Lo scorso 11 giugno, nel ballottaggio per le elezioni comunali, a Belluno si è imposta per la prima volta la coalizione di centrodestra, complice il clima di polemiche e veleni che da tempo avvolge il centrosinistra. Così, mentre la sinistra si lecca le ferite, comincia la danza inquietante della nuova giunta che si insedia a Palazzo Rosso. Ecco una risposta ai primi annunci del sindaco, che intende riaprire alle auto la storica piazza Duomo. Se il buongiorno si vede dal mattino, i cittadini bellunesi dovranno aspettarsi anni di arretramento sociale.
Il neosindaco di centrodestra, Celeste Bortoluzzi, forte del sostegno democratico di circa un elettore potenziale su tre, ha inaugurato la stagione degli annunci di iniziative che segneranno sia una retromarcia civile sia la perdita di un’occasione storica per il capoluogo.
La riapertura al traffico di piazza Duomo e la sua parziale (?) trasformazione in parcheggio è un progetto semplicemente aberrante oltreché in controtendenza con le più elementari e diffuse politiche urbanistiche nei centri storici d’Italia e d’Europa. Tanto più in una città a vocazione anche turistica (diretta e indotta dal richiamo dolomitico) lascia sgomenti che anziché disegnare progetti di valorizzazione di un gioiello architettonico qual è piazza Duomo, la si intenda deturpare riaprendola al transito di automezzi con il risultato tra l’altro di aumentare il traffico a motore in tutto il centro storico (e il relativo inquinamento atmosferico e acustico che il sindaco è tenuto invece a contenere anche per ragioni sanitarie).
Sconcerta che il Comune di fronte al “problema” piazza Duomo (ma gli esempi possono essere innumerevoli) invece di interrogarsi sui possibili progetti per animare di vita il cuore del centro (anche incentivando piccole attività commerciali) lo faccia sprofondare nel Medioevo dell’urbanistica arrecando un danno grave alla città, ai suoi abitanti e ai suoi ospiti. Mentre altrove si investono idee e risorse finanziarie per abbellire e ravvivare i centri storici che accolgono turisti e rappresentano un motore dell’economia, a Belluno si intende utilizzare come piccola tangenziale una piazza storica sulla quale si affacciano la cattedrale, il municipio, la prefettura (splendido palazzo di epoca veneziana) e l’accesso dalle scale mobili (al visitatore si offrirà un invitante primo scorcio sulla città, fatto di auto e rumori molesti).
Viene naturalmente da chiedersi cui prodest e quante altre enormità simili ci riserverà questa amministrazione che fin dai primi passi alimenta il dubbio che a ispirare la sua azione non sia un’idea sia pur minima di bene comune e di interessi generali ma probabilmente logiche del tutto diverse.
Paradossalmente, Belluno con la sua provincia, che per decenni ha scontato anche finanziariamente il confronto con i vicini territori a statuto speciale, oggi potrebbe cogliere le opportunità di una congiuntura favorevole per i territori che – diversamente da altri – hanno saputo o dovuto conservare i tratti di sobrietà e di autenticità propri del tessuto sociale. Si tratta di un capitale forse invisibile allo sguardo arido di una politica che avanza per riflessi condizionati dal cosiddetto libero mercato e che forse vorrebbe imporre in una cittadina di montagna i modelli e il degrado umano e ambientale delle periferie metropolitane dove tutto è business e cemento nelle mani di pochi e con danni per molti.
Belluno e i suoi dintorni, che hanno il supporto prezioso di un eccellente Parco nazionale, si pongono oggi fra gli avamposti possibili di un modello economico sostenibile, nel segno di un benesserre diffuso, che si misura anche nelle scelte infrastrutturali (mobilità intelligente, trasporti collettivi, piste ciclabili, rivitalizzazione dei centri storici, incentivi all’agricoltura biologica e all’artigianato di qualità, sostegno alle piccole attività commerciali e all’ospitalità diffusa, attenzione alla ricerca e all’innovazione tecnologica, cura del territorio, riciclaggio e riduzione dei rifiuti eccetera). Mentre altrove, oggi, ci si interroga su come porre rimedio agli errori compiuti, Belluno può evitare di ripetere quelli altrui. E può costruire un modello di sviluppo che badi innanzitutto a garantire una vita dignitosa a tutti i cittadini (sperabilmente con spazi accresciuti di autogoverno) e perciò anche a rispettare l’ambiente naturale che è un alleato fondamentale della popolazione umana.
Il sindaco Bortoluzzi sembra orientarsi nella direzione opposta anche quando parla di rifiuti e indica opzioni quali l’incenerimento, che egli chiama “termovalorizzazione” forse perché ignora il pessimo bilancio energetico di questi costosissimi impianti sui quali, ennesimo caso, si gioca una partita miliardaria nelle mani di pochi. Ora, a parte le pur decisive valutazioni sanitarie (basti ricordare che le emissioni e le ceneri rappresentano un pericolo serio per le persone e per il territorio), vale la pena osservare che chi ritiene utile bruciare i rifiuti immagina evidentemente un futuro in cui si continua a produrre e a consumare come si fa oggi, ignorando i crescenti effetti collaterali dannosi di questo andazzo (malattie e morti innanzitutto, legate per esempio all’inquinamento atmosferico) nonché la semplice constatazione che la prospettiva è quella di un’implosione globale di un sistema che non potrà reggere se adottato su scala planetaria. Per tornare alle nostre pattumiere, osserviamo che a fronte di una corretta gestione del problema, mediante il riuso (per esempio del vetro), il riciclaggio e la riduzione della quantità di rifiuti (anche imponendo meno imballaggi all’industria), rimarrebbe da smaltire una quantità di rifiuti pari al 15% circa dell’attuale: l’inceneritore sarebbe cioè senza combustibile, perciò scegliere l’impianto significa costringersi poi a produrre immondizia da bruciare (e alla fine rimarranno comunque scorie tossiche da smaltire in discariche speciali).
In proposito le esperienze, nel bene e nel male, sono numerose. A Brescia, che ospita l’inceneritore più grande d’Europa, la produzione di rifiuti pro capite continua a crescere e supera i due chili al giorno; nei comuni trevigiani del consorzio Priula, virtuosi nella differenziata spinta, meno della metà. Interessante, poi, il caso della val di Fiemme, in Trentino: mentre la Provincia autonoma progetta un contestatissimo inceneritore (in prima fila fra i contrari c’è la Coldiretti preoccupata per la contaminazione dei terreni), questo comprensorio dolomitico in un anno ha raggiunto l’80% di raccolta differenziata e ora vara un progetto pilota di riduzione dei rifiuti. La municipalizzata Fiemme Servizi, il Caseificio sociale e la Famiglia cooperativa hanno avviato la vendita diretta di latte sfuso, che viene fornito quotidianamente dagli allevatori locali a tre distributori automatici: si riducono gli imballaggi, si evita il trasporto, si offre un’opportunità all’agricoltura. Un esempio piccolo ma illuminante.
Mettere in atto buone pratiche politiche ed economiche è possibile, bastano un po’ di coraggio e la disponibilità a esplorare percorsi realmente “autonomi”, cioè alternativi alle soluzioni imposte da un modello in cui spesso i danni collaterali superano i benefici per la cittadinanza. Basta tenere a mente che governare la cosa pubblica significa perseguire il bene comune, non gli interessi di pochi.
Zenone Sovilla
Portavoce
Comitato Montagna sana – Belluno