Avvoltoi di ogni provenienza si stanno avventando in questi giorni sugli stranieri annegati nel Canale di Sicilia. La destra che cerca di mettere in difficoltà il governo, sindaci isolani che esigono il blocco delle barche a debita distanza dai vacanzieri, (come dire, che anneghino più in là!), sedicenti esperti di immigrazione che hanno l’opportunità di recitare in tv o sui giornali le loro litanie razziste. Ma anche gli esponenti del governo non perdono l’occasione di soffiare fumo e nebbia sulle tragedie. Il ministro Ferrero dove ha scovato i dati secondo cui trenta milioni di giovani affamati premerebbero dal Maghreb per invadere l’Italia? Non farebbe meglio a preoccuparsi di chiudere i Cpt, come gran parte del suo partito e numerosi presidenti regionali chiedevano prima delle elezioni? E l’on. Bianco, perché non torna a occuparsi di servizi segreti (e ne avrebbe di lavoro!), invece che di sbarchi e immigrazione?
Ma la palma in questo campo dovrebbe andare al ministro degli interni, on. Giuliano Amato. In una stupefacente intervista al manifesto di qualche giorno fa, egli ha messo sotto accusa per le stragi in mare le organizzazioni criminali di scafisti, come se fossero questi a costringere eritrei, somali, curdi ecc. a imbarcarsi per l’Europa, e non invece le guerre, la fame o l’umanissimo bisogno di vivere meglio.
Scaricare tutta la responsabilità sugli scafisti è un bel modo di scrollare dall’Europa la responsabilità di affrontare un problema umanitario e sociale globale che non riguarderà trenta milioni di persone, come vuol farci credere Ferrero, ma alcune migliaia ogni anno, nel Mediterraneo. Rivolgersi all’Europa solo per avere più vedette o più quattrini da girare a Gheddafi, come fa Prodi, è un altro modo di voltare la testa, proprio nel momento in cui l’Italia trova le risorse e gli uomini per imbarcarsi, con il beneplacito della Casa delle libertà e di G. W. Bush, nell’avventura libanese.
Di fronte a queste cortine fumogene, desideriamo ribadire alcuni fatti talmente banali da essere accuratamente ignorati da uomini politici, commentatori ed «esperti».
Gli stranieri non cercano di venire in Europa per capriccio o per mettere in difficoltà il governo (e tanto meno gli on. Amato e Bianco), ma perché non riescono a vivere nei loro paesi d’origine. Ecco perché accettano il rischio di morire in mare. Tra parentesi, ciò fa di loro esseri infinitamente più coraggiosi di tutti i difensori di integrità sociali, culturali o nazionali.
Gli scafisti, come ogni altra organizzazione criminale grande o piccola, si avvantaggiano dei regimi proibizionisti, e cioè del divieto di immigrazione inasprito dalla Bossi-Fini, ma già previsto dalla Napolitano-Turco.
Se si impedisce ai pescherecci di intervenire subito (pena l’accusa di favoreggiamento dei clandestini) e si mandano le navi militari ad accostare le barche, si aumentano le probabilità di affondamenti.
Salvare ogni vita umana in pericolo dovrebbe essere la priorità assoluta di un governo in cui non mancano, almeno a parole, comunisti, ecologisti e difensori dei diritti umani.
Invece di finanziare l’astuto Gheddafi e le poco misericordiose organizzazioni che lucrano sui Cpt – per non parlare delle avventure militari -, perché non si investono risorse nel salvare, accogliere e ospitare gli stranieri?
Se l’Italia è diventata così decisiva sulla scena mondiale, come ci dicono gli on. Fassino e D’Alema, perché, invece di baloccarsi con carri armati e fregate, non si impegna a promuovere una politica europea, solidale, umana e lungimirante verso gli stranieri? Per esempio, ponendo il problema del loro ingresso in un’entità di 25 paesi che va da Finisterre ai Carpazi, da Capo Nord a Malta?
Che sta facendo il governo in materia di diritto d’asilo, su cui l’Italia è il paese più colpevolmente in ritardo d’Europa? E la sinistra radicale ampiamente rappresentata nel governo Prodi che ha da dire su tutto questo?
* docente Università di Genova
** docente Università di Palermo
[ Questo articolo è stato pubblicato fra le opinioni dal quotidiano Il Manifesto – www.ilmanifesto.it ]