[da Medeura, anno II, n.5, febbraio 2005]
L’allargamento dell’Unione Europea e il futuro ingresso di Romania e Bulgaria rendono i rom la più numerosa minoranza etnica europea. Le condizioni di vita dei rom nell’Europa centro-orientale sono state spesso oggetto di discussione e critica da parte delle istituzioni europee che hanno fatto della protezione dei diritti delle minoranze uno dei criteri su cui valutare gli aspiranti membri. Ad allargamento avvenuto questa attenzione è scemata.
Poco invece si è fatto per monitorare e migliorare le condizioni di vita dei rom residenti nei paesi già membri dell’Unione. Una panoramica su alcuni episodi accaduti in Italia nelle ultime settimane permette di farsi un’idea della gravità della situazione.
Il 29 gennaio una comitiva di giovani – dieci persone tra cui un minore – ha dato alle fiamme un insediamento di rom romeni ad Ercolano, alle falde del Vesuvio. “Sono dei bravi ragazzi”, riportano i giornali locali. “L’abbiamo fatto così, per passare il sabato sera”, dicono loro. La città reagisce mostrando la propria solidarietà alle famiglie evacuate dalle baracche. Si raccolgono panni, cibo e doni per i bambini. Il sindaco si impegna in prima persona, anche se in un’intervista ad un giornale confessa un malessere di fondo: a quelle persone, riferisce, era stata offerta ospitalità in un convento di suore e loro dopo alcuni giorni se sono andati preferendo il piccolo terreno e la baracca – perchè nomadi per natura, sembra dire tra le righe – che poi i giovani ercolanesi hanno bruciato per noia o per divertimento. Questo è un esempio di come si può manifestare il pregiudizio contro i “nomadi” anche tra coloro che agiscono pieni di buone intenzioni. Il sindaco Bossa sarebbe contenta di risiedere in un convento con tutta la sua famiglia a tempo indeterminato e senza una prospettiva?
Due donne rom e una bambina chiedono l’elemosina per le strade di Lecco, nel ricco nord. Avvicinano una donna con un passeggino. Una delle rom chiede soldi alla madre, le altre dicono “bambino, bambino”. La madre fa una semplice equazione: zingare uguali ladre di bambini. E inizia a scalciare e gridare. Le due donne rom finiscono condannate per direttissima per tentato sottrazione di minore o “mezzo rapimento”, come scrive Francesco Merlo sulle pagine di Repubblica. Tra le prove inconfutabili a carico delle donne rom vi è solo il consiglio dell’avvocato d’ufficio di patteggiare la pena dichiarandosi colpevoli. La pena è otto mesi e dieci giorni. Le donne sono incensurate e la pena è sospesa.
L’avvocato poi dirà ai giornali che le donne gli avevano detto di non aver avuto alcuna intenzione di rapire il bambino. Ma in fondo che differenza fa. Per condannare uno zingaro non ci vogliono neanche le prove, come dimostrano i casi riportati nel rapporto del Centro Europeo per i Diritti dei Rom. Intanto il quotidiano la Padania e la Lega costruiscono sulla vicenda una campagna d’odio contro gli “zingari”, segno tangibile della imminente tornata elettorale. “Giù le mani dai nostri bambini”, recitano i poster attaccati sui muri di città e paesi della Lombardia. Migliaia di persone sfilano e gridano slogan contro la vergognosa sentenza emessa dal giudice di Lecco. Vergognosa non perché si fonda sull’assenza di prove, ma perché troppo leggera. In una dichiarazione all’ Ansa l’ingegner Castelli, ministro della giustizia, ha affermato, in relazione alla vicenda di Lecco: “… il magistrato deve emettere sentenze secondo il sentire comune del popolo, sapendo interpretare qual è il sentimento popolare di un determinato momento storico”. Anche il ministro del welfare, il leghista Maroni, ha sentito il bisogno di prendere parte al dibattito invitando, tramite i giornali, il giudice di Lecco che ha sospeso la sentenza a cambiare lavoro.
Preoccupa inoltre la presa di posizione di Pietro Zocconali, presidente della associazione nazionale dei sociologi, che ha dichiarato ai giornali che “non è possibile che una giovane madre, che sta facendo una passeggiata in città in pieno giorno, venga attaccata da un gruppo di persone con lo scopo di rapire un nostro nipotino per poterselo poi rivendere, magari a pezzi o, nella migliore delle ipotesi, per portarlo a spasso in qualche altra città per accattivarsi le elemosine”. Un preoccupante esempio di razzismo accademico. Basta notare che i nostri registri criminali non conservano alcun caso di vendita di organi di bambini rapiti che veda coinvolti dei rom.
La carta del razzismo per scopi elettorali fa la sua comparsa anche a Palermo, dove un raid della polizia in un campo rom porta all’emissione di numerosi ordini di rimpatrio contro rifugiati kossovari che, come numerosi rapporti delle organizzazioni internazionali denunciano, se rimpatriati in Kossovo rischiano la vita.
Secondo Valeriu Nicolae, direttore di ERIO – ong internazionale con sede a Bruxelles che lotta per i diritti dei rom – “Il razzismo contro i rom è in Italia una forma di razzismo aggressiva, diffusa e ancora accettabile. Senza una reazione forte da parte delle istituzioni europee in condanna di questi eventi, la coesione sociale e le pari opportunità, entrambi principi fondamentali su cui si fonda l’Unione Europea, corrono il rischio di essere percepiti come un’ipocrisia dagli oltre otto milioni di rom europei”.
Dalle istituzioni italiane, infatti, c’è poco da sperare. Pochi hanno sentito il bisogno di parlare a difesa dei rom. Un assordante silenzio ha attraversato i banchi dell’opposizione. In fondo, si sa, i rom non votano. Gli italiani, si spera, si.
*Nando Sigona è ricercatore presso la Oxford Brookes University, ha scritto “Figli del ghetto. Gli italiani, i campi nomadi e l’invenzione degli zingari” (Nonluoghi Libere Edizioni)