro che io svolgo è di questo genere. Sto provando a proporre una situazione nella quale questo tipo di lavoro, che è passione, gioia, interesse, dedizione, possa essere allargato a tutti.
Senza una divisione di compiti?
La comunità dovrebbe decidere insieme quali sono le cose che ci servono davvero. Queste cose possiamo farle insieme, un po’ per uno. Non credo che, se ci interrogassimo su quali siano i bisogni reali, verremmo fuori con tante cose quante sono quelle oggi prodotte. Già adesso soltanto una piccola parte del tempo sociale e globale è occupato da attività lavorative. Una volta diviso tra di noi, servendocene per realizzare effettivamente quelli che riconosciamo essere i nostri bisogni, rimarrebbe senz’altro la maggior parte del tempo libero. Per dedicarlo appunto ad attività come quelle di cui sto parlando.
Che vuol dire questo? I rimedi?
Ridefinire i concetti di lavoro e di tempo libero, riappropriarsi del nostro tempo e della nostra vita, scoprire un lavoro che sia anche comunicazione con l’altro, capacità di imparare gli uni dagli altri, che sia amicizia, partecipazione, scambio e che non sia soltanto egoismo radicale.