Mi capita sempre più spesso, ascoltando i programmi sull’attualità di Radiotre, di infuriarmi. Stamani c’è stato un altro incredibile picco. Si parlava di scuola e il tema era: è utile abolire il valore legale dei titoli di studio? Il punto interrogativo in realtà non c’era, perché hanno parlato solo “pasdaran” ultraliberisti (uno era il solito professor Giavazzi, bandiera del Corriere della sera, degli altri non ricordo i nomi, ma erano tutti docenti universitari o di liceo). È stato spiegato che il valore legale dei titoli di studio mette sullo stesso piano chi si laurea in una facoltà ben funzionante e molto qualificata, con chi prende un pezzo di carta in una facoltà di basso livello.
E questo è ingiusto, si è detto, citando ovviamente Einaudi, del quale però non si ascoltano mai le cose che diceva sul contesto nel quale andrebbe applicata la sua visione del liberismo (posto che non stravedo per Einaudi).
Insomma la ricetta è chiara: basta coi vincoli. Le università si confrontino sul mercato, gli studenti studino e poi chi è laureato in una grande università dovrà vedersi riconosciuto questo fatto, perché non bisogna guardare alle forme burocratiche (la laurea in quanto tale) ma all’effettività del sapere e delle capacità. Uno degli ‘esperti’ è arrivato a dire che il sistema attuale penalizza ingiustamente – con la previsione dell’obbligo scolastico – chi vorrebbe andare a lavorare a 14 anni. Questo professore – di cui non ricordo il nome, e che ha detto di parlare da un aeroporto in Moldavia, definito “il paese delle badanti” – ha osato dire che questo è il frutto di una cultura che non sa valorizzare il lavoro manuale.
A nessuno, e tantomeno al conduttore, è venuto in mente il legame fra questa visione e le classi sociali; non hanno pensato che nelle università buone andrebbero fatalmente i benestanti e nelle cattive chi non può permettersi le altre. Forse i nostri esperti ignorano il fatto che esistono ricchi e poveri, che l’istruzione pubblica è stata e rimane l’unica forma possibile di tutela per i ceti meno abbienti, per chi non ha capitale culturale e materiale per via ereditaria?
Non hanno nemmeno pensato a quel che dice la Costituzione sul diritto all’istruzione e tanto meno alla Lettera a una professoressa, che ha appena compiuto 40 anni.
Ma che caspita sta succedendo? Ma è possibile che questi fanatici vengano presentati come semplici esperti della materia?
E com’è possibile che li si autorizzi a tenere questo tono da uomini controcorrente – intendendo che lottano contro la sinistra statalista e conservatrice che secondo loro sarebbe egemone – quando sono solo dei forsennati propalatori delle tesi e dei desideri dei più forti, cioè gli sciagurati capitalisti di questi tempi?
Quando hanno aperto i microfoni agli ascoltatori, una signora ha obiettato che forse l’istruzione non andrebbe vista solo in termini di mercato, di concorrenza e di interessi delle imprese, ma che forse dovrebbe tendere a formare cittadini dotati di spirito critico (parole testuali). Uno degli “esperti”, un insegnante che è stato assessore a Firenze, ha replicato con tono sprezzante che questa signora stava sostenendo l’idea dello stato etico, quindi del totalitarismo, che ha le sue origini della rivoluzione francese!
Mi sembra sempre più prepotente la necessità di darci orizzonti socialisti…